MARTEDÌ
mattina - 1
"Che palle 'sta pioggia!" pensava
appoggiando la sua fronte al vetro freddo. Era l'ennesimo giorno che iniziava
con quel grigiore muffito: il noce del giardino davanti era appesantito dalle
goccioline che continuavano a battere sulle foglie verdi. Qualche uccello
attraversava il cielo e si posava al riparo di qualche grondaia dove iniziava a
scuotersi le penne.
«Ti porto in macchina! - tuonò la voce soave di sua
madre dall'altra stanza – Piove!»
Si staccò dalla finestra rattristata ancora di più:
già aveva dormito poco, in più la giornata iniziava nella muffa piovosa; almeno quel giorno non ci
sarebbero state verifiche. Ma non aveva proprio voglia di vedere i suoi
compagni, non voleva passare anche quel giorno davanti a tutti quegli sguardi
odiosi, avrebbe preferito stare con Adriana, perdere tempo con lei a fare stupidaggini,
a ridere, o guardare qualche film. Ma non poteva quel giorno: Adriana aveva due
verifiche e non poteva balzare la giornata.
Andò in
bagno, dove, appena accesa la luce sullo specchio, ritrovò quel volto stufo,
abbattuto, decisamente non felice. I suoi occhi erano arrossati dall'ennesima
notte passata a dormire male, tormentata da mille pensieri, trascorsa a sentire
la mancanza di Adriana; la pelle era molla, cadeva stanca, assonnata … con che
coraggio uscire di casa? Perché non tornare ancora nel letto, tra le coperte a
immaginare che Adriana fosse lì a coccolarla con le sue parole coraggiose, con
la sua forza, la sua vitalità.
Questo era
il momento del miracolo giornaliero, quel miracolo fondamentale che le
garantiva di poter affrontare le ore successive con meno svilimento: aprì
l'acqua e la lasciò scendere tra le sue mani mentre da fredda diventava
tiepida, calda, bollente. Il calore partiva, allora, dalle dita, dai palmi e in
un brivido scivolava per tutto il corpo scuotendola tutta, rinvigorendo ogni
membra della sua magrezza. Fece una ciotola con le proprie mani e raccolse
l'acqua che iniziava ad intorbidirsi, a farsi opaca. Affogò il suo volto e
sbatté le sue dita contro il viso, sentendo sotto le falangi ogni osso del
viso, ogni curva …
Si drizzò
di nuovo davanti allo specchio e ora c'erano degli occhi un po' alleggeriti
rispetto a prima, c'era un colorito rosato su quella pelle che pareva più soda,
più viva, riempita quasi. Ecco che ancora una volta s'era compiuto il miracolo
e quel viso cadaverico era scomparso, trascinato giù nello scarico dall'acqua
bollente del rubinetto; nel lavandino riconosceva ancora, nell'acqua che
tentava di scendere giù abbondante, lottando per scivolare via tutta, un tratto
di quella stanchezza, intravedeva ancora quelle palpebre pesanti, ma in pochi
attimi tutto fu inghiottito dalle fogne e almeno l'aspetto di Beatrice era,
ora, quello di una ragazza normale, non felice di andare a scuola, ma nemmeno
tremendamente scossa dalle ansie del suo cuoricino.
Si vestì
in fretta, indossando una delle magliette che più piacevano ad Adriana - era
una t-shirt semplicissima ma su un seno c'era cucita una minuscola coccinella
che, con il suo rosso, risaltava sul tessuto celeste chiaro.
In
macchina sedette dietro, come tutte le mattine, cercando di ignorare le urla
feroci di sua madre perché una vecchietta s'era buttata in mezzo alla strada e
ora impiegava ore per raggiungere l'altro marciapiede, o perché un deficiente
aveva pensato bene di sfrecciare con la sua bicicletta tra il traffico
intasatissimo di quella giornata piovosa.
Di
sottofondo scorrevano le canzoni che qualcuno sceglieva per le loro mattine,
tutte commentate da una voce estremamente fastidiosa di una qualche checca che
emergeva verso la fine dei brani, quando le voci dei cantanti sfumavano verso
il silenzio.
Alle
fermate degli autobus davanti alla stazione s'accalcava una mandria infinita di
studenti che attendevano tutti il loro pullman, estremamente eccitati
nell'attesa di un'altra entusiasmante giornata di scuola: là c'erano i fattoni
che si lasciavano elegantemente andare a sputacchi diffusi attorno a loro, per
eliminare in qualche modo la straordinaria quantità di saliva che riuscivano a
produrre; le ragazzine diligenti si riparavano in otto sotto un misero ombrellino
con una stecca rotta: ridacchiavano o s'insultavano, inspiegabilmente accaldate
in quel clima piovoso; i 'normali', poi, erano semplicemente i meno strani:
qualcuno fumava la sua sigaretta, qualcuno messaggiava con chissà chi, qualcuno
si preoccupava di riuscire a salire sul pullman giusto in mezzo a quel
disastro.
Finalmente
qualche autobus arrivava e allora erano scene meravigliose: in una scatoletta
malandata s'ammassava un'infinita quantità di carne umana. Quando era il
momento di chiudere le porte, poi, o una mano troppo inanellata di un fattone,
o uno zaino con un quaderno di troppo, o un sedere di fanciulla non proprio in
forma faceva sì che il braccio o il piede di qualcuno rischiasse l'amputazione.
A quel punto le porte si rifiutavano di compiere tale intervento ed era
straordinario vedere tutta quella gente tentare di riposizionarsi per occupare
ognuno ancora meno spazio. In qualche modo si trovava una quadra e finalmente
si partiva, si partiva con fatica verso un luogo che avrebbero tutti evitato
molto volentieri.
«Non so se
riesco a passare a prenderti: ti mando un messaggio»
«Va bene …
tanto forse esco prima: se manca Alighetti (come è possibile visto che mancava
anche ieri) all'una esco e torno a casa a piedi»
«D'accordo,
basta che me lo dici»
La scuola
iniziava ad intravedersi lontano, nel suo magnifico color topo morto. Lungo la
strada qualche altro folle avrebbe tentato di suicidarsi solo per raggiungere
un branco di suoi amici dall'altra parte, ma ormai tutti erano abituati a
quello e faceva parte dell'imparare a guidare in città; un po' come quelle
prove di Scuola di Polizia in cui devono entrare in un percorso e sparare solo
ai cattivi ed evitare gli 'indifesi': qui bisognava tenere gli occhi non
aperti, non spalancati, ma direttamente fuori dal parabrezza per avere una
vista a trecentosessanta gradi sulla strada.
«Ciao!»
«Ciao …»
si salutarono le due donne: la madre aveva tentato un po' di colore nel tono di
voce, la figlia l'aveva stroncata con la solita secchezza, con il solito tono
annoiato, stufo.
Ecco
l'altro miracolo che si ripeteva ogni giorno: Beatrice si ritirò nel suo
angolino, al riparo del suo ombrellino verde acqua - un ombrellino terribile,
ma ch'era l'unico sopravvissuto di una lunga schiera! - ad aspettare.
> Dove
sei?
» Arrivo:
il pullman sta girndo ora
L'immancabile
errore nel digitare era la conferma che a scrivere era una che odiava i
telefoni, gli smartphone e tutto ciò che sia tecnologico: Adriana era così, e a
lei piaceva che fosse così. Mentre
leggeva il messaggio comparve il primo sorriso della giornata, un sorriso che
le scaldava il cuore ancor meglio che l'acqua bollente del rubinetto. In quei
momenti, assurdamente, si accorgeva di quanto fosse contenta di avere Adriana:
in altri momenti le mancava se era lontana, quando era con lei e parlavano
stava bene ed era in pace, ma c'erano delle cose che le davano una gioia tutta
particolare, una contentezza unica e straordinaria. Erano i momenti in cui,
magari, Adriana stava parlando con i suoi compagni, mentre rideva bellamente
per una battuta particolarmente spassosa: Beatrice la osservava, anzi no, la
spiava e nel suo cuoricino sentiva un piacere immenso, quasi che in quello
sguardo segreto ci fosse qualcosa di portentosamente potente, in grado di
cancellare tutto il resto.
Il pullman
ora lo vedeva avvicinarsi lungo il viale, affiancato da tante macchinine tutte
colorate, battute tutte da gocce incessanti. Oltre il parabrezza si vedeva un
ammasso informe di esseri umani (?) incastrati l'uno sull'altro, impilati come tanti
mattoncini di forma diversa, un Tetris in carne ed ossa! I giubbottini colorati
nella penombra dell'autobus stingevano in un marrone-nero vomitevole, una massa
di colore indistinta. Finalmente si fermò davanti alla fermata e le porte
s'aprirono, sbattendo contro i gomiti di qualche malcapitato. Tutti si
rovesciarono fuori, quasi che quelle fossero bocche in preda al vomito. Man
mano che la gente saltava giù qualcuno apriva agilmente il proprio ombrello,
qualcun altro correva a ripararsi da un'altra parte.
Eccola,
là. In un istante rapidissimo s'era fermata sulla soglia dell'autobus e aveva
dato uno sguardo tutt'attorno: s'erano viste e lei aveva ripreso il suo
movimento interrotto, precipitandosi anche lei giù dal pullman.
Le corse
incontro senza aprire l'ombrello. Appena arrivò sotto quello di Beatrice le
disse «Ciao!» con una voce allegra e particolarmente acuta e poi le diede un
bacio, non permettendole di rispondere a parole.
Le piaceva
ogni cosa di Beatrice, ma una delle cose che più adorava era il suo gusto:
all'inizio sentivi il dentifricio, o la cicca, che le insaporivano la bocca di
menta, ma poi era come se sentisse il sapore di lei stessa, un sapore solo per
lei, che nessun altro avrebbe potuto sentire, gustare.
«Ciao -
disse Beatrice quando le labbra si staccarono le une dalle altre; nella sua
voce, quando parlava con Adriana, c'era un colore nuovo, un colore insolito,
emozionato e, stranamente, felice - sei pronta per storia e fisica?»
«Sì -
rispose lei, guardandola negli occhi con molta semplicità, infilando le sue
mani nelle tasche della sua ragazza - cioè, andranno uno schifo entrambi, ma
chissene: speriamo di riuscire a copiare qualcosa!»
«Ciao
ragazze!» le salutò un compagno di classe di Beatrice.
«Ciao!»
«Ciao!» risposero quasi all'unisono.
«Dai
iniziamo ad andare sotto» propose Adriana, prendendo sotto braccio Beatrice,
stringendosela tra le braccia.
Camminavano
parlando di niente, con quella leggerezza che è la serenità dell'amore dei
giovani, quando si passa il tempo a ridere ed essere semplicemente felici,
quando non si hanno sensazioni assurde, ma semplicemente si sta bene con
qualcuno, si desidera godersi questo qualcuno ogni minuto di ogni giorno finché
non si ha la nausea - non tutti i giovani sono così, purtroppo, ma Beatrice e Adriana lo erano, forse mosche rare in un
mondo che dimenticava a poco a poco quest'amore giovane.
Camminavano
con il cuore leggero, felici, semplicemente felici, ignorando la pioggia che
picchiettava sull'ombrello, ignorando le pozzanghere che si presentavano man
mano. Non c'era niente che le potesse disturbare.
Il viso
stanco e stufo, abbattuto di Beatrice era scomparso nello scarico con l'acqua
bollente, inghiottito dalle fogne.