martedì 27 gennaio 2015

STORIA BREVE DI UN PAZZO

Nacque ormai diciotto anni fa e nacque in un giorno di primavera, verso sera, atteso da amici e parenti.
Crebbe in quella che tutti potrebbero definire un’infanzia felice e serena.
Poi crebbe davvero, e i giochi da bambino non si interruppero, bensì si intensificarono, divennero più prepotenti e in qualche modo grandiosi: con l’evoluzione della persona, evolveva anche il suo mondo, ma non evolveva verso una realtà comune e adulta, bensì in una decisione sempre più ristretta, sempre meglio pronta a difendersi da attacchi dal mondo reale.
Tutto ciò che era nato per un bambino ora aumentava per un quasi-uomo, e tutto peggiorò, tutto iniziò un lento scivolare via, giù, verso la più totale solitudine di pianti e depressioni, non patologiche forse, ma dolorose come ferite profonde.
Il bambino quindi crebbe in età, ma il suo mondo non crebbe con lui.
Ne nacque un bambino perso nel mondo reale, oppure un adulto smarrito nel suo mondo fanciullesco, comunque uno strano individuo, e non come tutti si è un po’ strani, ma talmente strano da sentirsi tale in una maniera troppo eccessiva, troppo diversa.
Il bambino si sentì spesso una vittima come in realtà capita a molti, ma a un certo punto si scoprì a variare da uno stato di eroismo e titanismo contro la sua condizione, a una condizione di miserabile che commisera se stesso per la propria miseria!
Scoppiò tutto per il bambino, e scoppiò tutto tante volte, ma non cambiò granché.

Un giorno il pazzo si ritrovò a scrivere di sé, e iniziò a scrivere di sé … se non sbaglio iniziò più o meno così: nacque ormai diciotto anni fa e …

domenica 25 gennaio 2015

LUI (1)

Ho conosciuto qualcuno che mi dà qualcosa non rendendosene nemmeno conto: è giovane, m'insegna cose che nemmeno sa di conoscere.

All'alba guardammo verso oriente e ci godemmo lo spettacolo del sole nascente, che s'alza da oltre l'orizzonte e pare gonfiarsi, prendendo a poco a poco la sua forma, prima schiacciato e poi sempre più tondo, sempre più luminoso, sempre più caldo. E quando i suoi raggi ci toccarono le guance il fresco della notte ci lasciò, il calore pungeva come uno spillo, lasciando quella sensazione tra il dolore e il piacere, facendoci invocare che il corso della giornata s'interrompesse perché quel momento potesse non finire!
Mi teneva vicino, con il suo corpo giovane e magro, alto, slanciato  e atletico: la sua pelle l'avevo sempre amata, fin dalla prima volta in cui avevo potuto sfiorare quelle membra. Seduti uno a fianco dell'altro, lasciavamo penzolare le nostre gambe giù dal tavolo della terrazza, io dondolavo le gambe incrociate, mentre nascondevo le mie mani sotto le cosce; lui stava a gambe divaricate, penzoloni nel vuoto, appoggiandosi mollemente indietro sul tavolo.
Con i nostri occhi stanchi scrutavamo lo spettacolo: sorridevo un poco, forse troppo innocente in quel momento. Lui era serio e i suoi occhi erano fissi e attenti, quasi severi nell'assaporare ogni attimo.
Il sole sorse nel silenzio, iniziò a prendere velocità attraverso il cielo via via più chiaro, a poco a poco sempre meno roseo.
Udimmo un gabbiano gridare per la rena e quel suono mi svegliò, mi distolse dalla mi contemplazione. Mi voltai a guardarlo e mi sentii ancora più vicino a lui quando vidi i suoi capelli lisci, il suo ciuffo biondo scuro accarezzato dal sole, quando mi persi nel suo volto e mi incantai davanti ai suoi occhi, smarrito in quello sguardo così consapevole e insieme ingenuo, così maturo e insieme così giovane e fanciullo. Non mi guardava, ancora preso a osservare il sole prima che questo diventasse troppo violento perché lo si potesse guardare.
Il suo corpo magro, ma forte, fremeva sotto quella bianca maglietta a maniche corte, e all'inizio credei fosse vento a muoverla, ma minuto dopo minuto cresceva dentro di me la convinzione che quel muovere era proprio lui a causarlo, con la sua vita agile e allegra, pronta ad affrontare ogni giorno con una forza che a me mancava da anni, una forza che riscoprivo un poco solo quando ero con lui, solo quando mi era concesso di averlo tutto per me …
«Ehi! … Hai visto che bello?» si era accorto di me, che lo stavo guardando; sorrideva anche lui, più giovane di me, con quel sorriso che qualcuno definisce 'paterno', pieno di quell'affetto che ti circonda e ti abbraccia, come una coperta in una sera d'inverno, come quella sensazione che si ha quando, con i piedi gelati, si entra in un letto al caldo …
Non risposi: guardavo quel volto così strano, che non mi era mai parso 'bello', ma che mi aveva sempre attratto, sempre chiamato a sé con quella forza strana e innaturale. C'era qualcosa di davvero strano, di davvero particolare in quel viso: non erano i miei occhi a dirmelo, ma un'altra parte di me, un'altra mia facoltà, cui non so dare un nome, cui non saprei dare una definizione; so solo che guardavo quel volto magro ma delicato, quel naso, quella bocca, quel mento, quegli occhi e non potevo non continuare a farlo, non potevo non gioire di quella visione, non potevo fare nulla se non quello che facevo. Non risposi.
«Ehi! … ?» ripeté lui: con crescente curiosità la sua espressione si era mutata in un interrogativo affettuoso e, per così dire, preoccupato. Il sorriso rimaneva impresso su quel volto, ma nello sguardo cresceva l'attenzione a me, cresceva la dolcezza e la delicatezza con cui mi porgeva quel saluto.
«È bellissimo!» mi disse ancora, cercando di trovare il modo di distogliermi da quel mio stato che forse non comprendeva. In lui, nella sua voce c'era gioia e pace, quel sentimento tutto particolare che è il segreto della giovinezza, ché se tutti conoscessero si rimarrebbe eternamente fanciulli, a dispetto delle rughe e del tempo.
«È vero …  - ebbi finalmente la forza di dire - è bellissimo: è bellissimo vedere l'alba da quassù, bellissimo aver passato una notte serena a ridere e scherzare, a parlare di cose sceme e di cose che ora sono lontane, di persone che ora sono lontane, bellissimo è aver cenato con una bella pastasciutta cucinata grazie a un miracolo (visto che non so come sia stato possibile scolare la pasta senza scolapasta e solo due forchette di plastica!), è bellissima questa nostra 'vacanza' che ci siamo concessi, senza dire nulla a nessuno, scegliendo semplicemente di salire in macchina e dire agli altri che stavamo andando a trovare amici, è bellissimo essere con te, qui, da soli, seduti vicini, con la tua gamba magra che sfiora il mio ginocchio, con la tua maglietta leggera troppo grande per te, con i miei capelli troppo lunghi che ancora non decido di tagliare … è bellissimo»

Nel suo sguardo continuava quel sorriso affettuoso, come se labbra e occhi fossero solo parti di un insieme, come se quell'insieme fosse l'amore fatto carne. Mi ascoltava, lui giovane: non importava tutto quello che c'era stato prima, quello che sarebbe venuto dopo, quello che proprio in quel momento accadeva a casa, che dicevano gli amici, che pensavano le famiglie, tutto si concentrava in quel terrazzino baciato da un sole ormai sorto, tutto si realizzava in noi due, seduti vicini, felici per il solo fatto di essere lì, per il solo fatto che anche quel giorno avesse avuto la sua alba.

martedì 20 gennaio 2015

LA LEGGENDA DEI KALKATRA

La  Storia è una rincorsa di eventi, è un susseguirsi di fatti che vanno l’uno dietro all’altro, di fretta, incalzando il passo del precedente momento.
In elfico antico i momenti sono detti Kalkatra, cioè ‘parte del tutto’.
Questi Kalkatra sono di fatto manifestazioni della Signora, sono ciò che la rende reale, che la rende vera!
Vero però è anche che nel Silenzio di Storia, nella pausa del Canto della Signora, si perse qualcosa: quando nacquero gli uomini una parte della Storia si incastonò nei cuori degli uomini e fu questo straccetto della veste della Regina che diede la vita a queste creature.
La Storia, tuttavia, è una sequenza di fatti, un evolversi di Kalkatra che vengono in fila, uno dietro l’altro, senza pause, senza interruzione; perciò la parte nascosta nel genere umano, ‘l’evento’ celato nel cuore degli uomini non poteva che cercare di congiungersi ai suoi simili, non può non tentare di riprendere contatto con i suoi ‘simili’.
Quest’attrazione dei Kalkatra, questa forza che li spinge a congiungersi nella successione del tempo è, secondo l’antica leggenda, la causa dell’amore tra gli uomini, il motivo per quell’istinto che caratterizza tutti noi per la compagnia di altri nostri pari.
Ma i Kalkatra in realtà spiegano anche qualcos’altro: gli eventi si rincorrono secondo un principio che noi, da fuori, abbiamo chiamato ‘causa ed effetto’, cioè ogni momento ha prima di sé e in sé un altro momento, necessario e fondamentale al proseguire del tempo.

Allora ecco che nel cuore di un uomo è celato la causa dell’effetto che è celato nel cuore di una donna; allora ecco che nel cuore di una donna è nascosto l’effetto alla causa di un uomo, o viceversa. E questo noi lo chiamiamo amore: una persona è necessaria all’altro, non perché utile in qualche modo, ma perché senza quella non avrebbe ragione d’esistere, proprio come un effetto non può esistere senza la sua causa.

giovedì 15 gennaio 2015

FOGLIO DI UN ILLUSO SCIOCCO, IO

Quando penso al mio domani non posso non pensare alla fama, alla gloria. E non mi interessa dominare la scena politica del mio paese, non mi preoccupo di essere intervistato in qualche programma televisivo al pomeriggio cosicché mi vedano anziane signore abbandonate o gioventù svogliata e appassionata di parole. Mi interessa che il mio nome sia ricordato da qualcuno, che qualcuno pensi a me come un esempio, che un mio professore possa essere estremamente orgoglioso di essere stato il professore di una tale persona, che io possa scrivere ed essere letto da persone avide di lettura, avide di idee, avide di opinioni anche contrastanti, anche scomode, anche sciocche! Vorrei poter cantare e recitare – finalmente – come sento di poter e dover fare per sentirmi vivo: voglio la stanchezza delle otto repliche settimanali, la fretta che toglie tempo alla lettura e allo scrivere.
Quando penso al mio domani temo il domani che mi sono immaginato: ho paura di questa vita così frettolosa e ansiosa, sempre di corsa a rincorrermi da solo, per trovare un po’ di tempo per qualcosa di semplice e intimo; e diciamocelo, ho paura che tutta questa gente mi faccia sentire anche più solo di adesso! Sì perché nulla ti isola di più che la massa: quando sei con troppi il tuo io si annulla, si azzera per adeguarsi e conformarsi, per essere cosa unica con la gente attorno, e allora ti accorgi di essere solo, perché il tuo io rimane rinchiuso, soppresso dinnanzi alla forza del gruppo. Datemi le poche persone che m’occorrono!
Quando penso al mio domani vedo un sogno, una paura e un’illusione: il sogno di poter vivere dell’arte ch’io amo profondamente con tutto il mio io, la paura di perdermi in questo mio amore per l’arte e perdere tutto il resto, l’illusione di essere in grado di fare tutto ciò che sogno.
Scompare da me ogni dubbio solo quando sono a teatro; non importa se seduto in platea o sul palcoscenico, quando sono a teatro qualcosa cambia e mi dimentico tutto quello che c’è. Le liti in qualche modo si dimenticano, le ansie si sciolgono e si rilassano i muscoli, le preoccupazioni scivolano via.
Quando penso al mio domani non scorgo nemmeno un po’ d’amore, non intravedo neanche un barlume di affetto e sentimento: vedo solo i giorni, le fatiche, le illusioni che me ne faccio: l’amore non mi sovviene, l’amore non è contemplato, come mi fossi condannato io stesso alla solitudine.
Avrò amici e ‘amici’, avrò persone care e conoscenti, parenti e congiunti, ma dove sarà finito l’amore? Davvero perderò tutto nell’arte se riuscirò a realizzare il mio sogno, la mia brama?
Quando penso al mio domani devo pensare alla fama, devo immaginarmi la gloria, e non posso accontentarmi di poco, no!, devo puntare all’eterno, al ricordo sempiterno!
Pazzo forse sarò, egoista e presuntuoso, per nulla una persona buona, ma io non voglio mentire, non voglio passare poi per ipocrita, non voglio nascondere ciò che mi sta nel petto: ora vedo la gloria e la fama come un pezzo di ferro che mi sta sopra e davanti, e vedo questo pezzo di ferro scintillare davanti e sopra di me; nel petto, proprio dove c’è il cuore, sento una calamità che mi spinge e mi attrae là, mi obbliga ad avanzare il petto, mi scuote ad avvicinarmi, ad elevarmi e avanzare!
Malata passione è la mia, eppure sono davvero così, davvero bramo questa cosa materiale e per certi versi effimera, ma il mio animo aspira solo alla grandezza, non è interessato ad altro.

Nemmeno posso immaginare la delusione che seguirà l’infrangersi di ogni mio sogno, nemmeno oso pensare quale sarà la tragedia che ne verrà nella mia vita di misero e infelice presuntuoso!

martedì 13 gennaio 2015

DELIRIO IN GIULIETTA

Romeo, quale nome mi suonò più amabile? Non quello di mio padre, non quello di mia madre, quale nome mi suonò più amabile? È come se non potessi smettere di pensare a questo nome: ogni volta che sento questo nome uscire dalle mie stesse labbra me ne stupisco, mi meraviglio delle mie emozioni!
Romeo, quale nome mi ha mai dato più afflizione? Così soave eppure così odioso: questo nome è il solo che ci divide, questo tuo nome, ‘Montecchi’, è l’unica tortura che mi si potesse imporre!
Romeo, Romeo, Romeo, Romeo, Romeo!
Quanto mi colma questo nome, quanto mi inebriano queste cinque lettere!
La R mi scende nel petto, la O mi riempie la gola col suo suono, la M sale fino agli zigomi, la E viene in avanti fino ai denti e poi di nuovo la O mi avvolge tutto, mi abbraccia! ROMEO!
Romeo, quale nome straordinario, quale nome mi suonò più amabile?
La R mi ricorda il tuo sguardo appena mi sono girata attorno a guardare tutti gli invitati: una miriade di occhi nascosti dietro bizzarre figure di maschere variopinte; tu mi guardavi e sentivo che stavi scavando dietro la mia mascherina; la O mi fa rivedere quelle tue labbra, appena visibili sopra il tuo bavero: ti morsicavi il labbro inferiore; la M è come la tua mano sulla mia, quando mi hai sfiorato nel mezzo del ballo: che brivido mi ha percorso, come un soffio gelato sulla pelle nuda; la E mi parla del tuo sorriso, quel sorriso che mi hai lanciato subito dopo il primo ballo insieme: felice, gli occhi luminosi ed emozionati; la O mi parla ancora delle tue labbra, mi fa rivedere quella tua bocca morbida che mi sfiora la mano e … che sciocca che sono stata! La tolgo veloce, ma subito me ne pento! Il tuo tocco è così delicato, molle: soave.
Romeo, Romeo, Romeo, Romeo, Romeo!
Come fare a smettere di dire questo nome!
Maledetto questo nome per due motivi!
Maledetto questo nome perché ti amo: ora capisco cosa provò Ginevra quando arrossì con Lancillotto, ora capisco l’imbarazzo di Francesca e dello sventurato Paolo, ora comprendo l’amore; sì, Romeo, io ti amo! Io ti amo, Romeo! E maledetto sia il tuo nome per questo!
Maledetto?
Sì, perché tu non sei solo Romeo: sei un Montecchi, amor mio, sei un Montecchi, giovane Romeo!
Cosa può sperare una ragazzina come me?
Io fino a ieri scherzavo con la Balia, mi rincorrevo con le figlie dei servi per la corte interna, e  oggi?
Oggi piango per questa mia insana passione! Cos’è? Perché è amore? Tutto sarebbe più semplice senza questo dio crudele!
Oh, Romeo, Romeo, Romeo!
R: ti amo. O: abbracciami. M: baciami dolcemente. E: sussurrami dolci parole. O: portami via.
Romeo, rinuncia al tuo nome, a questo tuo nome maledetto! A chi importa se sei un Montecchi?
È forse un braccio, una gamba, un piede? È forse un organo come il fegato? È forse indispensabile come i polmoni, che adesso soffrono così tanto perché non mi riesce di respirare? Cos’è un nome, Romeo?
Forse senza questo tuo nome non saresti più tu?
Una rosa perde forse il suo profumo se non la chiamiamo rosa?
Romeo, saresti meno Romeo se non fossi tu Romeo?
Romeo: quanti problemi vengono da questa parola.
Pure le gioie che vengono da questo nome sono in fondo un problema!
Cosa succederà?
Romeo, io t’amo Romeo: ho scoperto cos’è l’amore.
Romeo.
Romeo.

Romeo.

giovedì 8 gennaio 2015

PAROLE DI SERA

Quando la luce del sole svanì oltre le montagne ad ovest avrei dovuto tirare giù le tapparelle di tutta casa. Iniziai dalla sala, poi la cucina e tutto il piano terra, i bagni al piano superiore e le camere, tutte tranne la mia: i lampioni oltre il giardino erano già accesi e lanciavano coni di luce che, attraverso la zanzariera, mi apparivano come sfocati, tipo uno schermo delle vecchie televisioni … Il noce era ormai spoglio e ai piedi del suo tronco una ciambella di foglie marce e umidicce invocava qualcuno di essere infilata nei sacconi neri della spazzatura.
Mi voltai verso la mia stanza e scrutai oltre il fascio della lampada sul tavolo: la mia copia di Gauguin, il mio ritratto - fatto da un'amica pazzoide -, la giacca, lanciata dopo scuola sul letto col piumino giallo, i libri sul comodino, accatastati nella foga della lettura serale, Nicola, il mio peluche, che ormai ha il musetto tutto liso visti gli anni passati stretto a me nella notte, il crocefisso di terracotta, che mia mamma mi ha portato - un regalo di una sua collega a cui era molto legata.
Non so perché, ma mi misi al tavolo e scrissi poche parole, queste parole:
"A te fu donato un qualcosa di grande e grandioso, ti fu regalato un qualcosa di incommensurabile e ineffabile, ti fu consegnato un compito sublime e terribile, e tu che hai fatto? Dunque, ti presenti così dinnanzi a questo giudizio? Nemmeno un po' di vergogna attraversa il tuo volto? Sei così convinto e pieno di te che sei cieco dinnanzi a quello che le tue mani hanno fatto? Davvero sei così sciocco? Che cosa hai fatto?
Tutta l'acqua dei fiumi non potrebbe lavare la mano insanguinata di questo essere immondo che sei diventato! E in verità potrai invocare ogni nume celeste, ma quella macchia  maledetta  non scomparirà, e piangerai e griderai e ti dibatterai, ma la tua colpa oscura ciò che di più bello hai fatto nel mondo! O forse no?
Forse bastano al tuo riscatto i gesti di quei cari fanciulli che sinceramente si abbracciano e sorridono insieme mentre si gioca, forse ti salveranno le lacrime di gioia in un giorno in cui nasce una nuova creatura, forse ti risparmieranno la pena quelle carezze delicate che nascono spontaneamente da due amanti che sono felici se insieme? Ma bada, tu che conoscerai questi miei pensieri, che queste mie parole non siano per te assicurazione che per ogni cosa tu voglia fare ci sarà sempre qualcosa d'altro cui rifarsi, a cui aggrapparsi per garantirti grazia. 
Vivi, poiché tu sei fatto per vivere, ma attento, sii attento e cauto, sii giudizioso, coraggioso, ma non avventato, lungimirante, ma non temporeggiatore. 

Io non so cosa sarà per te, poiché a me non spetta la decisione, ma so che davvero ciò che muove anche le stelle è l'amore …"

martedì 6 gennaio 2015

ANTALCIDA

"Ricordo ancora quando mi svegliai quella sera: lo spuntino nel pomeriggio mi era scivolato via dallo stomaco, il sole del giorno aveva lasciato il portico e le porte spalancate sul giardino e, fortunatamente, l'afa aveva ceduto il passo all'aria.
Galato mi ha svegliato alla solita ora, quando compare la prima stella della notte, quando tutti stanno preparandosi per andare a dormire.
Dopo essermi levato, una volta che Galato mi ebbe portato la brocca di ottone, mi sono sciacquato il volto: passatami la mano bagnata tra i capelli scompigliati mi vestii, pronto.
- Volete qualcosa da mangiare? Da bere?
- No, Galato, ma porta del vino freddo sulle terrazze: magari ne berrò poi …
E si congedò con il consueto inchino. Una volta che sentii svanire il suono dei suoi due ciondoli presi a trafficare con le mie carte. Non riesco a ricordare cosa stessi pensando in quei momenti: ero sicuramente un po' in trepidazione … in quella notte la luna non avrebbe illuminato con la sua violenza il resto della volta celeste e le stelle sarebbero state le uniche protagoniste della notte. So che potrebbe sembrare sciocca questa mia eccitazione per un cielo limpido, ma davvero allora ogni sera era per me attesa come fosse un figlio, come fosse un pargoletto aspettato per anni e anni e che arriva all'alba della vecchiaia …
Mi incamminai verso le scale esterne: Galato aveva già acceso le torce sulle scale perché non avessi problemi a salire fino alle terrazze; io, passando, le spegnevo ad una ad una, 'aprendo' così all'oscurità della notte imminente.
Il sole ormai non illuminava più e anche la prima stella ora non era più sola nell'immensità celeste, ma a poco a poco veniva raggiunta da tutte le sue compagne.
- Non c'è neanche una nube, nemmeno verso le montagne
- Bene bene, Galato, va' a spegnere anche le torce sulla terrazza alta, stasera ci concentreremo sul cielo ad ovest! Mi raccomando, abbassa il paralume e bada che quella luce lì non si spenga, altrimenti ti toccherà disegnare e annotare al buio!
Forse ero troppo severo con lui, in effetti era un ottimo servitore e mi dispiace che non abbia potuto anche lui vedere il b … no, procediamo con calma …
Mi misi in piedi proprio in cima alle scale e osservai il cielo …
- Galato! Guarda là! Spegni quel dannatissimo lume, non dovrai appuntare niente per ora: guarda!
Una stella sbriluccicò un po' e poi cadde, scivolò, come una goccia sul marmo, dal cielo.
Corsi su per le scale all'alta terrazza e cercai di capire dove era caduta la stella: tutte le stelle sembravano essersi spente verso oriente, come se al passaggio della loro sorella avessero distolto lo sguardo!
Oriente.
Quella sera non osservai altro se non quel piccolo pezzetto di cielo in cui la stella si era persa … qualcosa mi spingeva a quello straccetto di cielo, qualcosa mi obbligava a osservare quel piccolissimo brandello di orizzonte in cui tutto si era spento …
Passò del tempo dopo questa notte … tutte le sere aspettavo ancora quella stella, ma niente, il cielo sembrava tornato il solito, quello di sempre … Ma quella sera in cui una stella era caduta dal cielo non poteva rimanere un semplice ricordo lontano nella mia memoria, perdersi nei meandri della mia vecchiaia: un giorno avvistai da lontano una carovana che si avvicinava alla città e - seppi poi - ciò che interessava a quella carovana ero proprio io. Erano un gruppo di studiosi dei cieli che avevano sentito parlare di me e delle mie mappe e che, partiti per un viaggio verso oriente, avevano pensato di chiedermi consigli e informazioni.
- Perché siete in viaggio verso oriente? - chiesi loro appena si furono rifocillati, ma loro non risposero subito: si guardarono silenziosi, in dubbio sul rivelare o no i loro scopi.
- Vedete, Antalcida, noi siamo tutti studiosi delle stelle e dei loro movimenti e viviamo ai confini con le terre del Grande Fiume, al limitare del dominio del nostro Gran Re … una notte di un paio di mesi fa eravamo tutti intenti a studiare il cielo, ad osservare una limpida notte senza luna quando …
- Quando dal cielo è caduta una stella!
- Avete veduto anche voi?!?!
- Sì!
- E vi siete anche voi stupito?!?!
- Certo che sì: non avevo mai veduto una sola stella cadere in tutta una notte: quando una di loro cade di solito non è mai sola e di solito il luogo in cui esse spariscono non rimane immerso nell'oscurità!
- Ecco! Anche noi rimanemmo grandemente stupiti di questi fatti e ci impegnammo immediatamente a capire dove, esattamente, fosse svanita la stella; fatto ciò, ci ricordammo del sapere antico: "La morte di una stella in cielo, la nascita di un grande sovrano in terra"
Ci mettemmo subito in viaggio per conoscere un sovrano tale da dover essere onorato anche dalle forze della natura … ed eccoci qui, in viaggio verso la Palestina …
- Verrò anche io
E mi misi davvero anche io in viaggio verso la terra che fu dei Filistei …
Ricordo ancora quando arrivammo finalmente davanti a quel Re … i miei compagni avevano mal interpretato, in origine, la verità conservata nel sapere antico: un Re era sicuramente nato, ma non di quelli con corone e scettri …
Quel bambino mi rimarrà sempre nel cuore … non potei offrire nulla, io, perché non avevo pensato a prendere con me, per il viaggio, un dono per il nascituro … loro offrirono oro, incenso, mirra (doni per un re di questa Terra) … io offrii carezze, sorrisi e solletico (doni per un bambino che questa Terra avrebbe cambiato!)"

memorie di uno dei quattro magi

giovedì 1 gennaio 2015

FOGLIO DELLA SOLITUDINE #1

Perdonate la mia stupidità.

Sempre più spesso mi sento stanco, di quella stanchezza che non viene dalla fatica delle membra, che non nasce dalle tensioni dei muscoli, che  non sorge dallo sforzo del corpo; mi sento stanco di quella stanchezza che ti abbatte a terra l'animo e non riesci a sollevare gli occhi a guardare ciò che sta sopra di te, quella stanchezza che ti spreme ogni tua goccia di volontà lasciandoti in una pozzanghera di inerzia esistenziale, quella stanchezza che ti schiaccia verso un soffocamento di tutte le tue speranze, di tutti i tuoi sogni, di tutti i tuoi desideri ... e sempre più spesso mi ritrovo a scorrere la rubrica, o l'elenco dei contatti, a osservare velocemente, uno dopo l'altro, quei nomi, cercando di ascoltare il loro suono nelle mie orecchie, e tentando di percepire, in quei suoni immaginati, un qualcosa di amichevole, un qualcosa di benevolo. Ma man mano che ripeto quei nomi, man mano che scorro quelle liste mi invade sempre di più un senso di solitudine.
Quando penso all'amicizia ho due reazioni diverse, che mi prendono in base alle condizioni del mio spirito nel momento in cui mi sorge tale pensiero: quando sono felice, o meglio, spensierato, quando riesco a dimenticarmi di ogni cosa e mi sento leggero e solare, in pace con me e il mondo, allora, se penso all'amicizia, mi si presenta davanti una lunga teoria di volti sorridenti, disposti ad ascoltare, pronti a consolare ... quando sono nella mia situazione abituale, invece, cioè solo, concentrato sulle mille e mille cose della mia pur breve vita, allora, se penso all'amicizia, non giunge in conforto nessun nome, nessun volto, nessun sorriso ...
A che serve ricordarsi degli amici solo quando si è allegri e spensierati? Gli amici non dovrebbero esserci anche nel momento del bisogno? La loro mano non dovrebbe esserci sempre, sia nella felicità, per applaudire con me, sia nella delusione e nella tristezza, per donarmi una carezza?
E anche adesso sono qui, che scorro con il mio dito infreddolito la schermata: una serie lunghissima di nomi, che in questo momento non mi dicono nulla, non mi trasmettono niente ...
Continuo a osservare dei nomi in particolare, dei nomi che vorrei che si svegliassero e venissero loro da me, senza bisogno ch'io li richieda ... ma davvero è difficile che questo accada? Davvero sogno qualcosa di assolutamente irrealizzabile? Davvero mi perdo in desideri che suonano più come utopia che come possibilità alle orecchie di Dio?
Ché poi magari mi scrive qualcuno, qualcuno mi cerca, ma spesso non è la persona giusta, non è quella che aspettavo, non quella che desideravo per me ... me ne dispiaccio, perché forse anche quella ha bisogno di me, ma io non lo so, non so se posso essergli utile ...
Veramente in pochi capiscono questo, perché poi ci sono coloro che hanno imparato a riempirsi la vita, il tempo con ogni sorta di occupazione, che hanno così tanti interessi da parer poco il tempo per seguirli: io, invece, cos'ho?
Rimango ancora in questa pozzanghera di inerzia, di immobilità e stordimento. 
Io ancora attenderò quel messaggio, quel sorriso, ma so di certo che non mi raggiungerà mai ... so che, almeno per ora, e ancora per qualche tempo, rimarrò qui, solo ...