martedì 30 settembre 2014

GALEOTTO FU IL PANINO E CHI LO FARCI'

Un complice è un alleato, un 'socius' latino che è fondamentale in una guerra, magari non un conflitto a fuoco, ma pur sempre una guerra.
Ho scoperto cosa sia l'amicizia in un sogno, in una notte di straordinaria ansia.

Sotto al tendone i bambini giocavano: tutti stipati in un rettangolo asciutto, fuori diluviava, pioveva come piove in certi giorni d'estate, come se qualcuno, da lassù, si stesse divertendo a buttar giù botti intere d'acqua fresca.
Qualcuno - i più casinari - di colpo scappava da sotto la plastica biancastra attraversando l'oceano di fango che a poco a poco andava formandosi; ormai gli animatori nemmeno ci provavano a rincorrerli: guardavano, braccia conserte, appoggiati al palo, osservando 'sti mongoli smaniosi di infangarsi e infradiciarsi.
Ah, quanti di loro avrebbero voluto correre anch'essi sotto i goccioloni e tra il fango.
Qualche bambino sedeva al limite, quasi quasi sotto la pioggia, osservando il prato e giochicchiando con le mani, tormentandosi le pellicine delle unghie.
Qualche bambino saltava la corda rischiando di frustare altri che giocavano a carte, questi scatenandosi a invocare sul 'campo di battaglia' creature dal nome assolutamente assurdo!
Ottorino era un bambino un po' 'sfigatino' - passatemi questo termine! - ed era anche alquanto preso in giro: appena nato era stato evidente un problema agli occhi e infatti era ora obbligato, a sette anni, a muoversi con degli occhialetti più pesanti di lui per poter provar a vedere ciò che lo circondava.
Forse perché un difetto crea altri difetti, ma anche la testa era strana e 'bruttina': enorme, esagerata e triangolare, bionda, ma con capelli sottili e spiaccicati sulla fronte.
A peggiorare il tutto era il suo colore: due giorni prima di questo delirio erano stati tutti in piscina e lui, delicato delicato, si ritrovava completamente ustionato, color dell'aragosta!
Fondamentalmente un disastro.
In quella ressa di bambini urlanti e scalpitanti, uno di loro attendeva con ansia il momento della merenda per raggiungere, finalmente, il suo bramatissimo panino alla Nutella.

Finalmente gli animatori urlarono al microfono - per la gioia degli abitanti del vicinato - che era ora della merenda!
Ormai non pioveva più come prima, ma soltanto scendeva una leggera pioggerellina fresca, quasi un vaporizzatore in un luna-park.
La massa corse, corse e corse, informe, urlante, gaudente e assolutamente affamata! Poco mancò che qualcuno venisse calpestato.
Come se non avessero conosciuto il piacere di un pasto da anni e anni, si accanirono sulle loro merende in  maniera disumana, animalesca, bestiale!
Ottorino anche in questo era per l'ennesima volta uno sfigato: la mamma non gli aveva preparato alcun panino, nessun pacchetto di patatine ... nemmeno una caramella!
Prendendosi il suo zainetto - vuoto - si incamminò. Sedette sulla scalinata della chiesa, protetto dalla tettoia dalle goccioline sottili sottili.
Due gradini sopra di lui qualcun altro si era sistemato comodamente, appoggiandosi alla parete per sentirsi proprio a proprio agio. 
Una volta che fu soddisfatto della sua posizione aprì lo zainetto e ... meraviglia delle meraviglie: un panino lungo quanto il suo avambraccio, imbottito generosamente di crema al cacao e nocciola - dalla mano amorevole della nonna, poiché la mamma mai avrebbe imbottito così il panino - gli comparì in mano!
Stava per morsicarlo, pronto a godere di quel gusto così piacevole quando vide un bambino che non mangiava. sembrava un po' triste.
Gli si avvicinò e disse: "Ne vuoi un morso?"

giovedì 25 settembre 2014

JD 00 Aa 067

Quanta fatica mi costa tutta questa messa in scena? Mi accorgo del fatto che tutto ciò sia null’altro che uno spreco, un’inutile scialacquamento di un animo incosciente. Sono forse allora uno stupido?
Sono decisamente uno sciocco, uno stolto che non si accontenta di vivere il proprio giorno, che si illude e si raggomitola nei propri sogni, nei propri desideri. Sono un’incoerente incostante. Un demente impaziente.
Un sapiente ignorante.
Quest’ultimo è un ossimoro, eppure è così tanto una verità che mi sconvolge la potenza di queste due parole affiancate e riunite in me. Sapiente ma allo stesso tempo ignorante, consapevole ma volutamente dimentico delle mie consapevolezze. Che sciocco che sono! Sono davvero l’essere più stupido che possa essere mai esistito.
Per non parlare di questa mia mania di dover sempre essere sorridente, sempre gaudente, sempre felice. Ho abbandonato il me triste e sconsolato per apparire sempre come l’incarnazione dell’allegria.  Sono un demente. Un malato di cervello e di cuore. Affetto da una patologia che si scatena con sintomi al cuore e al cervello, all’animo e all’intelletto. Sono un pazzo sconclusionato, sono un malato e non di una malattia immaginaria, che esiste solo perché voglio vedermi in essa, no!, sono malato della malattia più curiosa e più ‘bella’. La follia.
Esiste una malattia più bella? Io credo di no, no, non esiste una più straordinaria patologia: vivere nell’eterno illudersi, circondando di null’altro che illusioni il mio essere, affogando in un mare di null’altro che immagini fittizie, false! Ma sono poi false?
‘falso’ è un termine ‘negativo’, invece ciò che mi circonda è così straordinariamente bello, è così straordinariamente entusiasmante. Oddio. Entusiasmante? Per più delle volte è solo una sofferenza tutto questo, ma anche il dolore è esperienza in un certo senso piacevole, in un certo qual modo goduriosa.
Ma quanta fatica è questa malattia?! Ogni giorno c’è qualcosa di mutato eppure tutti i giorni, se osservo all’indietro, nel passato, paiono uguali, paiono rincorrersi costantemente.
Sono un folle?
Sì, anzi, io sono come Quasimodo: sono il re, il papa dei folli! E non solo per il giorno dell’Epifania, no!, lo sono per la vita, per tutta l’esistenza, per l’eternità.

Nei secoli dei secoli. Amen.

martedì 23 settembre 2014

IL MONACO

Il monaco camminava mestamente all'ombra della pergola. Il glicine scendeva profumato, brillante  e profumato. Questo nostro monaco amava quella sorta di passeggiatina che si concedeva ogniqualvolta gli era possibile: se fuori non pioveva - e non aveva di che occuparsi - usciva sotto quella pergola e camminava per almeno una mezz'oretta, perdendosi nei suoi pensieri, come protetto da quella specie di impalcatura di pali e rami.
Quel giorno in particolare il nostro monaco pareva triste e abbattuto, sconfortato da qualcosa: la sua fronte, invece che aggrottata nel ragionare, era rilassata, fin troppo,  e pesava sulle sopracciglia che gravavano, a loro volta, sugli occhi semichiusi, lucidi, pronti al pianto più disperato, ma sottomessi al più allenato contegno di sempre. Le braccia, solitamente riunite sul davanti, pugno dentro mano aperta, erano spinte dietro la schiena, le mani serrate l'una nell'altra. La schiena, gobba non per malformazione ma per vecchiaia, era tesa e rigida, così come i suoi passi: lenti, affaticati e rigidi.
Ma cosa agitava l'animo di questo monaco?
ormai era arrivato alla fine del suo percorso - mancava davvero molto poco - dove il muro perimetrale gettava la sua fresca ombra. Il sole baciava i piedi, ben infilati nei sandali, e stuzzicava appena la vista del consacrato. Qui c'era, a fianco della pergola, un folto roseto che però, purtroppo, non dava più i suoi fiori, privando quell'angolo di giardino di un po' di profumo, di un po' di bellezza.
Le lacrime premevano a poco a poco sempre di più e trattenerle costava, ora, una fatica notevole: si portò le mani agli occhi, come fanno molti prima di piangere, poiché sperano che questo impedisca le lacrime.
Per pochi attimi la luce del giorno svanì, il sole splendente sopra le foglie tramontò improvvisamente, il glicine continuò a vivere solo per il suo odore e i sassolini del sentierino solo per lo scricchiolio continuo.
Tolse le mani.
Tutto inutile, le lacrime continuavano in modo via via più violento a pretendere che fosse concesso loro di scendere, di inondare gli occhi e rigare le guance.
Un giovane uccellino si posò davanti al monaco, proprio su quella che era la direzione dell'uomo, ma a poco a poco che questi si avvicinava, il volatile non pareva impaurito, anzi, più risoluto e deciso a rimanere immobile lì dov'era.
Il monaco camminava e le lacrime premevano, poi giunse all'uccellino, proprio lì, uno a pochi centimetri dall'altro: nonostante la disparità di dimensioni ovvia tra i due, era come se l'uomo, grande e alto, fosse lui al cospetto della creaturina.
In qualche modo si guardarono, come si guardano due amici per intendersi subito, si guardarono e - non saprei dire come - l'uccellino disse qualcosa: non dovette aprire il becco, semplicemente osservando l'animale il monaco intuì qualcosa, come se la vista del volatile avesse fornito la chiave di volta di tutti i suoi pensieri.
Be', allora l'uccellino prese il volo, scomparendo nella luce, allora il monaco si mise a correre, si precipitò dietro il roseto sterile di fiori, sedette al muro nell'ombra e lì, protetto dal mondo, causa dei suoi dolori, pianse. Pregò e pianse.

martedì 16 settembre 2014

AL MERCATO

Le puttane erano dovunque, erano dovunque! Guardavi a destra: puttane! Guardavi a sinistra: puttane! Ovunque solo prostitute in minigonne, ovunque trans che mal celavano il loro membro. Chiudevi gli occhi: puttane!
Davanti a quel bar c’era l’ennesimo frocio travestito, mal truccato e con i capelli unti. Le donne ‘vere’ parevano considerarlo uno dei loro, uno delle tante troie che cercano i venti euro per la nottata.
Quel signore aveva in mano una bottiglia e continuava a bervi la sua birra; ad un certo punto la birra finì e, stordito dall’alcol, si ritrovava con la bottiglia in mano, senza sapere cosa farne. Una delle zoccole si accorse di quello che succedeva e sorrise avvicinandosi al signore. Prese la bottiglia e l’uomo non si oppose. Lei la avvicinò alla sua pancia, poi scese ancora e la bottiglia sparì sotto la minigonna.
La prostituta rese la bottiglia all’uomo. Sorridevano entrambi: lui si sentiva uno stallone, lei era ‘accattivante’.
Passarono la notte insieme e lui le diede la mancia per la bottiglia.
Anche davanti a quel locale c’è un trans. È conciato meglio della maggior parte dei travestiti. Sembra quasi una donna, solo gli zigomi, se si osserva attentamente e non si è storditi dall’alcol e dalla droga, suggeriscono qualcosa. Dalla gonna aderente non si intravede nulla di ‘sospetto’. Sembra davvero una puttana normale.
Ecco che un uomo si avvicina. È grasso, avrà cinquant’anni. Contrattano il prezzo. È evidente.
Il trans gli accarezza la panciona e sorride. Non si sente ma sicuramente gli sta facendo degli apprezzamenti. Complimenti falsi, di circostanza: se il ciccione non lo capisce è un deficiente!
Lui ride. Una risata grassa e soddisfatta. È deficiente: crede ai complimenti.
La mano del trans scende, piano ma scende. Sfiora i calzoni. Un brivido percorre il ciccione. La mano si fa audace e tocca.
Il prezzo è deciso.
Peccato non sapere la faccia di quel ciccione quando troverà la sorpresina!
Ma magari gli piacerà. Forse non gliene importerà: un buco c’è, basta usare quello.
Per terra vicino al marciapiede c’è una prostituta. Ha un livido sul mento e uno sopra un occhio. Colpa di un balordo ubriaco che lei ha approcciato male. Probabilmente è morta. Ma se non è morta adesso lo sarà presto: il pappone si incazzerà come una iena.
Una bambina e seduta su uno scatolone ed è affiancata da due zoccole. La fanciulla è un pezzo pregiato, una fichetta preziosa che si vende ad un prezzo esorbitante: quaranta euro!

Le puttane erano dovunque … e dovunque c’erano puttanieri. 

giovedì 11 settembre 2014

JD 00 Aa 068

Sarò la causa della mia rovina. Mentre tento di decidermi ad abbandonare i miei sogni mi coccolo in essi, accendo le casse e ascolto, cantando, tutte le canzoni, tutti gli intermezzi, mi recito interi spettacoli, e gioisco, mi compiaccio di me, mi immergo in questi miei piaceri, consapevole di rendermi soltanto più triste! Più mi concedo questi piccoli piaceri (che invero sono immensi e immani!) e più mi riuscirà difficile dire stop a tutto questo, più mi riuscirà difficile abbandonare i sogni dolci di spettacolo.
Eppure il richiamo del palcoscenico – anche per la mia personale gloria – è troppo forte, violento! Io voglio la fama, ma voglio anche offrirmi come un agnello sacrificale per il benessere di tutti: voglio essere la visione catartica del teatro di cui parlava Aristotele, voglio che le persone vedendomi si emozionino, riflettano in qualche modo, si divertano anche (perché no?!).
E allora proseguo in queste mie recite malate, queste mie esibizioni private, questi miei spettacoli intimi, ma proseguo nell’aggravare la mia condizione: come una persona che soffre per genetica di colesterolo alto e non cessi di concedersi i salumi, il burro, eccetera!
Sto diventando un monomaniaco, un ossessionato, un pazzo!
Cosa faro? Come posso guarire io da questa patologia? Come posso affrontare io questi sintomi così evidenti?
E dovrei parlarne, forse, sicuramente. Ma io non ho con chi parlare, non perché non conosca nessuno, ma perché è impossibile parlarne: sogno di parlare davanti a centinaia di persone e non riesco a parlare a una. Strano?! No!
Io parlerei di un me diverso, sarei qualcun altro, nessuno dovrebbe più accorgersi di chi è dentro quel costume! Io parlerei al mondo di un me estraneo a me, di un me che io ho SCELTO di accogliere dentro di me solo per la durata della messa in scena.
Oh, deliro!
È delirio o realtà?
Mi sembra di avere letto queste ultime quattro parole in Dostoevskij … sì le ho lette lì, più o meno sono queste. Ma anche se non sono le esatte parole sono l’esatto stato in cui mi ritrovo!
Ah!
Oh!
Voglio solo essere in grado di spegnere le riproduzioni che mi impongo come tortura; vorrei essere in grado di chiudermi nel silenzio assoluto. Invece, quando riesco a spegnere la musica, ecco che i miei silenzi si riempiono improvvisamente da soli di altra musica, direttamente, mia: la mia voce si ricorda cosa ha ascoltato e le parole delle canzoni paiono sempre perfette al mio stato d’animo.
‘Cieco e indifferente persi tutto!’ ‘Dio ma quanto è ingiusto il mondo! Zero a noi e tanto a loro!’
Mi sorgono spontanee e mi obbligano a soggiacere ancora al fascino della musica, dello spettacolo, dell’emozione.
Ah!
Oh!
Ecco che mi ritrovo ad avere scritto un’altra pagina di lamentele e tristi invocazioni, ma queste lamentele sono le uniche cose che mi rimangono, sono le uniche parole che sono ancora in grado di esprimere riguardo la mia intimità!
Ah!

Oh!
Delirio!

giovedì 4 settembre 2014

'SONO OMOSESSUALE, SONO CATTOLICO'

‘Posso negare di esclamare ‘Che gran pezzo di pino è quello lì?’ quando mi si pare davanti l’immagine di un ‘bel fiulin’?  Non posso.
Posso negare di trovare conforto quando, la domenica, in chiesa si intona il ‘Gloria’? Non posso.
Sono omosessuale, sono cattolico. È effettivamente un’espressione ossimorica, tuttavia è realtà.
“È assurdo che un gay sia cristiano!” dirà qualcuno “perché la chiesa non accoglie i gay! Se uno è cristiano non può essere gay!”. Io a questo non rispondo.’

‘L’omosessualità è sbagliata, forse anche contro natura (infatti perché alcuni altri animali la pratichino non significa che questo coinvolga anche la specie umana), eppure io sono omosessuale: non è una scelta, non ho una diabolica perversione che mi attira verso le persone del mio stesso sesso, non lo faccio perché è moda, per distinguermi, ma semplicemente ho scoperto di riuscire a voler bene in una maniera particolare solo a quelli dello stesso mio sesso.
Io non provo (solo) attrazione sessuale, l’istinto animale, verso (certi, alcuni) maschi, anzi: a volte quello che provo va un po’ oltre la figura, l’immagine, la mera forma. Io mi sono scoperto capace di amare (anche se la definizione di questo verbo è secondo me ancora in discussione) solo persone del mio stesso sesso! Ripeto: mi sono scoperto. Non c’è stata premeditazione, non ‘dolo’, solo il sentimento; questo è nato da sé, inatteso, anche un po’ a sproposito.
L’omosessualità non è forse (non dico no) naturale, non è forse ‘corretta’, ma c’è, e non è un atteggiamento, una scelta, una predisposizione, assolutamente no! È l’essere di molte persone, è l’intimità di persone di ogni nazionalità.’

‘Il cattolicesimo è una religione, un ‘movimento’ (parola terribile!) che raccoglie migliaia di persone, milioni di persone. Il cattolicesimo è una fede ed è fede (perdonate la sottigliezza) ed è la fede che io sento, che io ho, che io ‘tento’ di avere, che io VOGLIO! A me, personalmente, la Parola ha detto qualcosa, mi ha svegliato qualcosa, mi ha svelato qualcosa, e non posso scegliere di dimenticarmene, di abbandonarla, non perché ciò mi sia impossibile, no!, non posso perché non voglio! Io sono un cristiano che crede in Cristo, un cattolico che ascolta e rispetta l’insegnamento della Chiesa di Roma: credo in Gesù, (tento di credere – poiché è logicamente più difficile da comprendere e dunque lo assoggetto alla mia ragione) in Dio Padre, nella Vita Eterna e negli Angeli! Io credo, voglio credere e ciò è parte di me, parte del mio essere più intimo e personale, del mio cuore.’

‘Dunque nel mio cuore, nel mio io convivono due nature discordanti, dunque nel mio cuore, nel mio io ci sono omosessualità e religione cattolica: sono forse malato? Pazzo?
Non so, però so per certo che ogni tanto mi stupisco della leggerezza con cui il mondo cristiano apre a membri di altre religioni, a gente ‘diversa’, ma appare continuare a negare un po’ di pace a noi omosessuali: non pretendo (perché so che non è giusto) che gli omosessuali siano come gli ‘altri’, che abbiano la totalità dei diritti degli eterosessuali, però io non chiedo altro che un’apertura, una sorta di accoglienza … un abbraccio.
Checché se ne dica: i gay hanno un’anima e forse qualcuno desidererebbe preoccuparsene.
Sono omosessuale, sono cattolico: non sono due persone, sono solo io e dovrei essere felice di me, eppure non lo sono.’

Sono parole di un omosessuale che non ha alcun problema con la sua religione, ma che per la sua religione ha problemi con la sua sessualità. Rileggendo queste parole sono tante le riflessioni che dovrei e vorrei fare, purtroppo però alcune di queste riflessioni rimarranno segregate nell’animo.
Sebbene il mondo avanzi, sebbene il mondo paia espandersi in un abbraccio totale di ogni cultura e nazione, la condizione di omosessuale è ancora qualcosa di estremamente delicato; di certo i razzismi – di ogni genere - sono (purtroppo) all’ordine del giorno, ma talvolta sorge l’impressione che ci siano dei razzismi di serie A e dei razzismi di serie B, razzismi degni della disapprovazione dell’opinione pubblica e razzismi assolutamente dimenticati e sottovalutati. La colpa è di nessuno, ma di certo la violenza su una donna (crimine orrendo, che meriterebbe punizioni esemplari) è in un qualche modo più ‘attraente’ - e allora ne parlano giornale e telegiornali, radio e tv – piuttosto dell’ennesimo ragazzo che, oggetto di scherzi e insulti, si suicida: la prima notizia circolerà per giorni e settimane, la seconda sarà oggetto di un telegiornale (forse due) per ogni rete e magari (se non si troverà di meglio) di una puntata in un talk.
Sant’Agostino, poi, diceva che nessuno è più colpevole di un sodomita e sembra che questa cultura dell’omofobia (apprezzabile in un Padre della Chiesa) si sia propagata in ogni dove, riempiendo il mondo – che prima non vietava la pratica a parte qualche eccezione – di puritani e puristi, che cedono a qualsiasi perversione, ma che non permettono che qualcuno esprima il suo essere in toto!

‘Sono omosessuale, sono cattolico’ … siine orgoglioso! 

martedì 2 settembre 2014

UN'ALTRA STORIA BREVE

In principio era il caos, una massa informe di massa non ancora tale, un caos che non avrebbe avuto par sulla Terra, nelle stanze dei bambini dopo un pomeriggio di giochi, oppure sulla scrivania di uno studioso impazzito per scrivere la conclusione del suo articolo … uno sconvolgimento assoluto, senza forma e senza nulla che potesse averne una.
Dunque in principio era tutto e nulla, era pieno e vuoto, era infinito e eterno, ma finito e istantaneo. Il caos insomma! (ringraziamo la nostra lingua che ci concede un vocabolo tale!)
Ma poi qualcosa cambiò, non si sa esattamente come, non è comprensibile ed esprimibile, e forse non bisogna nemmeno provare a capirlo: accadde e fu ‘cosa buona e giusta’.
L’ordine a poco a poco iniziò a organizzarsi, da solo si impose, dal nulla, e a poco a poco (estendendosi) organizzò tutto, tanto da sembrare che tutto si a sempre stato ordinato … qualcosa sembrerà ancora sfuggire alla ‘regola’, eppure anche in loro qualcosa c’è … il loro moto in qualche modo sarà utile.
Questa è la nascita dell’universo? No!

Quello che vi ho raccontato è la nascita di un’idea.







In realtà tutto quello che è scritto sopra è errato, poiché per la fisica moderna ciò che fu prima del Big Bang sarebbe l'ordine e non il caos, ma perdonate la fantasia.