martedì 19 agosto 2014

IL GABBIANO

Rafi sedeva un po' stufo e ormai non ascoltava più nemmeno una parola. Di cosa parlava quell'uomo? Iperbole? No, forse è una parabola. Boh.
Rafi aveva iniziato bene: la parte alta della pagina era un'ordinata sequenza di numeri e simboletti, tutti attentamente disposti l'uno dietro l'altro; poi la mano era diventata più affaticata: i sette si confondevano con i quattro, i più diventano via via uno scarabocchio cruciforme irregolare, spesso a dire il vero più simile a una T maiuscola. Qui c'erano i primi disegnini. Ancora si scendeva e il foglio diventava il palcoscenico per una sfilata di strane facce buffe, con nasi enormi, occhi a palla, labbra gonfiate come canotti; qui ogni tanto una parola faceva capolino tra capelli arruffati e manine con quattro grasse dita: BASTA!
- Che ore sono? - chiese Giada al vicino.
- Mancano due minuti - le rispose Rafi dopo aver sbirciato il cellulare nascosto nell'astuccio.
E i due minuti passarono, anche se sembrarono secoli, e la campanella, quel suono soave e amato da migliaia di migliaia di studenti, suonò. Si alzarono tutti e uscirono quasi tutti; Rafi rimase in classe, lui, Giovanna, Antonio. In tre. Il professore uscì dopo pochi attimi, giusto il tempo di raccattare tutti i suoi fogli e i suoi registri. 
- Pensavo di ucciderlo! - esclamò Giovanna
- Avessi sentito ancora una volta la parola 'ascissa' mi sarei buttato dalla finestra! - rispose Antonio, e insieme a Giovanna rise di gusto, fu una risata grassa, di quelle che sono fondamentali per liberarsi da quello strano tipo di stress che si accumula quando i professori parlano e parlano e parlano in continuazione in una lingua che sembra straniera, di cose che sembrano assurde.
Rafi non rise, ovviamente. Era da un po' che non gli riusciva di ridere, di essere davvero felice e di godersi una bel AH AH AH! Cosa gli succedeva? Sicuramente se avesse rivisto la maestra Pina, che gli aveva insegnato matematica alle elementari, lei lo avrebbe ricordato come un discolo, un birbante confusionario, estroverso, divertente, vivace. Dov'era quel bambino? Oggi Rafi era solitario, silenzioso, introverso per la maggior parte, amava in particolare quei pochi momenti in cui in casa rimaneva solo, il silenzio che saliva dal pian terreno alla mansarda. 
'Quel bambino non sono più - avrebbe probabilmente risposto  Rafi - sono cresciuto ormai!' già perché sicuramente Rafi era cresciuto, se molte cose nella vita sono incerte, Rafi di questo era maledettamente sicuro, era l'unica sicurezza che in quel periodo aveva. 
Passò l'intervallo in silenzio, seduto al suo posto, scorrendo con il pollice la schermata del suo smartphone, controllando le notifiche di Facebook e Twitter, osservando le innumerevoli foto che qualcuno aveva pubblicate su Instagram. 
Stava per suonare il campanello per la seconda volta quando un ragazzo si affacciò alla porta della classe e si guardò un po' attorno: non ci mise molto a individuare la persona per cui era venuto.
- Rafi, puoi venire un attimo con me? - gli disse Carlo, un ragazzo della sua stessa età che frequentava la sezione che non faceva latino, ogni volta che lo vedeva il cuore gli si fermava per qualche attimo: era davvero carino. Con Carlo aveva anche partecipato a degli incontri in cui si parlava di attualità e Rafi era rimasto affascinato da quel ragazzo così pieno di genialità, così brillante. Ovviamente durante quegli incontri Rafi aveva sempre taciuto e ascoltato quel che veniva detto dagli altri, ma, inaspettatamente, un giorno Carlo gli si avvicinò alla fine di un incontro e avevano iniziato a parlare, a conoscersi a poco a poco Rafi era stato obbligato a raccontare al nuovo amico le sue idee. Decisamente era nata un'amicizia, di quelle che si vedono raccontate in serie TV americane che girano sulle nostre televisioni. 
Era un'amicizia curiosa, in cui spesso e volentieri uno dei due - ovviamente Rafi - taceva ogni suo pensiero pur di ascoltare le parole dell'altro. Non credo che a Rafi sia mai venuto il dubbio che fosse più che amicizia, che fosse un altro genere di affetto. 
Rafi raggiunse Carlo rapidamente, dopo aver lestamente messo in tasca il telefonino.
- Ciao Carlo! - sorrise Rafi
- Ciao Rafi, ti devo dire una cosa importante - il suo sguardo era cupo mentre parlava, non guardava negli occhi Rafi, ma muoveva il suo sguardo ora sulla sua maglietta, ora sulla finestra del corridoio, ora, imbarazzato, verso il bagno, si muoveva impacciato - cosa hai adesso? 
- Filosofia: arriverà sicuramente dopo; cosa mi devi dire?
- Vieni con me - e si incamminò ansiosamente giù dalle scale, scansando i tanti studenti che salivano verso le loro aule con bicchierini ricolmi di caffè e tè. 
Camminarono l'uno dietro l'altro e Carlo condusse Rafi vicino all'entrata della palestra, là dove c'è una sorta di piccola nicchia formata da due pilastri che sorreggono le pareti. 
- Allora - disse Carlo inspirando profondamente - devo dirti qualcosa, una cosa importante
Rafi tacque e guardò con un timido sorriso Carlo, invitandolo, pur tacendo, a proseguire.
- Bene, è da un po' che ci penso e ... beh stamattina alla prima ora abbiamo letto un articolo che parlava delle nuove famiglie, pubblicato uno sconosciuto su un giornale online ... mentre leggevamo mi sei venuto in mente tu che una volta mi hai detto che la famiglia per te non dovrebbe essere una prerogativa di un uomo e una donna e basta. Da questo pensiero mi sono fatto tutto un viaggio mentale e penso che se adesso tentassi di ripercorrerlo interamente probabilmente mi ritroverei una conclusione opposta a quella che ti sto per dire. In questi anni ti ho conosciuto solo perché ho voluto provarci e in questi ultimi giorni mi sono accorto che quello che ci lega è qualcosa di ben più forte di un'amicizia, è un legame più saldo e mi pare più profondo. Ecco, io non so se questo sia ... ecco non so se questo sia amore, ma io penso di essermi innamorato, innamorato di quei tuoi pensieri contorti che nei tuoi infiniti silenzi ti sei costruito, di quei tuoi sguardi che, se uno prova solo a decifrare, risultano più loquaci di mille  e mille parole, mi sono innamorato di quel rossore che ti affiora sulle guance quando qualcuno dice una parolaccia, di quella delicatezza con cui chiudi sempre il tuo astuccio. Rafi io credo di amarti.
Non si può esprimere la tempesta di emozioni che si scatenò nell'intimità di Rafi, in un certo senso tutto in lui si inceppò, come se fossero arrivate troppe informazioni e da qualche parte si fosse creato un ingorgo. Rimase in silenzio. Gli occhi sbarrati.
- Perché non parli? - disse ansiosamente e agitato, imbarazzato pure, Carlo.
Ancora Rafi non parlò e rimase immobile  e silenzioso, ancora imbambolato. Le lacrime iniziarono a spingere dietro agli occhi di Carlo e mancava poco che iniziassero anche a scendere copiose sulle guance quando Rafi parlò:
- Carlo ...
Rafi baciò Carlo, Carlo, felice, si lasciò baciare e baciò.

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