martedì 26 gennaio 2016

DOMANDE

Dove sei andato?
Perché non sei qui?
Quanto tempo è passato?
A me manchi, lo sai?
Ci vedremo?
Tra molto, o poco,
ma ci vedremo?
Puoi dirmi che sei qui?
Anche se non ci sei,
puoi dirmi di essere qui?
Ti prego: dove sei andato?
Perché non rispondi più?
Mi manchi, lo sai?
Lo sai?
Sai che c'è qualcosa,
qualcosa che non dico?
Sai che c'è una cosa,
una cosa che nascondo?
Sai che io ti ...
lo sai?
Lo sai che non ti voglio bene?
Lo sai che io ti ...
lo sai?

Perché non rispondi?
Dove sei andato?
L'altra sera camminavo,
e non ti ho sentito ...
tornerai?

Intanto faccio finta che
di te
non me ne importi nulla:
quieto vivere, si chiama
quieto vivere.

martedì 19 gennaio 2016

E INFINE SI SPOSTARONO ANCHE LE MONTAGNE

Quando mi resi conto di ciò che stava per accadere, mi fermai un attimo. Stava per finire tutto. Ripensai a ciò che mi aveva portato fino a quel punto e fu proprio allora che mi smarrii, lontano, da qualche altra parte. C'erano di nuovo tutti quei sorrisi che mi avevano parlato la prima volta, c'erano di nuovo gli occhi che, inspiegabilmente, scintillavano come lucine attorno all'albero di Natale. In quel luogo rividi tutta la luce che poi avrebbe ...
«Quindi cosa pensi di fare?» mi chiedeva chi cercava di starmi vicino, ma non c'era nessuna risposta, in me, a quella domanda. Quell'interrogativo rimaneva perennemente disatteso e non trovavo la benché minima possibilità di fuggire. Cosa pensavo? Non pensavo a niente se non a lui, alla sua bellezza, alla sua perfezione, imperfetta agli occhi delle persone normali. E che problemi c'erano? Nessun problema, in fondo: il mio cuore si era abbandonato a un sentimento che, ovviamente, non sarebbe mai potuto essere ricambiato.
Ma poi ... ma poi qualcosa avevo fatto ... ah, sì: alla fine era successo qualcosa e proprio adesso questo qualcosa si stava per concludere: la sua luce, cioè quella caratteristica che ha sempre un amato davanti agli occhi di chi ama, mi aveva col tempo costretto a sentire nuove sensazioni, nuove emozioni privatissime, custodite in una profondità mai conosciuta. La sua luce, giorno dopo giorno, aveva preteso di illuminare parti diverse della mia storia, riuscendo a farmi ricordare, e talvolta rivivere, alcuni attimi terribilmente lontani: tutta la mia storia si era condensata, proviamo a dire così, anzi sublimata in una forma che non avevo pensato in precedenza: pensavo a lui e intanto su un foglio si affiancarono parole dopo parole, frasi dopo frasi. Un foglio crebbe e divennero due, i fogli, tre, quattro, e cinque e sei e ... la mia storia (non era più la mia vita, ma continuava ad essere la mia storia) correva su quelle pagine e tutto era mosso da una sciocchissima luce lontana, che mai sarebbe stata mia. 
Solo oggi, oggi che mi accorgo che ho quasi concluso la mia storia, mi accorgo che forse, finalmente, ho scoperto una risposta alla domanda di chi cercava di starmi vicino.
Ritorno alla pagina che ho davanti. Adesso svanisce tutto ciò che ho ricordato e rimane solo da concludere questa frase. L'ho pensata già da tempo e forse apparirà assolutamente insensata, fuori dal contesto ma ... ma la mia luce ha deciso che queste sette parole dovranno esserci alla fine, e quindi eccole. Scrivo. 
"... e infine si spostarono anche le montagne"

martedì 12 gennaio 2016

LA PRESUNZIONE

Adesso non vorrei pensarci,
vorrei sedermi e mangiare,
una bella fetta di torta!
Vorrei fermarmi e riposare,
dimenticarmi di me sul letto,
tra le coperte.
Non vorrei aprire gli occhi,
sentire l'aria che passa fresca
sulle mie palpebre, fresca,
come acqua gelida sul viso di mattina,
e sentirmi anch'io fresco,
fresco, riposato.
Bene, vorrei molte cose,
altre molte cose,
molte altre cose,
ma che poi, a che serve volere,
se non ci si mette?
Ma volere è impegnarsi,
in un certo senso,
e io ci penso. Di notte,
ci penso e sogno.
Anche stavolta, buonanotte e basta.

Sono solo parole sciocche e di uno sciocco. Ma in questi giorni succede qualcosa che mi costringe a provare questo nuovo tipo di presunzione. Sì, presunzione, la presunzione di ignorare ciò che dicono, di ciò che potrebbero pensare (e non dirò nemmeno 'gli altri' - dannazione, l'ho fatto!). La presunzione di poter dire qualcosa che penso, la presunzione di imbrattare con inutilissime parole questo tempo che passo da solo. Almeno fino a quando qualcuno (solo una persona ha questo potere) non verrà a salvarmi da quaggiù. Più tardi, già oggi, tornerò davanti a tutti,  come sempre, con le mie finzioni, e non sarà in verità una finzione, ma una difesa,nonché un dono, da parte mia, a coloro che mi sono a fianco: non vorrei che trascorressero ore cupe per colpa mia.
Dunque, anche stavolta lascio che le parole vadano ...

lunedì 11 gennaio 2016

DICEVO RIGUARDO L'AMICIZIA

Dicevo qualcosa, qualche tempo fa, a proposito di una certa cosa che, a quanto pare, dovrei chiamare 'amicizia'. Ebbene, non ricordo troppo bene cosa stavo dicendo, ma ricordo che mi ero fermato a lungo prima di decidermi a parlare. Perché? Per lo stesso motivo per cui oggi scrivo solo dopo aver trascorso qualche ora in un atteggiamento quasi religioso. Sì, perché di questo argomento - questo mi è chiaro - non se ne può parlare come si parla la mattina, appena scesi dal letto e si dice 'buongiorno' a qualsiasi cosa, anche se non si sa nemmeno che ci si è svegliati!
Dunque, dicevo qualcosa, dicevo qualcosa riguardo a un paio di creature meravigliose che ho incontrato, per caso o per qualcosa che non indagherò oggi. Oggi ho dovuto ripensare a queste due creature meravigliose e ho ritrovato alcune parole, nella mia infinità capacità di perdermi dietro qualsiasi distrazione, che mi hanno sorpreso.
Sono sempre stato un misantropo. Misantropo?! Proprio io che sono sempre così socievole nonostante l'acidume che caratterizza la mia indole?! Proprio io che attacco bottone anche con il muro se nessuno mi ascolta?! Sì, proprio io, io sono sempre stato un po' un misantropo, uno che, quando chiudeva la porta di camera sua, sentiva il cuore farsi finalmente un pochino leggero. Quante persone hanno ascoltato le mie riflessioni a proposito? In molti, infatti, sanno che io mi sono sempre ritenuto una persona alquanto incapace di avere relazioni sane con le altre persone reali. Decisamente, lo credevo assolutamente vero. E lo penso tuttora, in realtà, ma ho scoperto che c'è qualcuno che riesce a intromettersi. Mi spiego - solo per fare chiarezza nella mia stessa mente. Non c'è gioia più grande che tornarsene a casa e non dovere più pensare a niente se non al niente di una stanza riempita solo da ciò che i miei occhi vogliono vedere e da ciò che le mie orecchie scelgono di sentire. Tuttavia, tuttavia ora ci sono due persone in particolare che mi costringono a conoscere altre persone, altre persone che si aggiungono a una luce che ho scoperto fuori dalla mia stanza.
Oh, come parlo strano! Ma che posso fare se mi piace essere misterioso?!
Due creature, oggi, mi chiamano fuori e mi scopro ad essere portato a incontrare altre meraviglie.
Parole senza senso? Ho già finito: volevo solo ricordarmi che ho trovato il mio Primo Mobile, il fulcro della mia insignificantissima vita, il magnete che mi costringe a sé nonostante la distanza. Amen.

giovedì 7 gennaio 2016

LA SIGNORA CHE VENIVA DA UN'ISOLA - idea/bozza

Conobbi una signora. Signora! Sembra quasi che fosse una vecchia donna già un po' troppo avanti con l'età. No, non era affatto anziana, ma era sposata; oh sì, aveva un marito - che uomo! Quando la conobbi rimasi estasiato da quella figura non troppo slanciata, ma per nulla tozza o impacciata. Era una donna giusta, né troppo né troppo poco, ma il giusto. Un giusto che, come si dice da tanto tempo, sta nel mezzo, eppure lei non era affatto nel mezzo in tutto il suo aspetto - altrimenti non ne sarei rimasto estasiato! Era bella? Non particolarmente, o almeno, non rispettava minimamente i miei soliti standard di bellezza, però era piena di luce, oh sì, piena di calore e sincerità, una tenerezza quasi puerile che le dava l'aria di essere, nel cuore, una ragazza. Quanto avevo ragione: mai una prima occhiata si rivelò più corretta!
"Se ora fugge - mi diceva una volta - presto inseguirà, caro mio ... non essere troppo ansioso di conquistarla: solitamente non dovrei permettermi di dirti questo, come sai, perché non è bene che tra noi si dicano certe cose, ma stavolta cerchiamo di fare un'eccezione. Io non dirò niente a nessuno, e spero che anche tu non senta il bisogno di dire ad altri ciò che ti racconterò". Cercò con lo sguardo una mia risposta, ma non attese troppo. Ricominciò a parlare: "Una fanciulla, oh come mi sento vecchia nel dire così! una fanciulla, dicevo, è una creatura fantastica in effetti, certo, qualsiasi fanciulla. Purtroppo, però, ciò che il nostro cuore umano ci ha insegnato è che non tutto deve essere apprezzato allo stesso modo. In che senso? Nel senso che, ripeto il purtroppo, purtroppo la bellezza è ciò che ci rassicura più di tutto: non importa sapere che ogni fanciulla è meravigliosa, no! noi abbiamo bisogno che la persona sia bella, perfetta e divina nelle forme, Ne abbiamo un insensato bisogno ... - si fece cupa - e questo insensato bisogno è ciò che più di tutto ci fa soffrire. - e fece una pausa - Ma questo riguarda il cuore, riguarda la nostra ricerca della persona perfetta, della persona da amare, non riguarda affatto l'Amore - le luccicavano gli occhi - No, l'Amore è un'altra cosa, è una forza diversa dalla bellezza che muove il nostro cuore ... l'Amore è qualcosa che avviene e che stravolge, ci annienta: ti tremano le gambe, impallidisci, ti si impasta la lingua! ... l'Amore vede quella fanciulla meravigliosa che ti dicevo prima, non la bellezza di quella o quell'altra ragazza: non ti preoccupare, perché le sofferenze che tu oggi patisci per lei, le patirà anch'ella per qualcuno di diverso ... e vi inseguirete tutti per la ricerca di una bellezza inutile e instabile! Poi ... poi vi colpirà l'Amore. Quella sarà un'altra cosa ... l'Amore vi sconfiggerà davvero.

martedì 5 gennaio 2016

STORIA DI DICEMBRE

- 26 dicembre 2015
Immancabilmente freddo, a dicembre. Sì, dicono che fa più caldo, che non fa più freddo come una volta, ma di sicuro in città non c'erano più di sei gradi. Non meno quattro, è vero, ma neanche un bel ventitré tranquillo e sereno. La nebbia quella mattina era particolarissima. Di solito quando alzo la tapparella mi ritrovo davanti una parete bianca, pesante, uniforme. Quando è poca intravedo a malapena il garage, in fondo al giardino, e l'albero di noci. Quel giorno, invece, c'era una nebbia rosa, qualcosa di strano: la coltre solita era ammassata insensatamente verso il noce, dimenticandosi di coprire anche i due pini nani vicino alle finestre della sala. Il colore era diffuso, ma la solita luminosità che lanciava il sole dal suo nascondiglio oltre la nebbia era scomparsa, e tutto appariva sbiadito, slavato, spento. Era mattina e come ogni mattina dovetti fermarmi a guardare fuori, perché prima di incominciare a correre c'è sempre quel momento in cui devi prendere fiato, in cui riempi i polmoni per poi buttarti, e quando ti tuffi sai che poi per un po' non potrai più prendere fiato. Io la mattina prendo fiato per un tuffo: respiro il 'paesaggio' su cui si affaccia camera mia e poi … Quel giorno rimasi più del solito, invaso da perplessità che non comprendevo nemmeno. Qualcosa mi lasciava la bocca asciutta, il sapore di amaro sul palato, l'insoddisfazione giù nella gola.
Mi voltai, finalmente, e mi accorsi di avere freddo: il termosifone s'era acceso, ma ero stato fermo molto a lungo, dormendo, e adesso ero a piedi scalzi su un pavimento quasi gelido. Saltellai fino al letto e mi ci rilanciai sopra, per dar tregua ai miei piedini gelati. Cercai di non muovere troppo il materasso e le coperte: dormiva ancora. Non s'era mosso nemmeno quando avevo tirato su le coperte. Era tutto imbacuccato, nascosto sotto il piumone, infreddolito forse, o magari immerso in un qualche dolce sogno di carezze e coccole. Aveva la bocca un pochino aperta e respirava piano, senza quasi fare rumore, fatta eccezione per un piccolo soffio che, ogni tanto, era accompagnato da un sibilo detto sottovoce. Il suo solito naso!
Non occorreva la luce accesa, quindi mi allungai verso il comodino, cercando di scavalcarlo, per prendere i miei calzini. Forse lo sfiorai e lui, senza svegliarsi, ebbe un lievissimo tremito: affondò ancora un pochino la fronte nel cuscino e poi si arrese di nuovo. Stava per svegliarsi: qualcosa lo aveva turbato? C'era una minuscola ruga nuova sulla sua fronte liscia.
Rimasi sul letto, infilandomi, piano, le calze. Spostai di nuovo lo sguardo verso la finestra e osservai che la nebbia s'era un po' spostata. Senza dire niente a nessuno aveva fatto qualche passo indietro, sciogliendo l'abbraccio che la teneva stretta al tronco spoglio. Mentre la guardavo non mi sembrava che si muovesse. Distolsi lo sguardo per qualche secondo con l'intenzione di fare un esperimento. Di scatto riosservai la nuvola rosata e ecco che era di nuovo arretrata. E adesso era immobile! Mi prendeva in giro? Stavamo forse giocando? Una stranissima manche a un-due-tre-stella! cui non avevo mai partecipato prima. Sorrisi: avevo avuto la mia dose di bellezza mattutina contro le brutture di una corsa quotidiana.
Non giocai per molto tempo: quando le dita dei piedi tornarono caldi infilai le pantofole e, senza far troppo rumore, me ne uscii dalla camera chiudendomi dietro la porta. C'era silenzio nel resto della casa. Mia sorella era già in cucina che aspettava che salisse il caffè. I miei erano partiti per una settimana. Mi infilai in bagno per lavarmi la faccia. Aprii l'acqua e scoprii con sorpresa che scendeva calda: stavolta era toccato a mia sorella di attendere che l'acqua gelata nella notte tornasse a scorrere tiepida. Mi sciacquai il viso e riscoprii quel piacere insensato di sentirsi crollare di dosso la bellezza della notte. Sì, perché è bello dormire, ma è altrettanto bello quando ti sei riposato e puoi prendere dell'acqua calda e carezzarti gli occhi e le labbra, la fronte e le guance, quando una goccia scivola dentro il colletto e bagna il pigiama da dentro.
Guardai nello specchio e riconobbi il solito personaggio strano.
«Non potevi svegliarmi? Da quando sei alzato?» mi chiese una voce sonnacchiosa da una fessura della porta.
«Buongiorno! Pensavo di lasciarti ancora un po' lì, anche io adesso mi sarei rimesso a letto: non abbiamo granché da fare …» sorrisi voltandomi verso di lui e spalancando la porta. Ovviamente era a piedi nudi e con un occhio ancora chiuso dal sonno. I capelli erano un disastro, tutti sconvolti in mille e mille rose diverse. Un braccio penzolava lungo il corpo, l'altro lo teneva nei pantaloni del pigiama, cercando di non perderli visto che l'elastico s'era lasciato andare ormai da tempo e rischiava ad ogni passo di dimenticarseli per strada.
«Torniamo di là» gli dissi.
«Perché hai tirato su le tapparelle?»
«Beh, non abbiamo niente da fare ma sai che odio stare a dormire!» rise, perché era vero: mi conosceva troppo bene.
«E allora cosa torniamo di là a fare?» mi chiese, continuando a sorridere e ridacchiare insieme.

«Niente, ma almeno faremo niente insieme»

venerdì 1 gennaio 2016

BUON ANNO

A cosa stai pensando? Facebook pare sempre molto, molto interessato a ciò che ci frulla nel cervellino. Certo, è sicuramente tutto per marketing, per cercare di afferrare ciò che ci interessa, le tendenze e tutto il resto, ma … ma è rassicurante, è tremendamente rassicurante. Nessuno ci fa caso spesso, se non per prendere di lì lo spunto e fare uno stato eccezionale, da un paio di decine di like, ma è sorprendente quanto sia importante, a volte, sentirsi chiedere "Che cosa stai pensando?". è da qualche giorno che apro Facebook e guardo proprio questa scritta, chiedendomi a mia volta "A cosa stai pensando?" e mi ritrovo a pensare che un altro anno è finito e che ormai sono quasi venti gli anni che ho salutato. Non sono poi così tanti, ma sono anni in cui sono successe diverse cose ed è strano accorgersi che in verità tutte queste cose sono successe in così poco tempo. Ma a cosa sto pensando? Sto pensando che è strano aver bisogno di pensare. Come sarebbe bello non pensare, vivere e basta, godere la bellezza che ci sta attorno e nient'altro. La bellezza? Sì, la bellezza, e non parlo di Gauguin, Leonardo o Michelangelo, Klimt, o Goethe o Schnitzler, no. Parlo della bellezza delle persone che cercano di volerti bene, che te ne vogliono e cercano di fartelo capire. Ecco perché sarebbe così bello non pensare! Sarebbe come liberarsi di un peso estremamente ingombrante, come quando porti le valigie tutte da solo perché è meglio fare tutto in un unico viaggio fino alla macchina, piuttosto che avanti e indietro per tre volte. Voglio lasciare quel peso, essere libero di fare mille viaggi e portare un calzino alla volta in macchina, essere felice di augurare a tutti un buon anno, nonostante le guerre, nonostante i soldi che a troppi mancano e a che a troppo pochi abbondano, nonostante le disuguaglianze e tutti i problemi. Augurare un buon anno a chiunque, ma soprattutto augurare un buon anno a me. Me lo merito, non perché ho fatto il bravo o sono stato particolarmente ligio ai miei doveri, no. Me lo merito perché tutti ci meritiamo di essere egoisti almeno un pochino. Mi auguro un buon anno, solo perché so che augurarlo a me significa augurarlo agli altri: che buon anno potrebbe essere se passato da solo? Sì, la solitudine mi attrae e mi intrigherà sempre, ma ora so che voglio essere felice con i sorrisi degli altri.

Buon anno a me, buon anno a voi.