martedì 29 dicembre 2015

STORIA CON UN POCHINO D'INVIDIA

- 26 dicembre 2015
Qualcosa mi diceva che dovevo farlo. Ormai era davvero tanto, tanto tempo. Ora che tutto è passato mi chiedo che cosa mi impedisse di essere completamente sincero; in fondo, tutti sapevano già tutto. Mancava solo quel momento in cui ci si ferma un secondo e si dicono le cose così come stanno, senza parentesi, senza troppe divagazioni, quel momento in cui non si usano sinonimi, ma si chiamano le cose con il loro nome. Eppure qualcosa mi bloccava, qualcosa che oggi provo a chiamare paura. Ma paura di cosa? Be', quello lo so per certo: paura degli altri. Oh, quanto è dannatamente importante il giudizio altrui, quanto è fondamentale nella nostra vita ciò che gli altri vedono e pensano di conseguenza. Gli altri. Gli altri possono vivere in una menzogna, anche quando sono consci del fatto che non sia altro che una bugia, ma difficilmente, a volte, riescono a resistere alla verità, o meglio, alla sincerità. Avevo paura degli altri. Ancora adesso ne ho un pochino, ma allora provavo il terrore sotto la pelle, lungo la schiena, tra un muscolo e l'altro. Sì, perché gli altri sono troppo importanti, sono ciò che possiamo chiamare vita, solo grazie a qualcuno possiamo esistere davvero. Se non c'è nessuno che mi conosca, mi veda, mi ascolti o mi ignori, chi sono io? Esisto? No, mi annullo in un'indifferenza che non è nemmeno degna di questo nome, perché è la nullità, il vuoto. Avevo tremendamente paura, una paura folle che mi paralizzava. Le parole, ah sì, quando si usano le parole tutto è diverso: si dice troppo spesso che è più facile dire le cose che farle, ma in certe cose … in certe cose è il contrario: è così facile vivere la propria vita, ma quando bisogna ammettere ciò che si fa, ciò che si è, chi si è ... lì le cose cambiano. Le cose cambiano e io, penso adesso, volevo che cambiassero, quel giorno, quando mi accorsi che non si poteva continuare troppo a lungo con questa sciocchezza, che bisognava aprire la bocca ed essere completamente sinceri, semplicemente. Ero stanco. Non ero stanco per questo "segreto", certo che no, perché c'erano ben altre cose a preoccupare le mie notti, altre faccende che reclamavano la mia attenzione, però questo cosiddetto "segreto" era un sassolino nella scarpa, qualcosa che mi impediva di stare saldo sui miei piedi per sorreggere il peso aggrappato sulle spalle. Oh, che bella metafora! Chissà quanti l'hanno già sognata, ma stavolta m'è uscita proprio bene, non c'è che dire!
Ero stanco, ero esageratamente stanco, e speravo, speravo che scrollandomi quella briciola di dosso qualcosa potesse cambiare. Chissà cosa, poi? Non ricordo precisamente cosa sperassi.
Mi alzai, mi alzai e presi il telefono. Non ho mai avuto una lista di preferiti sul cellulare, ma quella volta questo strano aggeggio capì perfettamente di chi avessi bisogno: digitai la sola iniziale e capitò subito il suo nome. Telefonai.
«Pronto?»
«Pronto, sono io. Non parlare e non dire niente! Ascoltami e basta perché non so se questo coraggio che ho adesso durerà ancora a lungo. Ascoltami e taci. Dunque che cosa mi sta prendendo? Non lo so, so solo che ho deciso di fare qualcosa che da tempo non faccio: lo dirò a tutti. Sì, tutti lo sanno, ma dirlo è un'altra cosa: sarà a tutti chiaro, non ci saranno dubbi, domandi, curiosità, tentativi. Sarò sincero. Potrò commentare senza problemi una foto in cui c'è un bel ragazzo senza dovermi preoccupare che mia sorella possa leggere quel commento su Facebook rimanendone scandalizzata. Al più non mi parlerà più e mi eliminerà dalle amicizie, nonché dalla sua stessa vita! Voglio farlo. Ho vent'anni quasi e so che è il momento, so che ho aspettato fin troppo. Dopotutto, quest'anno sono cambiate così tante cose quest'anno che se aggiungessi anche questa piccola informazione non succederebbe niente di che. Sì, insomma, devo farlo, no?! Potrei scrivere un post su Facebook, una cosa così, persa tra le migliaia di post che si affollano ogni minuto. Così, e voglio vedere chi se lo filerebbe … ma almeno lo avrei fatto, almeno … E poi … e poi niente, non mi viene in mente nient'altro da dire, se non che, adesso che ho finito di dirti il mio piano confuso, inizio ad avere paura. Inizio a pensare che non lo farò perché ho tremendamente paura di ciò che potrebbe succedere. I commenti, le frasi e tutto il resto. Ci sono, anche se sono poche, persone che non ne hanno minimamente idea. Cosa direbbero? Cosa succederebbe? Ok, ecco, adesso sono il solito, sono tornato normale e, come ti avevo detto, la foga iniziale sta virando alla solitissima codardia!»
«Posso?»
«Sì … scusa»
«Non ti permetterò di non farlo: se ti mancherà il coraggio … ti sarò a fianco. D'accordo, lo scriveremo su Facebook: domani vengo a prenderti e usciamo, stiamo in giro e fanculo tutti. Scrivi quelle quattro parole che servono e niente. Venga ciò che venga. Hai ragione, forse non è il tuo più grande problema, visto che in fondo lo sanno tutti, ma … ma proprio perché non è il tuo più grande problema lo devi fare. Ti sarò a fianco»
Non so perché, ma non mi aspettavo una simile reazione: mentre raccontavo il mio piano folle mi cresceva dentro la consapevolezza di quante idiozie stessi dicendo tutte in una volta, e invece lui era riuscito a stroncare anche quella consapevolezza - intuii proprio allora che cosa potesse significare essere amico di qualcuno.

Quel qualcosa che mi diceva che dovevo essere completamente sincero si era un attimino zittito e mi aveva lasciato con l'ansia di che cosa sarebbe successo dopo, ma quelle parole che mi sostenevano, che sostenevano quel qualcosa iniziale, beh mi risollevarono, ridiedero forza e vigore alla sensazione di aver bisogno di farlo, di dirlo al mondo senza troppi problemi, di constatare una verità banale, ma sempre sottintesa, quasi che non meritasse di essere nominata: che cosa sarebbe successo non mi interessava più di tanto; sì, avevo ancora molte ansie, ma 1) ero sicuro di essere gay, 2) avevo scoperto di avere un amico.

venerdì 25 dicembre 2015

AUGURI

Del Natale non ho capito solo una cosa .. Perché diventa l'occasione per moralismi banaleggianti e sciocchi ammonimenti? Il Natale è una festa, la festa più profumata che ci sia, in cui tutto si colora e tutto diventa per un attimo luce iridescente. Il Natale è quel momento in cui non si smette di soffrire, non si dimentica niente della vita reale: se lo si vive il Natale annulla tutto ciò che è la vita di ogni giorno. Il Natale stravolge un'esistenza e se si è abbastanza docili nelle mani di Qualcuno, be', allora non solo l'esistenza di questo giorno si ribalta: tutta una vita si scardina per ciò che succede a Natale.
"Ma, proprio tu che sei cristiano, dici questo? In teoria è la Pasqua ciò che più è importante!" Oh, certo, la Pasqua ... ma la Pasqua acquista un qualche significato solo se si comprende il mistero del Natale, il che è impossibile in realtà, ma se almeno si riconosce nel Natale un mistero, ecco che allora potremo festeggiare la Pasqua, noi cristiani. E gli altri? E gli altri festeggino il loro natale ... ma, se permettete, a Natale è nato Gesù, un Gesù Bambino tanto innocente e tanto insignificante che ... ha cambiato la storia.

Buon Natale a tutti, anche a chi festeggia 'natale'.
Una preghiera andrà a chiunque abbia bisogno del Suo aiuto.
Altro andrà a chiunque abbia bisogno del nostro aiuto.
Buon Natale a tutti. Buon Natale.

giovedì 24 dicembre 2015

LA GIOIA

LA GIOIA

La notte più breve dell'anno. Ecco cosa s'avvicina a noi, quest'oggi sarà breve l'indugio, per poche ore riusciremo a tenere chiusi gli occhi, perché poi sarà un nuovo giorno. Ebbene, tutte le mattine torna "un nuovo giorno", ma domani … domani ci sarà una novità nel mondo. Cosa c'è di più bello di una vita che nasce tra le braccia di una madre? è la luce più luminosa che si possa accendere su questa nostra Terra, quella che scaturisce dagli occhi sofferenti, eppure così felici, di una donna che, per la prima volta, scopre che tutto quel dolore è solo la bellezza che si palesa in un corpicino. E a ogni nascita si rinnova il mondo. Ogni parto è una stella che s'accende tra noi uomini. Ma c'è qualcosa di più, ci sarà qualcosa di diverso in questa nascita, perché quel bambino sarà ogni bambino, non il figlio di una donna, ma il figlio dell'intera umanità, e sarà tutti, tutti coloro che sono venuti e tutti coloro che verranno. Un bambino. Tutto il mondo. Ogni fragilità, ogni ingiustizia, ogni orrore della nostra umanità sarà sulle spalle di questo bambino.
L'importanza di una simile notte è straordinaria: la notte conosce un'alba prematura, un sole che sorge dinanzi nella notte più profonda. è nato. E domani mattina il giorno comprenderà che anche lui potrà vivere in un altro modo, grazie a quel bambino.

Gioiscano i cieli, esulti la Terra. Ecco. La gioia sia con tutti noi, con chi crede e con chi non crede, perché la gioia è un dono che non merita restrizioni. Gioite, e basta.

martedì 22 dicembre 2015

BUONANOTTE: ECCESSO, POESIA, AMICIZIA

si notino dei punti che forse non utilizzerebbero i ragazzini, è vero, ma ne ho bisogno ... sono l'unico strumento per sentirmi protetto. chiudono il tutto.


Buonanotte. Ti dico buonanotte anche se so che probabilmente adesso continueremo a messaggiare per un po' di tempo, nonostante l'ora! Proverò, però, a dire già tutto adesso, così che poi non debba ricordarmi, dopo, di aggiungere qualcosa. Buonanotte, te lo dico sinceramente. Spero che la tua notte sia più che buona, che sia meravigliosa, leggera e rilassata, rilassante, una notte in cui tutto te stesso si rigeneri, si ricrei e torni ad essere la perfezione che sempre sei, ma che di sera, alla fine di una lunga giornata, si appanna un po'. Buonanotte. Mia mamma, quand'ero piccolo, mi diceva "Buonanotte e sogni d'oro". Sogni d'oro. Sogni perfetti e bellissimi, sogni profumati e inviolabili. L'oro è uno di quei metalli che non si ossida, non si consuma. Sì, si sporca, si modifica perché è un po' "molliccio", ma è l'oro, quel metallo così luminoso, solo pronunciare questa parola illumina gli occhi di chiunque parli! Sogni d'oro. Anche io ti auguro di avere sogni d'oro. Sei d'oro tu stesso. Ma che parole melense per un messaggio di buonanotte, ma che posso farci? Quando mi metto nel letto e guardo la tastierina sotto la nostra conversazione ... beh non posso fare granché.
Buonanotte, forse sarebbe bastata questa parola, invece che perdermi come al solito, ma in fondo volevo solo dirti buonanotte. Buonanotte.


Buonanotte. Che posso dire se non che ti amo? Vorrei essere lì solo per poterti dire che ... Buonanotte.

Grazie. Mi è servito davvero parlare con te stasera (come sempre). Grazie davvero perché ci sei per una persona come me, grazie perché ... perché grazie e basta. Grazie. Buonanotte.

giovedì 17 dicembre 2015

ANGELO DEL PIANTO

Angelo del pianto, vieni. Oh, da quanto tempo non riesco a liberarmi, da quanto tempo non riesco a sciogliermi nella tua bellezza, nella leggerezza di tante gocce salate che scivolano giù sulle guance. Bruciano, irritano la pelle come graffi dall'interno. Angelo del pianto, oh mio vecchissimo amico, quanto tempo che non corri più a soccorrermi in questi assurdi momenti. Paralisi, orrida sensazione di paralisi: cosa posso fare? Mi costa una fatica immane anche solo distendere un dito verso l'interruttore della lampadina. Sono immoto, che cosa mi manca? Non riesco a respirare. Tremo, oh sì che tremo. Angelo del pianto, rompi questo momento e sciogli ogni barriera, tutto si ridurrà in una melassa inconsistente, incoerente, piatta. Piangerò, con te, mio angelo amatissimo, piangerò! No?! Cosa mi ferma, cosa ti ferma, angelo del pianto? Ti ferma la mia paura? Oh, quale paura? Quella che mi invade tutto, quella che proprio tu sconfiggeresti con il tuo magico tocco, quella che, però, ti spaventa così tanto! Anche a te spaventa, lo vedo, è evidente, ma ti prego, angelo del pianto, supera il tuo timore e arriva a me, ritorna al tuo vecchio amante e amalo nuovamente. Amiamoci, ti prego, angelo del pianto, amiamoci e sarò liberato. Liberami, angelo del pianto. Liberami.

mercoledì 16 dicembre 2015

NOTTE DI SOGNO

TUO

Pochissime volte, mai
ci sono attimi in cui non ti penso,
briciole di secondi in cui mi dimentico,
polvere di istanti in cui non ti vedo,
Respiro,
diceva: "e penso a te"
respiro,
e sono tuo,
ma dove?
Posso essere tuo senza che tu lo sappia?
Schiavo di un padrone ignaro,
che schiavitù è mai la mia?
Ti guardo, sempre, e nei miei occhi fingo,
ma ti guardo, sempre, e brucio.

martedì 15 dicembre 2015

CONSIGLIO

Quando guardi la nebbia
non vedi la nebbia,
vedi ciò che il tuo cuore brama
- il tuo occhio plasma la nebbia.
Quando guardi un cielo stellato,
vedi le stelle?!
Vedi un viso, un ricordo, un sorriso,
quando guardi le stelle ...
Quando guardi una parete bianca
un muro di mattoni rossi
un cielo limpido e pulito;
vedi altro, non il mondo,
vedi altro, un pezzettino di te.

Scegli: guarda la nebbia, le stelle, un muro,
o guarda in faccia chi hai davanti:
ti plasmerà e sarai nebbia.

martedì 8 dicembre 2015

STREGA - prologo - parte 1

05 dicembre 2015 - ho rincontrato alcune sensazioni e ho iniziato - non potevo fare altro! Questo è solo l'abbozzo di ciò che sarà qualcosa di - spero - più completo. 

Oggi è forse troppo tardi, troppo tardi addirittura per uno come me, che sta sveglio la notte per ascoltare musica, ricordare, sognare! Ma oggi è davvero troppo tardi, talmente "troppo tardi" che è presto. Non posso fare a meno di fare così, stanotte: c'è un'aria strana, non mi avvolge il sonno, non riesco a chiudere gli occhi e rinunciare a guardare questa oscurità. Ho acceso la luce e speravo di reagire, di avere gli occhi pesanti e affaticati. No. Sono ancora sveglio.

PROLOGO
Un giorno una donna camminava lungo il sentiero che dal villaggio portava ai grandi campi che circondavano la città. Il boschetto era piccolo, in realtà, rispetto al resto, ma per questa giovane donna non c'era stato, fino a quel momento, null'altro che il suo bel villaggetto felice. Felice, oddio, neanche così tanto felice: la vita al villaggio era dura, estremamente dura. Certo, la vita è dura dovunque, ma proprio perché è dura dovunque, che senso ha dire che la vita fosse felice?! Era dura, la vita, e tutti vivevano la propria fatica quotidiana. Qualcuno aveva capito di poter sorridere anche nella fatica, qualcuno aveva trovato un proprio rifugio efficace contro questa vita grama, qualcun altro, poi, ci aveva rinunciato e s'era arreso all'odiosa condizione nella quale si trovava. Peccato.
La giovane donna, che era proprio una bella fanciulla, camminava leggera. Era scappata, corsa via dal villaggio in cerca di qualcosa che fosse radicalmente diverso da quello a cui era da sempre abituata. Basta, basta quelle otto case mezzo-isolate ognuna con il proprio orticello con poche foglie di cavolo, basta sentire i ratti della città sgattaiolare attraverso il bosco di notte verso quei piccoli granai di legno. Basta, basta quello schifo ridicolo. C'era bisogno di qualcosa che ... qualcosa che funzionasse sulla sua stranissima indole.
Sì, sì Virginia era decisamente una persona particolarissima, una creatura che in mezzo a tanti altri sarebbe sembrata un'anonima comparsa all'ennesima rappresentazione sacra, ma che, a un occhio attento, avrebbe rivelato una luce intensa negli occhi, giù nel profondo del proprio animo, là dove, in lei, ardeva un fuoco che, siccome non trovo altra parola, definirò 'profumato'. Era come se nel suo animo ardesse dell'incenso: un'anima rozza avrebbe veduto una ragazzetta caruccia, gentile ed educata, con un bel mento tondeggiante, una fronte non troppo larga, ma nemmeno gli occhi attaccati ai capelli, con un naso non finissimo, ma - grazie a Dio - non a patata, come quella che l'aveva messa al mondo; un'anima rozza, insomma, avrebbe visto poco. Qualcuno, invece, che, oltre al pane da mettere sotto i denti, avesse desiderato anche un tipo diverso di felicità, qualcosa di più ... di più profumato! ecco, una simile persona avrebbe, al contrario, riconosciuto una creatura misteriosa, "mitologica", lontana.
Non esistevano specchi al villaggio, nemmeno uno specchiettino dimenticato da una carrozza di passaggio. Solo l'acqua, qualche volta, restituiva delle immagini all'osservatore. Virginia lo aveva scoperto un giorno di primavera, qualche anno addietro, mentre portava un secchio allo zio, nell'orto. Si era trovata davanti una fanciulla che non aveva mai incontrata, persa, in lontananza, sotto la superficie dell'acqua. La scrutava, cercando di capire che cosa stesse succedendo, da dove arrivasse quella straniera. La sua mente ignorante ci aveva messo del tempo per comprendere chi fosse quella ragazzina al di là dell'acqua, nel secchio. Quando lo aveva capito, finalmente, s'era accorta di sentire dentro di lei qualcosa, una specie di domanda. A parole potremmo provare a descrivere così quella sensazione: "Ma è così che mi vedono?". Una domanda, ripeto, una domanda, una domanda che potrebbe sembrare banale, una domanda che a me personalmente sembra una sciocchezza, ma che ho scoperto essere più di una semplice domanda. Ebbene, da quel giorno, da quella volta in cui aveva incontrato la propria immagine nel secchio, altre volte aveva controllato che nell'acqua quel viso tornasse a visitarla, almeno ogni tanto. S'era scoperta a piacersi, a studiarsi e a giudicarsi: le piaceva come alcuni suoi riccioli le coprivano un poco le orecchie piccoline; in un giorno particolarmente fortunato aveva intravisto delle piccole macchioline sottili sottili sulle sue guance e sul naso e, illuminata come da un fulmine nella notte buia, era scoppiata a ridere! Le lentiggini! Come le stavano bene le lentiggini, mica come a quel diavolo di Riccardo! A volte, però, l'acqua nel secchio la deludeva, la prendeva in giro e si divertiva così - lei lo sapeva: c'erano volte in cui la sua faccia sembrava inspiegabilmente cicciottella, altre in cui il suo mento le ricordava la pala che lo zio utilizzava per risistemare gli argini del fosso dietro casa. In questi momenti Virginia distoglieva con impeto lo sguardo e cercava di dimenticarsi della propria immagine. Si gettava sull'attività del momento e ci si immergeva. Aggiungeva all'ultima immagine che aveva ricevuto dal secchio i ricordi del proprio viso, ricordi che aveva altre volte costruito. Col tempo, però, man mano che si ritrovava a faccia a faccia con se stessa, quella strana domanda che l'aveva sfiorata quella prima volta si radicò sempre più nella semplice testolina di Virginia. Giorno dopo giorno la domanda si ripresentava e interrogava la ragazzetta. Pretendeva, ormai, una risposta: non era più un semplice interrogativo, ma una richiesta straziata di risposta. "è davvero così che mi vede il resto del mondo?!". E questo grido rimaneva dentro, nel suo intimo, rimbombando con la propria eco nel petto di Virginia. In lei accrescevano sentimenti contrastanti: non sapeva se gioire di essere veduta in quel modo, o se vergognarsi del proprio aspetto. Virginia aveva iniziato ad essere una sciocca ragazzina vezzosa, di quelle che passano le giornate a curarsi per essere le più incensate dalla gente attorno? No. Non era una di questa razza: il suo profumo, quel fuoco d'incenso che le ardeva nel petto la spingeva a riproporsi quella domanda alla ricerca disperata di una risposta che andasse al di là della forma. Qualcosa non la convinceva, qualcosa le diceva che non poteva essere che nessuno sapesse darle una risposta. Ma era andata a chiedere aiuto a qualcuno? No, non aveva osato. Il suo cuore le diceva di tenersi per sé tutte quelle questioni, quelle faccende insensate che nessuno avrebbe compreso. Scoprì presto di aver altre domande: "Ma cosa mi cambia a volte? Perché a volte non sono come mi ricordavo? Ricordavo? Ma perché ricordavo una certa cosa? Be', mamma diceva che il ricordo è qualcosa che ci portiamo dentro, qualcosa che è stato tempo addietro e che conserviamo. Ma perché conserviamo alcuni ricordi orribili? Aspetta! Perché adesso mi vedo così tonda? Sembro una ruota di un carro. Eppure non ero così, ieri"

Parole di una fanciulla, parole semplici e senza pretese, parole straordinariamente sentite, però, da quel cervellino frenetico che ormai si addormentava chiedendosi che cosa stesse pensando quel dannatissimo ragnetto che, ben presto, si sarebbe rimesso all'opera per ricostruire, come ogni notte, quel filo sopra la sua coperta, così che la mattina lei, come sempre, vi si incastrasse infastidendosi non poco!

sabato 5 dicembre 2015

MANI

Mani, le mie mani, queste mani.
Un mare infinito di ragnatele,
segni di giornate concluse di ieri,
sorrisi e lacrime, punte e piume,
cuscini e sassi gelidi, amici.
Mani, le mie mani, queste mie mani,
prendile, prendile e stringile:
in queste mie mani, in questa mia carne,
toccami, vedi tutto,
tutto è qui, tutto è adesso -
in un polpastrello decenni!
Mani, le mie mani, queste mani,
mani, le mie mani, queste mie mani.
Due mani, sorelle,
ma ogni mano non basta all'altra,
c'è bisogno di ... 
stringile, prendi queste mie mani,
prendimi in queste mie mani,
e saranno tue, parte di te, parte di me in te.
Mani, prendi queste mie mani,
non sono che mani,
arti comuni, pollice opponibile,
qualche altro dito.
Mani. Non sono che mani.

Vorrei stringere le tue ...

martedì 1 dicembre 2015

PAROLE SCRITTE IL 27/11

VOCE
La mano delicata si sposta veloce,
concentrazione, tutto lui in due dita,
due dita sul collo, sottili, gentili,
perfezione, una carezza morbida.
E ha solo detto "Ciao" …

#SENZATITOLO
Non dirò nient'altro,
non cercherò altre parole,
inutilmente.
è inutile, quindi basta,
non dirò che ciò che mi chiedete,
nulla,

tacerò e sarò felice, per voi lo sarò.

sabato 28 novembre 2015

DOTTORE, LA MIA MALATTIA e altre

MEDITO PRIMA DI INCONTRARTI 
"Sparirò, se è ciò che occorre,
come sono arrivato, per caso,
così me ne sarò andato.
Non vi mancherò"
Così ho pensato ... queste parole.

DOTTORE LA MIA MALATTIA
Dottore, la mia malattia!
Non capisco, non mi trovo.
Dove sono? Cosa sono?
"Tutti, tutti lo domandano!"
Ma dottore, la mia malattia!
Dottore, dottore!
Io m'odio da me, odio me, io, me
mi disgusto, e m'amo, e amo, e mi schifo.
La mia malattia, dottore,
io, la mia malattia.
"Stia calmo, per carità, è normale!"
Normale?
Sono matto, e mi ammattisco da me,
i problemi mi affliggono,
li alimento perché mi affliggono,
e mi affliggono, perché li alimento.
Dottore, la mia malattia! Deliro!
Normale?! Normale, dice lei,
dottore, lei è intelligente, bravo dottore,
lei sa - anche io sapevo qualcosa,
lei ha studiato - io ho studiato poco
lei mi vede e che?
La mia malattia è l'anima mia,
ella si ammala da sé e ammala se stessa.
Dottore, la mia malattia ...
la mia malattia mi piace.
Questa è la mia malattia!

CI SONO ALTRI
Troverò altri,
sì, forse altri troverò.
Io non sono per voi.
Vi ho voluto bene
vi voglio bene, molto,
perciò rinuncio:
il bene che provo per voi,
è dolore che provoco in voi.
Troverò altri, domani,
magari dopodomani,
sì, forse altri li troverò.

UN BACIO
Quel tuo bacio di prima ...
non so perché,
ma mi ha fatto bene.

giovedì 26 novembre 2015

SCRITTE D'INVERNO #1

Lascia ch'io ascolti,
permettimi di sentirmi amato
accettato, felice, umano.
lascia ch'io ascolti,
orrida voce stridula
immonda creatura.
Lascia, lascia questo corpo,
sta' dietro di me,
lontano da me,
tu
- parte di me.


Il freddo colora il cielo di vetro,
fa l'aria dura, eppure così sottile.
L'inverno profuma, di città, di lavoro,
puzza di fretta e frenesia.
Concentrati in pochi mesi
tutti i giorni dell'anno,
corrono tutti assieme, verso primavera,
lontana primavera.
Quanta speranza verso quella primavera?
E il caldo? diciamo
E il caldo quando tornerà?
Io, dal canto mio, respiro
il freddo è più caldo di un cuore spaventato.
Tornerà primavera ... tornerà.
Tornerò?


Avverto un brivido, dietro la spalla,
una carezza delicata, mano sottile.
Avverto un brivido, sotto le dita,
un fremito ansioso.
Bisogno di volere qualcosa,
paura di farlo.

martedì 24 novembre 2015

DI NUOVO CONGEDO DA UN AMICO

Non dimenticarti di me, perché io ti ho amato. Forse non te ne sei nemmeno accorto, forse non ti sei reso conto del mio sentimento, ma è stato davvero così, io ti ho davvero amato e mi dispiace dover scrivere queste parole, adesso.
Quante volte ho già parlato di questo tristissimo momento, quante volte mi sono ritrovato a dover raccogliere tutte le idee in un istante per donarle poi a qualcuno che potesse riceverle e sentirsene consolato! Troppe, ormai, perché anche una volta è di troppo. Ma capita, capita che talvolta ci si senta pronti per compiere l'ultimo, estremo e definitivo - finalmente qualcosa di definitivo nella vita! Capita e stavolta capita ancora a me, non come un capriccio, non come la facile soluzione a qualche difficoltà, non come l'ennesima scenata di una prima donna incontinente. Capita come il risultato di molte, troppe circostanze che si sono sfiorate fino a comprendersi l'una nell'altra. Qualcuno direbbe che è una scelta coraggiosa, e forse qualcosa di coraggioso potrebbe essere davvero rintracciato in un simile gesto, ma quello che non condivido è quel termine usato così spesso: scelta. Fosse una scelta - lo dico sinceramente - non la sceglierei. Ma oggi sono qui, incapace, per inettitudine, per impotenza, per stanchezza, immobile. Non posso reagire, non posso che concedere che l'ultimo atto venga scritto e che tutto si faccia più silenzioso. Ma allora perché scrivere anche quest'ultima volta, perché riempire ancora dello spazio, se si è ormai deciso di lasciare tutto lo spazio del mondo a qualcun altro? Perché qualcuno, temo, si potrà sentire in colpa. Qualcuno si sentirà colpevole, pur non avendone motivo. "è ben ragion ch'io lasci che ridica la cagion del morire, e che l'incida ne la scorza d'un faggio", scrive Tasso, ma non voglio che qualcuno ritrovi motivo di piangere su se stesso, perché l'unica ragione per cui mi sono spinto fino a questa soglia è la mia incapacità, la mia stanchezza.
Sono stanco, stanco e stufo, pieno di noia per colpa di nessuno, se non per colpa mia. è la mia  natura che è inconciliabile con questa realtà, perché sono io che non riesco a sentirmi in pace, mai, sono io che mi sento sempre a disagio, anche quando non ce n'è neppure un minimo motivo!
Vorrei solo che tu non pensassi di aver sbagliato. Perché l'unica persona con cui mi sento arrabbiato sono io stesso. Forse anche con quello che vorrei chiamare Dio, ma non ho mai capito fino in fondo cosa sia davvero e quindi l'ho smarrito.

Non dimenticarti di me.

NOTTE

Riapro gli occhi senza aver dormito
senza la leggerezza del riposo
della quiete
ritorno al giorno e mi dico:
sei sicuro di non aver sognato?

Hai, alla fine, pensato al tuo sole,
hai, alla fine, riveduto la sua luce,
hai sentito il calore attorno al tuo corpo.

Riparte il giorno, con una tristezza in più:
non ho dormito, e ho solo sognato.

giovedì 19 novembre 2015

PREGHIERA SEMPLICE 14-11-2015

Esisti, io ne ho avuto prova, ne ho avuto prova nel mio cuoricino fragile. Sì, so che comunque, in qualche modo esisti. Ma perché continui a tacere, nel tuo silenzio di vittima. Muori nel sangue di coloro che ingiustamente muoiono, che insensatamente soccombono alla violenza prevaricatrice altrui. Eppure non sarebbe meglio riuscire a fare un diverso tipo di rumore. Agisci, agisci, ti prego, agisci nel mondo, in questo mondo con le logiche di questo mondo, e non con la tua sovrumana perfezione celeste. Agisci, te ne prego, perché è un mondo gramo: la bellezza di ciò che esiste crolla davanti a una sola briciola orrenda.

Esisti, lo sento dentro di me, non so in che modo possa esserne certo, ma dentro ho questa certezza inconsistente. E so pure che tu sei diverso da noi, che hai idee completamente diverse da quelle che regolano la nostra vita. Ma perché non adeguarti tu a noi, se noi siamo così ottusi da non riuscire a raggiungere le tue altezze. Te ne prego, te ne prego.

Ti prego sempre per le stesse cose, ormai, non prego per altro. Ho rinunciato perfino a pregare per la serenità cui tanto anela il mio cuore. No, non c'è più spazio per questo nelle mie preghiere, almeno non ora. Ora prego perché tu ti esprima, davvero.
Più che una preghiera semplice, questa è una preghiera di corsa. Ti aspetto.

martedì 17 novembre 2015

RACCONTO (?) SENZA TITOLO

Un giorno mi chiamarono nell'altra stanza, e mi chiamarono con quella solita gentilezza che li caratterizzava entrambi - una specie di spensieratezza cordiale. Io avevo aspettato seduto sul mio sgabello, con le gambe incrociate, un po' traballante. Non appena erano comparsi sulla porta avevo alzato solo il capo, inarcando la fronte per spalancare gli occhi.
- Cosa pensi di fare? - mi chiese quello dei due che conoscevo meno, ma che sembrava sempre il più interessato a sapere cosa mi passava per la testa.
Io rimasi un attimo lì, in silenzio, ben consapevole di dover dare proprio quella risposta che già da tempo ormai mi ero preparato. Sì, ero decisamente pronto per quella domanda, perché da tanto e tanto tempo mi aspettavo che mi sarebbe stata posta: lo avevo percepito nell'aria, come un'elettricità particolarissima, delle puntine sottilissime che graffiavano i calli delle mani. Un sussurro, un alito inconsistente.
- Non penso, in realtà! Questa è la situazione di oggi: sono riuscito a mettermi talmente tanto in discussione che ... che adesso davvero è cambiato tutto. Temo. Un capriccio? Ho pensato che poteva essere solo una delle mie solite isterie, eppure ... eppure no, perché questo che sento non è il dolore, il pianto di una persona isterica. Queste sono le lacrime di una persona che non vuole dire addio a determinati spazi della propria persona, che non riesce a rinunciare ad alcuni cieli che ha intravisto oltre gli alberi ... Sono preoccupato, perché l'angoscia mi dice che non sono sicuro nemmeno di questa decisione che devo prendere! Però una parte di me sembra come convinta al cento per cento che sia questa l'unica via percorribile. Che altro ci può essere? Se il mondo reagisce in un certo modo, posso io rinunciare al mondo? Ho pensato, forse lo penso tuttora, che un uomo non abbia bisogno del mondo, ma la verità è che adesso mi ritrovo a non poter non aggrapparmi proprio a quel tanto disprezzato mondo che mi circonda! Il mondo mi spinge, penso, a prendere alcune scelte, mi ha chiarito che ho sognato tanto e intensamente, ma che una cosa è il sogno, un'altra, completamente diversa!, è la possibilità che nella vita uno può raccogliere o rifiutare. Io pensavo che la mia occasione fosse questa, ma adesso mi viene il sospetto che questa fosse l'occasione di chi mi sognava così, l'occasione di qualcun altro ... qualcun altro, non io. No, però, ora esagero! Non è stato solo il sogno di altre persone, perché in fondo è stato anche il mio sogno, una mia disperata immaginazione che mi proiettava in un mondo miracoloso, fatto di luci e luci e luci. Ma il punto è proprio su queste luci. Non sono davvero, profondamente, incondizionatamente portato alla luce: ho la necessità di una vita che vada al di là di quello che voi definite 'la dura vita che abbiamo scelto', perché non sono pronto, il mio cuore instabile e troppo fragile non può sacrificare se stesso, rinunciando a ciò che è, a ciò che brama, a ciò di cui ha bisogno. Sono una persona particolare, come tutti direbbe qualcuno, ma la mia particolarità, lo avrete compreso, è di essere una contraddizione vivente. Uomo, eppure bestia. Questa contraddizione l'abbiamo un po' tutti, quando sentiamo quell'istinto particolare. Tuttavia la mia bestia è una creatura con una certa peculiarità, perché mi spinge a qualcosa che la mia parte 'umana' rigetta con tutto se stesso. Sono un uomo, spero in Dio, ho bisogno di aggrapparmi a quel Creatore, e sono bestia, un uomo che ha bisogno del corpo e dei piaceri del corpo, un uomo che ha scoperto l'amore solo davanti a due creature meravigliose, due uomini! Ecco, ecco la contraddizione che, oltre che essere l'ostacolo sulla via per una mia serena esistenza, è l'ostacolo a quest'avventura che avevamo pensato di vivere assieme. Il vostro mondo, fatto di luce, non è adatto a questa piccola scintilla tremolante che sono io, perché questa scintilla avrà sempre e solo bisogno di una brace ardente più grande e meno fatua di un paio di lampadine. Non ho bisogno di luce, di neon e fari puntati qua e là, di lampioni! Ho bisogno di fuoco, caldo e luminoso, di fuoco ardente, di vera fiamma. Il vostro mondo è meraviglioso, un mondo che profuma miracolosamente e che sa di qualcosa di sorprendente, ma io ho anche bisogno di altro, di un gusto più genuino, di un profumo più casalingo ... ho bisogno di un angolo che il vostro mondo mi vuole negare. Ecco, ecco tutto, ecco perché oggi non so cosa scegliere, ecco perché oggi non posso rispondere solo 'Addio, me ne vado, è stato bello, finché è durato'. Non posso, non posso finire così, perché il vostro mondo è così bello per una certa parte di me che spero sempre che ci sia un modo, una qualche maniera perché queste due galassie lontane si incontrino, finalmente! Non posso rinunciare, non posso arrendermi senza prima un'ultima, disperata, appassionata, straziata lacrima davanti a voi -
Mi guardavano entrambi, con uno sguardo serio e attento. Ovviamente non avevo risposto con le parole che avevo a lungo meditato.

L'ALBA

14 novembre 2015
L'ALBA

Applaudivamo, noi tutti
e la sala si riempiva
"Bravo!"
Applaudivamo, Oh, erano bravi
sul proscenio del mio piccolo teatro
in provincia -
forse non perfetti, ma bravi,
davvero bravi.
"Bravo!"
La notte, alla fine, era fresca,
profumava d'inverno,
umidità e freddo.
Lacrime:
ogni mano una lacrima,
ogni "Bravo!" un'anima.

All'alba c'è la nebbia:
stavolta non riesco a dire "Che bello!"
Per me è l'alba,
per me ...

Oggi piangiamo, non possiamo fare altro dinnanzi alla morte, ovviamente. Ma stavolta è una di quei momenti in cui non solo c'è il mistero della morte inconcepibile ... stavolta c'è anche l'impossibilità di aggrapparsi alle banalità: tutti si muore, è vero, ma così?! La scorsa notte era il 13 novembre. Fu un'orribile notte.

giovedì 12 novembre 2015

PREGHIERA SEMPLICE 07-11-2015

Ieri sera mi sono seduto davanti a te e ho parlato. Non come al solito, con immaginando di parlare con te, no. Per una volta ho aperto davvero la bocca e ho lasciato che le parole risuonassero in cappellina. Ecco, io non ho atteso nel silenzio, non ho cercato di parlare con te nell'intimità del mio cuore, ma ho cercato il tuo contatto sensibile, la tua voce. Ho provato, e lo sai, a lungo a lasciarti parlare a modo tuo, o almeno penso di averci provato e non comprendo come mai tutto questo si sia rivelato così inutile. Sì, inutile, o almeno inutile per il mio cuore: ho conosciuto tanti e tanti esseri miracolosi, davvero frutto delle tue superbe dita, e mi dicono che sono stato un grande incontro per loro, e ciò è meraviglioso, eppure sul mio cuore grava un peso della cui origine io non conosco nulla. E la vita con gli altri mi tocca e mi incanta, ne rimango sorpreso e stupito, colpito da una certa strana semplicità che si nasconde dietro alle migliori persone, ma la mia persona continua a traballare instabile: due forze si combattono e tutte e due mi paiono provenire dalla stessa sorgente, ovvero la mia anima. è proprio la mia anima che vorrebbe te, con la tua bellezza di amore e perfezione; eppure è proprio la mia anima che si abbassa a un insensato desiderio che il mondo mi invita ad accettare come parte di me. Ebbene, tutto facile, tutto ovvio e condivisibile, se non fosse che nel mio cuore si cela un terribile sentimento, perché quando il mio desiderio più basso, cioè non quello a te rivolto, emerge nella mia persona ecco che mi sento schifato da me stesso, ecco la nausea, le vertigini e l'orrore. Il disgusto mi invade e tu non riesci a liberarmene.
In più hai concesso ai nostri cuori di potersi innamorare. Oh, sentimento soave e terribile! L'amore, non l'innamoramento, mi piace, e voglio amare, ma il mondo è stranamente incompatibile con il mio cervello malaticcio (ah, in realtà è forse il cervello mio malaticcio ad essere fuori dai giusti binari).

Ma ho una preghiera, perché questa è solo una confessione di me: tu sai tutto di me, mi conosci meglio di me, ma è bene comunque confessare, è bene alzare il capo, perché siano le parole seme per altri frutti. La mia è una preghiera semplice: parla la mia lingua, perché io non sono capace di chinare il capo e ascoltarti alla maniera che vuoi tu, non ho capito come si fa! Parlami tu, ma parlami come posso capirti. Mi sto allontanando e qualcosa in me non vuole che questo accada.

martedì 10 novembre 2015

STORIA BREVE DI UN MOMENTO IN UNA CLASSE

Lui sedeva là, da solo. Dimenticato dal mondo per sua stessa volontà. Non ce la faceva più, almeno non in quel momento. Per ora s'era dovuto arrendere. Cosa avrebbe potuto fare? Lo vedevo, lo vedevo sconfitto e inerme. Io pure, ormai, ero incapace, inutile. Dinnanzi a lui perdevo ogni possibilità. Mi avvicinai: non sarebbe nemmeno venuto nessuno a disturbare, visto che era un'ora buca.
Sedetti accanto a lui e per un attimo non feci altro che guardare diritto avanti a me, verso gli altri, verso quell'orducola di gente un po' troppo casinara. Qualcuno voleva studiare, portarsi avanti, ripassare; ma qualcuno, e direi la maggior parte, voleva solo godersi quel momento di libertà. Spostai il mio sguardo sul suo volto; perso, vuoto. La bellezza sua solita e poi quell'alone orrendo, quella terrificante patina di resa, di sconfitta, di un niente troppo profondo e troppo radicato.
Mi sporsi vicino a lui. Aveva gli occhi un pochino lucidi.
- Sono qui
Non rispose. Ancora era là, smarrito chissà dove, privato della sua anima, abbandonato alla stupidità dell'assenza. Non rispose, non riusciva, non poteva. Non rispose e lì crebbe, crebbe l'immenso dolore nel mio cuore, nel mio spirito, nella mia anima. Ero parte di lui, in quel momento.
- G.!!! - mi chiamò qualcuno da lontano - Mi dai una mano con latino?!
Non risposi, ero là, smarrito, chissà dove, privato della mia anima, abbandonato alla bellezza orrenda della condivisione con l'unica creatura che riuscivo ad abbracciare con imbarazzo, perché quando lo facevo mi sentivo un profanatore, un empio che osa avvicinarsi alla santa reliquia.

domenica 8 novembre 2015

(SENZA TITOLO)

-
E l'angelo rispose,
gridò le sue parole e disse:
«Tu non hai più bisogno di Lui:
Lui ha bisogno di te!»
Poi tornò muto.
Mi voltai
e mi ritrovai in cucina:
il televisore cantava

qualcosa del mondo.


(bozza?)

sabato 7 novembre 2015

ANCORA

E tu piangi, sorriso dolcissimo
sconfitto di insensate lacrime
pesanti, che voglio con le mie dita
raccogliere, conservare, condividere.
Dolce, beatissimo sorriso
piangi - dolore e assurdità.
Sorriso dolcissimo. Dolcissima speranza
è la fine? Scendono o salgono altrove
lasciando qui noi e il resto?
Dove e perché?
Piangi - amore e giovinezza -
sorriso dolcissimo, dolcissimo ...

00:39, 7 novembre 2015 - Non è nulla: di fronte a certe cose non è proprio nulla. Sono vicino a una persona cui voglio bene, nonostante il poco tempo che ci ha visto assieme. Sono dell'idea che debba cercare una sola cosa: di vivere anche per chi non vive più. Frase fatta? Forse! Ma è molto comoda; c'è una sottilissima verità che si nasconde dietro questo mottetto diffuso, perché la morte davvero si supera con la vita.

martedì 3 novembre 2015

DOPODOMANI e altro

DOPODOMANI
Dopodomani,
dopodomani mi alzerò e sorriderò,
sarà una festa, gioirò.
Dopodomani.


CONTRAZIONE
Sento una piacevole
terribile
piacevole
terribile puntura.
Voragine dentro.


PONTE
Lancia un ponte tra di noi,
dicevano,
lancia un ponte, incontriamoci.
Dicevano che ci si salva insieme,
soli si è persi, soli si è soli.

Non sono un ingegnere.


CAVALIERE, O SERVO DEL RE
Combatterò per te, mio signore,
la mia spada sarà sempre ai tuoi piedi.
Sono tuo servitore, sempre,
ordina e agirò.

No, cavaliere, servo del re,
la tua fedeltà si misura nel passato,
non nelle speranze.

domenica 1 novembre 2015

IO SON CONTENTO

Io son contento,
non sempre, è vero,
ma son contento,
contento.
Il suo sguardo basta,
e son contento;
un bacio di congedo,
e son contento;
il tuo solito sorriso,
e son contento.
Beh, per farla semplice
io son contento.

giovedì 29 ottobre 2015

ESTRATTO SULL'ARTE

estratto da 'Testamento' - JD 00 Aa 345 (archivio personale)

"L'artista, in fondo, è sempre un diverso: o negletto o adulato, ma pur sempre diverso! è curioso, penso io, che qualcuno sia scelto dalla Musa e qualcuno no, ma penso che di ancora più curioso ci sia il fatto che chiunque sia scelto è, di fatto, destinato ad essere una creatura particolare in mezzo a un mondo di figurine tutte similissime, per non dire identiche. L'artista è come maledetto, costretto da una qualche stregoneria alla solitudine più nera, all'isolamento più assoluto. E non importa che sia accolto e lodato per la sua arte, perché anche nel caso che sia circondato da laudi per il suo operato, perché anche nel caso che la vita gli conceda l'incontro con un suo simile, artista, tale artista rimarrà sempre protetto dal mondo da una muraglia impenetrabile, attraverso la quale lui vede il mondo e il mondo può vedere lui, attraverso la quale l'arte permea e si manifesta alla gente comune, ma attraverso la quale la persona dell'artista non potrà mai passare! I segnali di fumo dell'artista riusciranno ad essere avvistati dalla gente che s'accalca, eventualmente, attorno alla fortezza, ma ormai per nessuno è possibile superare il fossato, nessun trabucco può scalfire le alte mura, né alcuna scala sarà mai abbastanza robusta e lunga per sfiorare le merlature di lassù. Ecco cosa crea l'ispirazione della Musa, ecco cosa significa esser scelti dalla Musa, significa divenire prigionieri di fortezze inespugnabili ma che, per uno strano scherzo, sono sempre circondate da grandi città che scrutano verso tali fortezze senza aver modo di avvicinarcisi!"

martedì 27 ottobre 2015

STUDIANDO PER L'UNIVERSITA' - n°1

"Innegabilmente lo Schliemann, con la sua irrazionale fede in Omero, mostrò una volta di più che soltanto le utopie fanno progredire il mondo."
- Ranuccio Bianchi Bandinelli, Introduzione all'archeologia classica come storia dell'arte antica

24 ottobre 2015
Leggendo un semplice volumetto scritto da un tizio che, in effetti, ora mi pare alquanto geniale, mi colpì molto questa frasetta. Notevole. Un pensiero sfuggito a una penna intelligente riesce a impedire la lettura del resto dello scritto. Ci ho messo del tempo per ricominciare a leggere, per ricominciare a studiare, perché la mia mente è rimasta strozzata dall'arguzia di questo uomo.
Le utopie fanno progredire il mondo. Il mondo avanza per i sogni più profondi e insensati delle persone che questo mondo lo abitano. Il mondo non ruota perché v'è la forza gravitazionale interplanetaria, certo che no! Sono le follie, le belle speranze del mondo nostro, la nostra immaginazione.
è, per certi versi, spaventoso, ma è anche emozionante pensare che la nostra storia sia proprio una storia di sogni e di cuori. Siamo fin troppo abituati a pensare che siano le azioni a creare la storia e a imprimere un sigillo all'interno del grande volume del tempo, quando, a ben pensarci, è proprio qualcosa di meno fisico ciò che condiziona l'andamento delle giornate. Tutto, tutto è condizionato proprio dal pensiero, ed tale pensiero è tanto più efficace quanto è folle. Non una follia insana e assurda, ma una di quelle passioni insensate, forsennate e sanguigne!
Le utopie. Thomas More è famoso per una delle più grandi utopie della storia, Platone ci narra di un'utopia in cui credevano anche altri grandi uomini, tante e tante speranze si sono accumulate. E queste utopie hanno plasmato gli eventi: non solo ogni utopia è influenzata da un certo clima intellettuale, ma ogni singola utopia è in grado di influenzare e causare mille  e mille altri ambienti, rivelandosi veri e propri germi di vita per speranze nuove e ancor più forti.
La speranza. Potremmo definirla come uno slancio, la tensione che (mi sento molto romantico in questo momento!) ci spinge verso qualcosa di altro, qualcosa di meglio!


Tornerò, quando avrò più tempo, a riflettere su queste parole miracolose. Per ora: sono alla ricerca di una speranza, della mia personalissima utopia.

domenica 25 ottobre 2015

SOLO IN UNA NOTTE AFOSA

SOLO IN UNA NOTTE AFOSA
Penso troppo spesso a lui

È sera tardi,
in effetti è notte.
Molti ormai dormono,
il caldo è soffocante,
ma si dorme:
la giornata è fatica.
Una zanzara ronza
fastidiosa
insopportabile
attorno alla lampada
sul comodino.
Avrei voglia di ucciderla,
schiacciarla finalmente
per il silenzio.
Oggi ho pensato spesso a lui,
sdraiato per terra:
il cotto arancione fresco.
Ogni respiro
un desiderio,
un sogno,
una speranza,
tutto inconsistente,
tutto impalpabile,
tutto niente.
Cosa ho perso?
Non ho vissuto i suoi baci,
le sue carezze,
nemmeno i suoi respiri.
Cosa ho perso?
Ho perso l'amore dei giovani,
quelle sensazioni,
quelle emozioni,
quel sentimento.
Cosa ho perso?
Ho perso il piacere
la bellezza di un altro te,
la complicità di lunghi silenzi,
la felicità di innocui sorrisi.
Ho perso molto.
Mi rimangono tante
troppe parole inutili:
riempio i giorni di mille pagine,
riempio le pagine di mille parole,
riempio le parole di nessun valore.
M'illudo
vorrei dare tutto,
ma mi rimane il desiderio di lui,
solo il desiderio di lui.
E ora ho caldo,
tanto
tanto caldo.
Soffoco:
ho caldo e lo sogno.
Tornano le giornate passate a parlare,
passate ad incontrarsi:
mi rimarrà sempre un pezzetto,
ogni parola è parte di me.
La dannata zanzara s'avvicina:
lui impazzisce davanti alle zanzare
- è divertente.
L'ho uccisa.
Posso dormire
non riposerò
ma dormo:

spero di sognare lui.

giovedì 22 ottobre 2015

RIFLESSIONE PRIMA SUL TEATRO

Percorso personale attorno al teatro - bozza

θέατρον. Il luogo dove 'si vede'. Tutte, o quasi, le parole che descrivono la bellezza - partiamo dalla bellezza per ora - in relazione ad un pubblico sono connesse con il senso della vista, con l'atto indispensabile del vedere: spettacolo, dal latino spicio, ossia 'vedo', l'aggettivo mirabile, letteralmente 'da ammirare', 'da vedere'. Il termine teatro, per l'appunto, si connette anch'esso all'azione del vedere. Tutto semplice fin qua. Ma è evidente che spettacolo e teatro non siano affatto sinonimi: quando guardo uno spettacolo, non per forza sono seduto nella scomoda poltroncina di un palchetto affacciato su una platea attenta! Lo spettacolo è anche una partita di calcio tra Juventus e Torino, tra Roma e Lazio, uno spettacolo è la straordinaria Cappella Sistina, la Galleria degli Uffizi; ma tutto ciò non è, evidentemente, teatro.
Dobbiamo quindi introdurre una definizione di spettacolo che soddisfi tutto, che si distacchi notevolmente dall'ambiente del teatro-edificio e che si leghi a ciò che realmente può essere classificato con il termine generale di spettacolo. Ebbene, possiamo provare così: lo spettacolo è un qualcosa, una res indefinita che però ha una caratteristica imprescindibile, è rivolta sempre, e ribadiamo questo sempre!, ad un pubblico. Ecco perché si chiama spettacolo! L'etimologia lo conferma: lo spettacolo ha necessità di qualcosa da vedere  e di qualcuno che veda. Non è un evento privo di relazioni esterne, è un fatto di condivisione, sempre, sia un orribile spettacolo, sia un meraviglioso spettacolo. è il pubblico che crea lo spettacolo, ma non nel senso capitalistico della frase, ovvero non significa che il gusto del pubblico decide quale spettacolo - ciò può accadere, ma in questo momento intendiamo altro - Quando affermiamo che il pubblico crea lo spettacolo, intendiamo sottolineare come è fondamentale l'azione di chi osserva, come è imprescindibile qualcuno che sia esterno all'evento che, poi, può essere dichiarato spettacolo. Bene. Ma allora ogni volta che trovo una persona per strada mi trovo davanti a uno spettacolo? Ovvio che no, quindi è necessaria un'ulteriore precisazione. Spettacolo sarà ciò che è veduto da qualcuno, ma fondamentale sarà che questo spettacolo provochi qualcosa proprio nell'animo/anima/spirito/emotività di chi sta vedendo! Se l'azione muoverà a stupore, tristezza, compassione, allora sarà uno spettacolo realizzato e tale, sarà un evento che meriterà tale denominazione. Certo, anche quando due persone si innamorano ciò che si vede causa emozioni, sensazioni e altro, ma, a differenza degli spettacoli, ciò che accade non è semplicemente un movimento dell'io intimo delle persone, piuttosto è lo stravolgimento compiuto e completo della parte più segreta e preziosa di ognuno.
Abbiamo quindi una descrizione, per ora forse ancora alquanto oscura, di cosa sia uno spettacolo: qualcosa che avviene dinanzi a un pubblico che osserva e che è 'mosso' personalmente, nella propria intimità, da una qualche emozione/sensazione, positiva in generale, di ribrezzo, schifo e rabbia in alcuni casi particolari.
Per ora ci facciamo bastare questa definizione e proviamo a procedere, tornando al teatro. Il teatro è uno spettacolo: avviene con un pubblico, nel pubblico si creano sensazioni e si provocano emozioni. Allora perché teatro non è sinonimo di spettacolo e viceversa?
Per capirlo, come si fa sempre, dobbiamo tornarcene indietro, là dove il "teatro occidentale" è nato. L'antica Grecia delle poleis e in particolare la polis ateniese custodiscono, forse, a parere di chi scrive, il segreto vero della distinzione tra teatro e spettacolo.
In Atene il teatro era atto sacro, evento mistico per certi versi, tanto che le origini di esso sono sempre collegate, nei miti e nelle testimonianze, alla dimensione sacrale e cerimoniale  della vita quotidiana. Questo non solo in Grecia, però in Grecia antica il teatro è un vero e proprio tempio del dio, del dio Dionisio, colui che raduna in sé la doppia natura del mondo, poiché è dio ma figlio di madre mortale, Semele di Cadmo. Ebbene, il teatro è il luogo in cui la divinità e la bassezza dell'essere uomini si incontrano e si celebrano a vicenda: Dioniso non è che il paradigma dell'esistenza dell'universo, poiché esiste la Terra ed esiste l'altezza dell'Olimpo, gli uomini e gli dei. Il teatro è il sancta sanctorum dove il mistero di Dioniso si verifica, ed è a Dioniso che bisogna offrire ciò che l'uomo può creare: a Dioniso si offrono sacrifici, a Dioniso si offrono i drammi, ma oltre che a Dioniso il tutto è per la città, per la comunità, perché tutti a teatro sono offerti e si offrono e a teatro a tutti si offre e a tutti è offerto! Miracolo della complessità linguistica: a teatro gli uomini offrono alla divinità, Dioniso, sacrifici e l'azione drammatica; sempre a teatro la divinità, Dioniso, offre agli uomini l'educazione attraverso i cori e le trame mitiche. Tutti danno, tutti ricevono, tutti sono dati e tutti sono ricevuti. Gli uomini danno e ricevono l'atto teatrale. Ed è in questo che sta il mistero di ciò che è il teatro, a differenza dello spettacolo: io nel teatro ti offro qualcosa, non te lo mostro e basta, ma te lo offro, te lo consegno come se ti donassi il mio tesoro più prezioso. Come in un rito io offro alla divinità, così il teatro offre allo spettatore! Ti offro qualcosa che va al di là di semplici parole, perché, in un modo o nell'altro, dev'esserci una vita nel teatro, dev'esserci un atto finto, ovviamente, recitato e fittizio, ma tale atto deve essere obbligatoriamente pieno, anzi, strapieno di vita vissuta, di vera forza vitale, di respiro e fiato, di emozioni e sensazioni, di carne e sangue, di fisicità!

Sì, ecco, a teatro c'è questa offerta, ma ci dev'essere un limite, ci devono essere delle dimensioni a quest'esperienza, altrimenti tutto è teatro: un politicante che parla a una folla, un medico dinanzi ad altri illustri colleghi in una conferenza, tutti loro tentano di offrire qualcosa al proprio uditorio, e anche qui è fondamentale una certa dose di 'finzione fisica', ma … ma manca la divinità, qui manca Dioniso, qui manca l'idea  e la consapevolezza che ciò che si sta facendo è indissolubilmente legato a un mistero indicibilmente complesso. Nel teatro c'è un luogo sacro, foss'anche improvvisato in una piazza: esiste una membrana sottilissima, una barriera invisibile ma impenetrabile che divide ciò che osserva da ciò che deve essere osservato. Non importa che si mettano in scena i grandi miti o la vita comune, o che il pubblico dialoghi con un personaggio che apertamente si rivolge alla platea: la barriera esisterà sempre, comunque e per sempre, perché quello che avviene non è un dialogo, non è un incontro normale. Qui si manifesta un qualcosa di altro, un'entità diversa dalla semplice conversazione. è il teatro.