domenica 31 maggio 2015

COSA MI DEVI DIRE?

Cosa mi devi dire?
So che c'è qualcosa,
ogni tanto sto facendo altro
e ti vedo:
perché mi stai guardando?
Distogli o sguardo,
rapido,
imbarazzato (?):
cosa c'è?
Cosa mi devi dire?

Dovremmo parlare ancora,
come quella vola,
tempo fa,
sederci insieme e parlare,
dimenticare il rumore della gente.
Non capita spesso,
ormai,
di parlare, fermarsi
incontrarsi:
perché mi guardi così?

So che c'è qualcosa,
ma cosa?
Cosa mi devi dire?
Dimmelo,

anche solo che ho sognato tutto!

martedì 26 maggio 2015

STORIA DELL'ALTO CAL

Circa dodicimila anni fa le stirpi degli Elfi di Kander si radunarono nella Piana di Radragar dinnanzi al cospetto del sovrano di Bosco Ertreh, il quale aveva convocato tutte le generazioni del Kander-Dar perché così gli era stato ordinato dalla Regina.
Uno spettacolo mirabile era l'immensa vallata erbosa, tutta occupata dalle alte ed eleganti tende di seta blu e verde; al vento si scuotevano i lunghi stendardi di ogni famiglia e verso il cielo si elevavano i fumi delle lampade profumate poste davanti alle entrate. Al centro della piana, poi, era stata eretta la tenda di Re Grathe, di Bosco Ertreh. Davanti alla sua dimora non ardeva una lampada comune, ma un grande braciere di bronzo che spandeva nell'aria un denso fumo biancastro,  che saliva e saliva, arrampicandosi a poco a poco verso il cielo, smanioso di raggiungere le nubi.
Quando venne il momento tutti gli Elfi si radunarono attorno al braciere, abbandonando senza troppe preoccupazioni ogni loro avere, tutti in attesa dell'evento per cui erano tutti accorsi.
Tutti i figli di Kander erano presenti: gli agili Elfi delle Pianure del Merg, i solitari di Scoglio del Tramonto, gli abitanti di Bosco Ertreh e quelli di Bosco Heleina, tutti …
Il sole presto sarebbe stato a picco sul braciere e le ombre allora sarebbero svanite sotto i piedi delle alte creature, proprio allora la seta venne scostata e Re Grathe, avvolto nelle sue regali vesti, avanzò fino al braciere, con la grande testa rasata baciata dal caldo sole.
Dinnanzi al braciere alzò le braccia e chiuse gli occhi intonando il canto del rito: tutte le stirpi del Kander risposero col ritornello, unendosi poi a canto sovrastando l'esile voce del sovrano.
Finito il canto il sovrano cadde in ginocchio, ai piedi del braciere.
L'intera valle seguì il suo esempio e tutti caddero immobili, chini e col capo verso terra, gli occhi serrati; in un attimo i rumori della natura si persero in un silenzio innaturale: anche i ruscelli sembravano ora immobili, il vento pareva sconfitto e svanito.
Il sovrano alzò il capo e aperse gli occhi verso la luce del sole.
Il fuoco smise di ardere e il fumo si dissolse.
La sua voce esile e anziana iniziò a invadere l'intera valle, giungendo nitida e chiara anche a coloro che si trovavano più lontano: tutti udirono le sue parole.
«Vengano i minuti e le ore, scorrano i vostri giorni e i vostri anni, passino i secoli e si compiano i millenni: vedrete un mondo nuovo, Figli di Kander; vi fu data conoscenza e saggezza, concessa immortalità e salute. Osservate, Figli Miei, i precetti antichi e vivrete! Ma passerà il tempo e vedrete un mondo nuovo: coloro che avete veduto nascere un giorno dovranno conoscere il potere su queste terre, coloro che avete veduto sorgere con nuova vita dovranno imparare la potenza delle loro capacità. Figli di Kander, prendete ogni vostra conoscenza e partite, lasciate queste terre e abbandonate queste valli: a voi è stata preparata una terra oltre il mare, là dove la Stella incontra le Acque. Tutti vivrete in quella terra. Non abbandonerete in eterno queste altre terre, ma il vostro tempo da padroni è finito, poiché a Voi spetta la grazia, la beatitudine. Sarete i maestri di questi nuovi sovrani, sarete mentori di questa nuova stirpe. Lasciate queste terre, partite insieme e in fretta. Ecco, Io qui, in questo luogo, pongo la Mia Parola: servi della Sovrana partite! Gioite della beatitudine che v'attende e partite! Io qui pongo la Mia Parola: in questo luogo sarà la garanzia di ciò che vi dico; sorga dalla terra nuda, tra i fili d'erba umida, la certezza della Mia Parola, Io sono l'Unica, la Sovrana, Regina!»
Finito di parlare il braciere riprese a fumare, ed ecco che dalla terra si udì un tremito, una scossa come di terremoto: mentre gli uccelli riprendevano il loro volo, l'acqua il proprio corso, il vento la propria corsa ecco che da sotto il treppiedi del braciere una roccia sorse, bianca e luminosa; a poco a poco dalla terra emergeva questa roccia liscia e chiara, un cilindro sempre più alto che pian piano si elevava. Ribaltò il treppiedi nella sua salita e dopo non molto la roccia fu una vera e propria colonna, lanciata verso i cieli, scintillante nella luce del mezzogiorno.
Gli Elfi di Kander abbandonarono, dopo i dovuti riti, la vallata: presero il mare, come ordinato dalla profezia di Re Grathe, e, come annunciato, raggiunsero la loro nuova dimora.
I servi più fedeli della Regina furono da Essa ricompensati della loro lealtà.
Oggi gli Elfi vivono ancora là, nelle Isole dell'Elfo, e vengono nei continenti solo per occasioni particolari, o per commerciare e scambiare (non solo beni materiali, ma anche il loro sapere!)

L'Alto Cal ancora oggi si trova nella valle: difficilmente potreste identificarlo nel disordine della città che, nei secoli, v'è cresciuta attorno, ma se il vostro occhio sarà capace riconoscerete tra le colonne della facciata del Sanerte cittadino uno strano pilastro che non poggia sul pavimento, ma, anzi, che è, dal pavimento, circondato.

domenica 24 maggio 2015

TRE SORELLE

Mentre il sole iniziava la sua corsa giornaliera, tre sorelle camminavano mano nella mano verso la luce calda che carezzava loro il viso. Tutte si sentivano il sole sulle guance fresche per l'aria notturna, sentivano il calore come una mano amorevole che si poggiava dolcemente sulla loro giovane pelle.
Una delle tre sorelle camminava incerta, un po' malferma sulle sue gambine fragili; traballava e s'appendeva alla mano della sua sorellona. I suoi occhi erano belli, azzurro chiaro, di un celeste miracoloso e pallido. Le sue spalle magre si stringevano impaurite, i suoi occhi sbirciavano il sole nascente da dietro la schiena della sorella che la trascinava con decisione. Sembrava assorta in qualche ragionamento strano, confuso e combattuto. Ogni passo era per lei un  nuovo dubbio, un nuovo dubbio che la tormentava, che le imponeva di arrovellarsi il cervello, e il suo cuore ascoltava ogni dubbio, il suo cuore iniziava a discutere con la sua mente, prepotente, pretendendo di poter anche lui esprimere una sua idea! Camminava incerta e dubbiosa, seguiva la sorella che la stringeva per mano, la sua sorellona …
Dall'altra parte stava la mezzana delle tre sorelle, una ragazzina dolce e sorridente, che s'avanzava con felicità verso la luce del sole, ma quel sorriso era un sorriso sottile e delicato, un sorriso timido e imbarazzato: spesso in quell'allegria timida, ch'era il suo stato, si perdeva e un poco inciampava, rimaneva di poco indietro ed era fondamentale la mano della sorella perché riprendesse il cammino.
I suoi occhi erano grandi e lucidi, curiosi, ma imbarazzati, e sulle guance si dipingeva spesso quel rossore emozionato da bambina, quell'agitazione tutta infantile, quel bel colore che hanno sulle guance le bamboline di porcellana. Lei non si perdeva in ragionamenti e dubbi come la sua sorellina, no, lei procedeva con gli occhi agitati, imbarazzati ma curiosi. Guardava ora qui ora là e distoglieva in fretta lo sguardo come se ciò che stava guardando potesse in qualche modo ricambiare quello sguardo indagatore, così da farla sentire al centro dell'attenzione. E lei questo non lo amava affatto: le piaceva osservare, aiutare le formichine che incontrava lungo il cammino con una briciola lasciata vicino al formicaio … La sua sorellona lo sapeva, e allora ogni tanto era proprio lei a indicarle dove guardare per trovare una formica, un grillo, una coccinella. La sua sorellona …
Lei era la più grande delle tre sorelle, una donna fatta. Da tempo si occupava lei da sola delle sue amatissime sorelline: era lei che tentava di chiarire qualche dubbio - i pochi che le rivelava - della più piccola, era lei che aiutava a cercare nuovi animaletti da scoprire e aiutare.
Camminando lei non sorrideva, camminava con il passo deciso e convinto, la testa alta e fiera; nonostante tutti i giorni in cui un burrone le aveva sbarrato la strada, nonostante gli alberi che si erano distesi lungo il sentiero, nonostante il gelo sopportato nelle notti d'inverno, lei camminava e cercava il suo cammino. Talvolta rallentava, chinava lo sguardo e allora anche i suoi passi, come quelli delle sue sorelle, avevano bisogno di un qualcosa che li spingesse a ripartire; ma poi ecco che un'alba, un arcobaleno, l'eleganza di un cerbiatto la rianimavano e le rifondevano nuove forze, nuova determinazione. Riprendeva le mani delle sue sorelline e ricominciava a camminare guardando in avanti.
Quel mattino ecco che camminavano tutte e tre l'una a fianco dell'altra: la piccola taciturna e dubbiosa, la ragazzina imbarazzata ma mossa da una curiosità intima indescrivibile, la grande, al centro , con lo sguardo fisso sul sole nascente.

Camminavano le tre sorelle … camminavano …

giovedì 21 maggio 2015

RIFLESSIONE FATTA IN UN'ORA DI GRECO

 L'artista è sempre un diverso: o negletto o adulato, ma sempre un diverso!

Di notte le luci del centro illuminano ampi cerchi di sampietrini e l'artista cammina. O è circondato da una nuvola di gente che lo adula e lo osanna, o è solo e la luce dei lampioni è più potente del profilo della sua ombra. Magari cammina con un amico, ma quando questo dice qualcosa l'artista ha pensato a qualcos'altro, c'è stato un lampo.

In una libreria normale una persona normale cerca i libri che gli interessano; in una libreria normale una persona non-normale è trovato dai libri: a lui non interessano, ma i libri si presentano e pretendono di essere comprati e letti.


Davanti a una chiesa gotica un artista non immagina solo come doveva essere all'epoca dei feudi e dei principati vescovili, davanti a una chiesa gotica un artista s'annulla e prega di poter diventare una di quelle statue che dall'alto osservano per secoli e secoli la vita che si trascina sul sagrato e sulla piazza.

Verso mezzogiorno una persona normale pensa al pranzo, o si sveglia dopo una notte di bagordi. Un artista pensa sempre al pranzo e ogni cosa è come svegliarsi dopo una notte di bagordi: il tempo?! non esiste il tempo.

martedì 19 maggio 2015

L'ANGELO DELLA MUSICA

Il sole si era sciolto oltre l'orizzonte, sgonfiato sulle cime delle montagne s'era rotto come un tuorlo d'uovo colpito dai rebbi di una forchetta. Dall'altra parte del cielo iniziavano ad emergere le ombre della notte, saliva l'onda dell'oscurità e il cielo, roseo, stingeva a poco a poco a quel blu intenso e profondo, infinito.
Le case iniziavano a cercare una nuova luce, una luce artificiale per prolungare di un poco la giornata; i fari delle automobili si rincorrevano sempre più frenetici e le strade erano un intrico di lampi arancioni e gialli che sbattevano contro i muri delle case e le vetrine dei negozi.
Dall'alto del suo condominio Cristina osservava la sera inseguire il giorno, appoggiata al balcone; osservava le strade sotto di lei e si fermava ad esaminare quelle due figurine scure che correvano sotto gli alberi davanti al campo di atletica; ascoltava i rumori della città, quello scroscio di movimenti continui che le ricordava tanto il suono del mare.
Cristina era sola in casa e, dopo aver chiuso bene la porta, si era tolta le scarpe e le calze, s'era levata i jeans e aveva indossato i suoi comodi pantaloncini di tuta. Uscita sul balcone aveva sentito l'aria fresca del pomeriggio carezzarle le gambe lisce, aveva sentito il tiepido delle piastrelle sotto i piedi e s'era appoggiata alla balaustra sciogliendosi i lunghi capelli sulle spalle.
La primavera era ormai arrivata e qua e là si percepiva già la violenza dell'estate: capitava che un pomeriggio fosse particolarmente torrido, che qualche prato fosse già bruciato dai raggi del sole, che qualcuno camminasse già per strada in pantaloncini e maglietta. La gente prendeva giorno dopo giorno più colore: la pelle abbandonava il pallore malato dell'inverno per accogliere quel rossore diffuso del caldo, i vestiti viravano sempre di più al colore sgargiante, alle belle tonalità pastello, e pochi coraggiosi s'azzardavano ad indossare nero, marrone, beige.
Anche Cristina adesso sentiva la primavera, sentiva un nuovo calore scorrerle nel corpo, un nuovo calore che, paradossalmente, le rinfrescava le membra ridonandole nuova energia, nuovo vigore. Mentre tornava a casa era come inebriata dal verde sempre più luminoso e brillante degli alberi lungo i viali, quando era seduta in classe e sentiva cinguettare fuori quei fastidiosissimi uccellini, troppo contenti e troppo gioiosi, nonostante tutto le si allargava il cuore e si sentiva … libera.
E adesso era lì, a godersi uno dei suoi 'riti' privati, una di quelle passioni segrete e intime, come quelle di Amelie. Amava quel film. A Cristina però non era mai possibile immergere le sue mani in un sacco di legumi, e allora s'era trovata qualcos'altro, aveva scoperto l'emozione in cose come quella.
Ora il sole era davvero scomparso. Lungo l'orizzonte si allungava un grande fascio arancione e incandescente e a poco a poco questa luce s'assottigliava sempre di più, schiacciato dal peso della notte.
A poco a poco Cristina si lasciava avvolgere dalle mille immagini che la circondava, pian piano ogni cosa scompariva attorno a lei e si condensava in un tutto indistinto, fatto di foglie profumate e stormenti, fatto di persone che in lontananza, sul marciapiede, si precipitano a casa propria, fatto di luci che si confondono l'una con l'altra, che si perdono in luccichii indistinti.
In quei momenti si sentiva bene, sapeva di essere strana, sapeva di essere diversa, ma che poteva farci lei? A volte s'immaginava come protagonista di un qualche romanzo che qualcuno, chissà dove, aveva pensato e architettato, leggendo qua e là si ritrovava in questo o quel personaggio, riconosceva questo o quel carattere.
Si lasciava andare a quelle fantasie, s'immaginava come potesse essere la faccia di questo autore lontano, cosa potesse averlo ispirato a creare un personaggio come lei, così particolare, così curiosa …
E s'immaginava un vecchio barbuto, magro e angoloso, chino su un foglio che andava via via macchiando con segni leggeri e veloci; vedeva su quel naso un paio di occhiali leggeri, ma che parevano pesare come macigni su quel naso ossuto; aveva pochi capelli in testa, sottili  e grigiastri, appiattiti sulla fronte; le orecchie le immaginava appuntite e piuttosto grandi, ma ormai mezze sorde … chissà qual era il suo nome, chissà come firmava la sua storia, che bel segno avrebbe lasciato sulla carta la sua mano secca secca, e che titolo avrebbe scelto?
Mentre si perdeva in questa fantasia, mentre tutto si scioglieva in un'impersonalità assoluta e completa, mentre il mondo scompariva tutt'attorno, un suono armonioso iniziava a circondarla, il ricordo di una canzone udita chissà quanto tempo prima, chissà quando, chissà dove.
Dalla sua memoria affiorava quest'armonia soave, lontana e divina, l'abbracciava dolcemente e la cullava, le vibrava nel petto come un diapason, perfetta e impeccabile.
Il suono a poco a poco cresceva e dal petto le note si muovevano verso la gola, le stuzzicavano le labbra e la lingua, le imploravano di poter essere liberate, di poter volare nell'aria della sera, di potersi unire al cinguettio lontano, di potersi confondere con il rumore monotono delle automobili, di potersi perdere nel cielo immenso.

Alla fine, chissà come, chissà perché, Cristina cantava, libera e sola in casa, nessuno dalla strada la udiva, ma a poco a poco le stelle accorrevano per ascoltarla, per assistere a quel particolare concerto sul terrazzo di un alto condominio. 

venerdì 15 maggio 2015

RIVELAZIONE

Queste parole sono state ispirate da un amico ateo; sono state scritte per essere inserite in un progetto più ampio, tuttavia - poiché tale progetto verrà alla luce poi - meritano di essere ascoltate prima ... non per falsa modestia, semplicemente perché sono parole nate dal cuore.

Non dico di poterti dimostrare che il mio Dio esiste, ma anche quando tento di portarti una qualche minima prova ecco che tutto è inutile, perché tu sei alla ricerca di prove tangibili, di prove sperimentali, pratiche, oggettive, di dati … io non ne ho, non ne ho e non ne avrò mai, perché il mio Dio è oltre a queste cose, sta al di sopra dell'umano sentire e non ragiona con le nostre logiche. Sembrano frasi fatte queste, ma sono frasi sincere; le prove che posso presentarti sono le mie sensazioni, le mie emozioni, quella sentimento grandioso che provo quando finalmente instauro  un dialogo sincero con Lui … Non posso portati numeri, formule e calcoli. Tu cerchi quelle risposte lì, io no; tu aspiri a scoprire una formula che spieghi tutto e sempre, io la mia l'ho trovata (anche se è una formula oscura e 'complicata') è si esprime in tre semplici lettere …
Però sono consapevole che ci sia la possibilità che tutto sia un inganno, proprio perché la mia è una fede traballante, in quanto è umana; so bene che potrei sbagliarmi, che potrei aver trascorso una vita circondandomi di menzogne miracolose, ma pur sempre fantasiose … è quella parte di me che non riesce ad affidarsi completamente al mio Dio che suggerisce queste insicurezze; sì perché a volte sento troppo distante il mio Dio, proprio perché ci muovono, a me e a Lui, due 'logiche' differenti: la mia è una 'logica' umana, ragionamenti terreni, bassi e pragmatici; la sua 'logica' non conosce logica … è un mistero di amore e perfezione, di bellezza e misericordia che non può essere espressa in un modo migliore che con la parola 'Dio'.
Ma, ripeto, in me vive questa parte vulnerabile e fisica, questa parte legata ai sensi e all'esperienza diretta, sensibile che a Dio non interessa. E proprio perché in me vive questo dubbio, io non sono come te: io so che potrei ingannarmi davvero, che tutto ciò in cui cerco di credere potrebbe essere solo fumo e sono pronto ad accettare chiunque, un giorno, si presenti al mondo portando nella mano destra la formula che spiega ogni cosa, la prova che Dio non esiste … Sarò pronto a rinunciare a tutto il mio Credo, poiché allora sarà un Credo falso e ingannevole, pieno di bugie e falsità che debbono essere estirpate … ma finché tu non mi porterai quella prova insindacabile io non rinuncerò a questo mio Dio: continuerò ad adorare Lui, continuerò a provare a credere in quello che ci ha insegnato, in lui cercherò riposo e risposte.
Davvero! Quando mi camminerai davanti facendo mostra del tuo sapere assoluto, quando avrai svelato la legge che muove l'universo e l'esistenza, proprio allora io mi prostrerò davanti a te e rinuncerò a tutto …
Ma quando mi porterai le prove tangibili che non esiste alcun Dio, allora sarà il paradosso: non sarai forse tu a conoscenza di tutti i segreti dell'universo? Non avrai tu compreso ogni causa?
Sì, ora che ci penso non potrebbe che succedere un disastro se tu ti presentassi con una simile legge in mano: saresti Tu a dover essere adorato quale Dio, poiché Tu conosceresti ogni cosa; in Te si risolverebbe ogni mistero, in Te sarebbe soddisfatta ogni domanda … Ma allora non saresti Tu stesso un dio?
Insomma, dimostrando che Dio non esiste, non saresti Tu stesso l'Unico Vero Dio?

Continuerò a cercare la risposta che cerco, e tu continua a cercare la risposta che desideri: se io troverò la mia te la annuncerò, e spero che il tuo cuore abbia la forza di ascoltare anche le mie 'prove', spero che tu possa avere il coraggio di fare esperienza delle mie esperienze; se sarai tu a trovare la tua risposta … be', se sarai tu a trovare la risposta, spero che tu possa risolvere anche il paradosso che ti ho esposto poc'anzi … Buona ricerca.

giovedì 14 maggio 2015

ENNESIMO SPROLOQUIO - parte prima

Dunque ci siamo, tentiamo ora di dare forma a qualcosa di sensato.
Non ci conosciamo bene bene, non posso dirmi tuo amico, ma in questi giorni mi hai chiesto aiuto, sei venuto a cercarmi e mi hai chiesto una mano. Odio il fatto di aver dovuto accettare di aiutarti, perché l'ho fatto solo per colpa del mio stupido cuore, della mia stupida inclinazione naturale all'ascolto … non ho deciso di aiutarti, il mio io lo ha fatto al posto mio e mi ha obbligato a parlarti ed ascoltarti.
Hai detto molte cose e molte cose avrai ancora da dire: mi dici che ti sono d'aiuto nonostante io non veda in me un aiuto per te; sono un ragazzino anche io, un pischello ignorante e sbarbato che ancora sta appena entrando in punta di piedi nel mondo.
Hai detto che sei in crisi, ti senti perso e sconfortato, stupefatto di ciò che ti accorgi di sentire dentro di te, preoccupato per le immani conseguenze che potrebbero derivarne, in lacrime perché ti senti indeciso e confuso. Sono pronto ad ascoltarti ancora, ancora e ancora, ma non ho nulla da dire se non che mi dispiace: soffri in un modo che posso intuire, ma non comprendere appieno; hai vissuto cose che io non ho mai sognato, che non m'hanno mai sfiorato; hai chiesto aiuto a una persona che non ha capito molto dell'amore perché non è mai stata amata davvero: i miei genitori mi amano - penso - e così le mie sorelle, so che ho amiche e forse qualche amico che mi vuol bene, anche tanto, ma non ho mai provato cosa sia l'amore.
Tu forse nemmeno sai cos'è l'amore: hai vissuto l'innamoramento di certo, ma oggi mi racconti di un sentimento che ti spiazza, che ti tormenta, che ti eccita e ti dà quel tremito voluttuoso. Mi dici delle tue insicurezze e delle tue paure, mi riveli il tuo terrore di poter perdere CCCCCCC e il tuo cuore me lo immagino lacrimare ogni volta che pensi a lui e a ciò che dovresti dirgli, che sogni di vivere con lui.
Ho sognato anche io come te, sogno qualcosa di simile ancora adesso, e so che cosa significhi rovinare tutto con quella speranza che i sogni diventino realtà.
So che hai sofferto, che stai soffrendo, so che sei preoccupato per le reazioni che ne deriveranno, sia di SSSSSSS - poiché davvero soffrirà come mai prima d'ora era accaduto a quel povero cuore -, sia di CCCCCCC - che tu sai di poter perdere con molta probabilità -
Ma entrambi sappiamo che tu stesso stai soffrendo come un cane ammazzato dalle botte di un padrone bestiale crudele, sappiamo entrambi che il tuo cuore implora solo un po' di pace e serenità, desidera ardentemente solo un po' di felicità, un  briciolo di felicità che ti possa permettere di vivere serenamente, finalmente in pace, finalmente consapevole di te. Questa felicità la desideri con tutto te stesso e pensi di poterla e doverla ricercare in CCCCCCC piuttosto che con SSSSSSS: non nego che penso che ormai sia chiara la situazione, ma dico con tutto me stesso che stai prendere una decisione che dovrà essere definitiva, che se davvero sceglierai CCCCCCC lo dovrai fare con la consapevolezza di poter perdere anche lui, oltre che SSSSSSS. E mi dici che non vuoi assolutamente perderlo, e in fondo hai anche ragione: a te basterebbe averlo vicino, oggetto del tuo culto segreto senza che neanche ne sia consapevole, ti basterebbe questo pur di non perderlo; vorresti altro, vorresti di più, vorresti poterlo avere alla luce del sole, dinnanzi a chiunque, ma ti accontenteresti di potergli stare vicino, di continuare ad avere la solita vita.
Ti capisco, so cosa significa, ma sei sicuro che sia una scelta saggia? Continuare a vivere nell'ombra, continuar a mentire agli altri e, soprattutto, a te stesso e, ancor più soprattutto, a CCCCCCC?
Vivresti una vita a metà, forse ancora più grama di com'è ora, forse ancora più crudele di quella che stai vivendo adesso.
Se sei deciso devi affrontare la tua 'decisione', se davvero senti di aver capito, se davvero tutto te stesso ti dice che sei così - e al diavolo l'idea che ti eri fatta nella tua infanzia, perché anche io sognavo una moglie e dei bambini, per poi accorgermi che la moglie l'avrei trattata come un'amica, una semplice compagna di viaggio, non altro - se davvero sei divenuto consapevole di te, allora non puoi nasconderti, non puoi raccontare una mezza verità, non puoi continuare a mentire, mascherandoti.
**, io ho vissuto cose molto diverse: non ho mai avuto una vera e propria storia, non ho mai conosciuto, tuttavia, nemmeno l'amore di un uomo, e mi definisco omosessuale solo perché una volta - recentemente, forse, è avvenuta la seconda - mi sono innamorato di un ragazzo ch'era ai miei occhi splendido. Ho tentato di capire più d'una volta perché mi fossi innamorato di lui, come se si potesse comprendere davvero tale avvenimento: pensai che fosse una sorta di gelosia a stringermi a lui, l'invidia per ciò che lui era, o  pensai che potesse essere solo un'amicizia che mi prendeva particolarmente. Ma in questi numerosi tentativi di spiegazione il mio cervellino si perdeva e sempre ritornava una risposta semplice e assurda: mi rivedevo davanti il suo viso e il cuore si bloccava.
Ripeto, non ho vissuto assolutamente nulla di paragonabile a ciò che è stata la tua esperienza, e forse sono anche un po' invidioso di tutto l'amore di cui sei oggetto: gli amici, CCCCCCC, che per te prova un affetto smisurato, SSSSSSS, che più e più volte ti ha riaccolto perché incapace di stare senza di te; io non ho mai avuto nulla di simile: ho degli amici, ma, in tutta sincerità, a nessuno di loro rivelo tutto, a ognuno nascondo una parte di me, e non si tratta di piccoli segreti nascosti come tante cose si nascondono, ma si tratta di qualcosa di estremamente più importante e - in un certo senso - pericoloso …
Ti dico questo per cercare di convincerti che sei amato, che ti amano sia CCCCCCC sia SSSSSSS, che non importa la reazione  di CCCCCCC che seguirà, perché, se anche si allontanasse da te, tu ti sentiresti uno schifo, solo e abbandonato, ma sono anche certo che per una volta sapresti di stare una merda per il giusto motivo, e non per aver taciuto l'ennesima volta; che non importa cosa succederà con SSSSSSS, perché anche a me dispiace che potrebbe crollare, ma ciò che dovrebbe importare a te è anche che tu stai vivendo da bugiardo e mentitore.
Tante cose ho scritte che, se avessi un minimo d'amor proprio, dovrei cancellare immediatamente, ma vorrei che queste parole t'arrivassero tutte, perché ancora sono disposto a parlarne, ancora sono pronto ad accogliere ogni tuo sfogo, ma non ho la forza di trattenermi!
Tu mi hai acceso quando mi hai parlato l'altro giorno, hai acceso in me la fiamma della passione: non è una passione amorosa, ma una passione agguerrita, la mia volontà di aiutarti, di starti accanto come potrò … in me sento di poter pensare a tante cose, ma sento che alla fine della giornata mi tormenterò nel pensare che una creatura miracolosa sta rodendosi per un tarlo che ha morso anche a me, un tarlo che ancora oggi, ogni tanto, torna a logorare anche la mia anima.
Sono qui in uno dei momenti più delicati della mia breve vita e penso a come potrei aiutarti. Non posso.
La mia mente parte e inizia a viaggiare, sogna un ragazzo conosciuto a scuola o da qualche altra parte che mi sorride e mi abbraccia calorosamente, un ragazzo che mai avrei pensato potesse piacermi, ma cui mi ritrovo a pensare prima di dormire; immagino dei pomeriggi con lui, soli in una stanza ad ascoltare musica e pisolare, e mi tormento perché questo non mi tocca … Poi riapro gli occhi e mi accorgo che l'illusione che mi sono immaginata mi racconta ancora di una gelosia, dell'invidia che provo per due persone che sono amici da tanto e tanto tempo … Ancora rifletto e ora mi tornano in mente le parole di dolore che uno di questi due amici mi ha detto, parole che mi colpiscono come frustate e mi dico "Tu ti tormenti? Pensa a lui, lui che vive stiracchiato tra due altre persone cui tiene veramente … tu hai il coraggio ti tormentarti? Aiuta lui, piuttosto che piangere per la tua stoltezza"
Perdonami se ti scrivo queste parole, lo so che non è giusto che io ti dica questa cosa, ma forse, in fondo in fondo, spero che queste parole ti convincano di quanto io non sia degno di essere ascoltato: sono un debole, invidioso e sciocco. Brancolo nella solitudine e adesso che tu mi hai aperto i tuoi dubbi e le tue perplessità io mi ci insinuo con le mie follie.

Ripeto -  e non odiarmi perché lo ripeto - ho vissuto altre cose, meno cose di te, e non ho mai conosciuto l'abbraccio di qualcuno che avrei - forse bambinescamente - chiamato 'amore mio', e forse proprio per questo non meriterei d'essere ascoltato con particolare attenzione, ma se c'è una cosa che so è che tutti noi vogliamo la felicità, tutti si è alla ricerca della felicità assoluta e totale, completa ed eterna. So che tu ora non lo sei, so che ora sei distrutto da come stanno andando le cose e so anche che se potessi vorresti sparire da questo mondo, scomparire con un puf immediato e irreversibile, indolore. Non accadrà. Mi dispiace.

mercoledì 13 maggio 2015

ANDARE A BALLARE

Di parole stasera non c'è bisogno,
la musica basterà per gli orecchi di tutti,
il ritmo stordirà anche me e sarà
riposo ...
non ci saranno più dubbi e continue idee,
s'esaurirà quella fonte infinita di domande,
l'ansia evaporerà dal corpo con il sudore,
non dovrò bere, non ne ho bisogno:
già da sé la mia mente è annebbiata!
In quel rumore ci sarà un po' di silenzio,
mentre m'agiterò e griderò,
là sarà un po' di quiete ...
Non sarò, forse, come gli altri, -
cosa pensano gli altri? pensano? -
ma stasera sarò vicino a loro ...

martedì 12 maggio 2015

E LA PORTA ERA CHIUSA

Cadeva dall'alto la notte,
s'immergevano gli occhi nel buio:
mi sussurrasti parole d'amore.
Non importava più la gente
e la porta era chiusa,
no due eravamo soli.
Le tue dita mi sfioravano il collo
- non immaginavo ne fossi capace! -
la tua voce era meno sicura,
aveva perso la sua audacia.
Era scesa su di noi la notte,
noi due rimanevamo soli,
insieme bel buio.

CONCETTO PERFETTO (?)

La sala era bianca. Non è facile descriverla perché, davvero, era solo e soltanto bianca! Un cubo perfetto con soffitto e pavimento e pareti bianchi. Due porticine affiancate erano chiuse da una tenda, una tenda, ovviamente, bianca.
La luce veniva dai quattro angoli del soffitto, quattro fari potenti puntati tutti verso il centro della sala.
Le persone giravano in cerchio, camminando piano, e tutti rivolgevano il loro sguardo all'incrocio delle luci, nell'immaginario baricentro di tutta la stanza. Il silenzio era attraversato solo dal rumore amplificato dei passi che si trascinavano in cerchio.
Qualcuno si muoveva in coppia, altri erano soli, altri in piccoli gruppetti. Di tutti gli occhi erano rapiti nell'ammirare il centro della sala, di tutti gli sguardi erano persi e dubbiosi, stupefatti, ma curiosi, impressionati … e tutti si muovevano in tondo, come fedeli a La Mecca attorno alla Ka'ba, ma qui non s'innalzavano canti  e preghiere, non si muovevano credenti oranti, ma giovani e vecchi qualunque, donne e uomini, madri e figli …
Quando qualcuno entrava nella sala veniva trascinato via dal moto rotatorio, rapito dall'onda di persone che si muovevano in circolo. Per uscire si passava per la seconda porta, si sfuggiva via da quel girotondo continuo e si scappava da quel moto perpetuo.
I fari si concentravano e offrivano la loro luce perché tutti potessero vedere al meglio, perché tutto fosse illuminato e non un'ombra si mostrasse dove non doveva esserci.
Ogni tanto una mano s'allungava dalla marea e indicava a qualcun altro un dettaglio, una sfumatura, un particolare appena scoperto; seguivano allora poche parole, dette di fretta, dette sottovoce, un sussurro svelto che si perdeva sotto i passi della gente.
Al centro della sala stava lei, sola e ammirata da tutti, unica nella sua bellezza, nella sua perfezione. Si lasciava carezzare dal calore dei grandi fari che le scaldavano la superficie, permetteva alla luce di farla risplendere e si offriva così a tutte le persone che per lei erano accorse.
Era bella e nient'altro, perfetta nella sua perfezione. Ogni occhio non poteva che fissarsi su di lei, magari per motivi diversi, ma non poteva sfuggirle! Lo sguardo di quello era shoccato del fatto che una cosa simile fosse così tanto importante, così tanto 'onorata', quell'altro invece era totalmente preso dalla sua forma, dalla sua bellezza; c'era qualcuno che la fissava e intanto ragionava, come se il solo guardarla fosse una domanda filosofica impossibile, cui qualcuno dovrà pur dare una risposta; qualcuno era entrato svogliato e si era sorpreso nel vedersi attratto ad osservare qualcosa di simile, qualcosa che, in un momento diverso, in una situazione diversa, in un altro luogo avrebbe sicuramente ignorato.
E intano lei era lì, rimaneva lì, immobile, impassibile, bellissima.
Fuori dalla sala c'era la coda per entrare e vederla. Sulla porticina c'era una scritta che diceva: 'Concetto perfetto (?)'.

Dentro lei aspettava chiunque volesse vederla, una sfera di marmo bianca, sola in mezzo alla sala, e tutti l'ammiravano.

lunedì 11 maggio 2015

ORA SEI TU L'ISPIRAZIONE

Ora sei tu l'ispirazione,
la dea parla attraverso te;
non più il sole del cielo,
ma la luce del tuo viso;
non più sogno beato, 
ora sogno la beatitudine:
il tuo volto di sorriso acceso,
le tue mani innocenti,
la tua voce, gioia vera.

Non canta più l'antica passione,
tace sepolto l'animo mio,
ricerco nuova luce in te,
bramo nuova pace con te,
accarezzo, finalmente, te.
Rimarrò in silenzio a guardare,
non disturberò la tua vita,
sarà come una luna:
concedimi un raggio di te nella notte.

domenica 10 maggio 2015

DAVANTI A TE

05 MAGGIO 2015 - Sognare è una delle possibilità [...]; impegnarci a che ogni nostro sogno possa realizzarsi è un'altra possibilità [...]. Se scegliamo la prima possibilità abbiamo solo tanto bisogno d'amore. Se scegliamo la seconda abbiamo solo bisogno di tanto amore. Abbiamo sempre e solo tanto bisogno di tanto amore.

DAVANTI A TE

La miseria del mio linguaggio
dinnanzi al tuo miracolo
mi strazia.
Nelle parole ho sempre cercato
rifugio.
Davanti a te le parole ...
Ecco, le parole se ne vanno,
si spengono e m'abbandonano,
anche le ultime compagne se ne vanno
e non rimango che io,
solo con te -
miracolo

sabato 9 maggio 2015

6 MAGGIO

Non ho nulla da dire,
ma ho bisogno di dire
qualcosa, qualsiasi cosa.
Sono passato veloce e forse ti ho visto:
eri tu? Non lo so.
Tu non mi hai salutato;
ma eri tu?
Magari no.
Avrei voluto salutarti,
gridare attraverso il viale,
ma eri tu?
Ho fatto bene, magari non eri tu.
O eri tu?
Se eri tu, non mi hai salutato,
perché?
Non mi hai riconosciuto,
o, semplicemente,
non volevi sbagliare?
TI saluto ora:

Ciao!

venerdì 8 maggio 2015

INNO ALLA SPERANZA

Oltre.
La speranza attende oltre.
Oltre questa sera,
oltre le solite cose,
oltre le persone che incontrerò domani,
oltre le vecchie abitudini.
Attende là,
la speranza.
Oltre questa sera c'è lei,
dolce e delicata,
sogno di tutta una vita.
C'è lei domani?
Lei non è in un giorno,
non arriva a quell'ora,
non prenota il viaggio,
è speranza
ed è oltre.
Oltre
La speranza attende dove non c'è,
ritorna a luoghi ch'ha abbandonato,
saluta ancora sorrisi passati.
Attende là,
dove l'hai vista l'ultima volta?
Cercala ancora,
lei è oltre,
è là:

oltre.

giovedì 7 maggio 2015

CONSIDERAZIONI ATTORNO ALLA LETTURA

È davvero un bene che tutti noi ci si disponga all'ascolto di quello che coloro che sono venuti prima di noi hanno avuto da dire, mio caro Dario, e non credere che lo dica per l'abitudine in cui sono cresciuto, perché ho sentito giorno dopo giorno ripetermi che dovevo comprendere le mie radici per crescere, che dovevo essere ben saldo sul mio passato per ergermi verso il futuro con più temerità; piuttosto, all'inizio, odiavo l'idea di dovermi affidare a qualcuno, detestavo il pensiero di dover seguire delle tracce già percorse, di dovermi fermare e osservare ciò che mi aveva preceduto. In me v'era quella veemenza giovanile, quella foga che tutto spazza via e pensa che tutto debba soccombere al mio passaggio, che ogni cosa, ogni persona sia obbligata a chinare il capo e baciare la terra che ho calpestata e spazzarmi quella che il mio piede non ha ancora sfiorata. C'era questa pretesa di superiorità e perfezione, come se io, solo, nuovo avessi capito tutto e tutti gli altri fossero degli sciocchi illusi e folli, cretini che non avevano capito assolutamente nulla di ciò ch'era in realtà.
Rifiutavo, dunque, quegli insegnamenti e deridevo tutti, convinto di potermi muovere da solo, di poter affrontare ogni cosa al meglio senza necessità di sostegno alcuno. Sentivo in me la forza, il vigore, la prepotenza del mio corpo giovane e agile, mi sentivo potente!
Inciampai un giorno di ormai sette anni fa, sette anni che, per una vita di ventenne com'è la mia, sono quasi metà della vita stessa. Ero borioso e superbo, tronfio e supponente ero in grado di contestare ogni cosa, ero capace di opporre ad ogni affermazione la sua più perfetta negazione, negazione inattaccabile e incrollabile: ogni discussione era un tutti contro di me, o, meglio, un me contro tutti. Amavo discutere, lo scontro, quello violento che scalda il sangue, e le facce diventavano rosse, le tempie pulsanti. Ma fu dopo una di queste discussioni che inciampai, scivolai lungo disteso, il muso sbattuto per terra e tutto attorno a me si stinse: non ricordo più di cosa stessi discutendo, ma ricordo che mi mancarono le parole, mi rimase secca la bocca e osservai il mio interlocutore, il mio avversario, muto lo fissavo.
Tutta la mia foga, tutti i miei ragionamenti ben architettati, giocati su una logica contorta ma coerente, tutto crollò come un castello di carte su un tavolo su cui poggia i suoi paffuti gomiti un bambinello di otto o nove anni. E le parole ch'avevo imparato, i bei tempi verbali giustamente coniugati, le mie frasi correttamente costruite rimasero schemi vuoti, intelaiature che non sapevano di che riempirsi, non trovavano di che nutrirsi … sperimentai allora la mia mancanza di radici, mi ritrovai solo, senza nessuno che potesse corrermi in aiuto, senza un protagonista di un romanzo cui ispirarmi, senza una scena di una commedia cui rifarmi, senza un aforisma da ricordare … m'accorsi d'essere solo con le mie parole, di non avere nessuno che potesse parlare al mio fianco, di non avere nessuno su cui contare in una discussione con altri.
Sentii ch'ero abbandonato, che mi ero abbandonato da me, che non avevo nulla.
Dovevo trovare un'àncora cui aggrapparmi e cercare così di non sprofondare nella miseria, nell'immobilità della mancanza di parola e di pensiero. Ma dove iniziare? Dove trovare un qualcuno da ascoltare? Ancora in me sopravviveva un poco di quella superbia che mi impediva di affidarmi ai consigli degli altri, durava un briciolo di quell'arroganza che per la mia prima fanciullezza, per i miei anni di bambino presuntuoso mi aveva animato … e quest'arroganza m'aveva procurato anche complimenti, poiché risultavo un bambino sveglio e intelligente, molto molto perspicace e anche, forse, un po' troppo; ma ora questo rimasuglio m'era d'ostacolo: sentivo la necessità di affidarmi a qualcuno, ma questo qualcuno doveva essermi estraneo e lontano, doveva appartenere a un altro mondo, a un'altra, più lontana epoca … percepivo che questo qualcuno lo dovevo ricercare nei libri perché riconoscevo nei volumi quella distanza che andavo cercando, perché nei libri intravedevo un'àncora che non m'avrebbe obbligato - così pensavo allora, povero me! ero solo un illuso, Dario, uno stupido illuso, perché davvero anche, forse soprattutto i libri ti obbligano ad un servizio perenne, ad  una schiavitù piacevole e straordinaria, ma non altro che una schiavitù, una sottomissione totale e assoluta! - ad un giogo opprimente, un'àncora capace di salvarmi, ma senza che questo salvamento mi costringesse ad un servizio di perenne riconoscimento.
Dunque riconobbi la possibilità che si celava nei libri, in quelle pile infinite di pagine stampate, accuratamente incollate assieme. Riconoscevo che la mano di quegli uomini mi si protendeva attraverso caratteri  neri per darmi un aiuto …
Accettai di affidarmi ai maestri del passato, accettai di concedere che qualcuno mi guidasse da un tempo lontano: ma a chi mi potevo affidare, al fianco di chi potevo scegliere di camminare?

Quando ci si decide a cambiare vita, ci si sente una determinazione dentro che va oltre ad ogni altra sensazione che sia mai stata provata, eppure ci sono davvero troppe scelte, c'è una quantità immensa di vie che uno può scegliere, e allora quella determinazione pare strozzata violentemente, troncata di netto; sei prostrato e non hai le forze, senti la voglia, forte, di alzarti e proseguire, eppure nulla, sei immobile …

FORMICA

Le nuvole opprimono il cielo.
ma c'è un sole diffuso,
una luce sparsa e leggera.
Inizia una sensazione tiepida,
quella strana afa pesante,
quando l'odore della pioggia è soffocante.
L'aria è immota,
le foglie non osano,
nemmeno gli uccelli tentano;
una formichina cammina grigia
- s'affanna solitaria
lungo l'infisso -
'Dove vaghi piccoletta?'
Fa avanti e indietro,
su e giù.
'Ti ricordi da dove vieni?
Dove sono le tue sorelle?'
Incerta s'avvicina al vetro
'Non riesci a tornare?'
È caldo, il vetro, e scappi.
Bevo il mio tè:

dove sei formichina?

mercoledì 6 maggio 2015

PREGHIERA DELLA SERA

Notte serena e profumata
ascolta la mia preghiera:
culla il suo corpo per me,
veglia il suo sonno per me,
concedigli dolci sogni per me;
lui non saprà di questa mia preghiera.
Dorma più beato degli angeli,
invidino pure i cherubini la sua pace,
i serafini s'accendano di gelosia.
Notte serena e disperata
accogli la mia preghiera:
vola con le tue tenebre e abbraccialo,
le tue saranno le mie braccia,
il tuo sarà il mio bacio,
il tuo sarà il mio cuore
e batterà vicino al suo,
invisibile nel buio.
Notte serena e straziante
un'ultima volta t'invoco:
se riesci
raccontagli un po' di me
- che domattina sappia!
Buonanotte, dolce mia notte:
tu da lui,
io quaggiù,

veglierò con te.

martedì 5 maggio 2015

SFIDA

Come potreste svegliarvi così
come mi sveglio io tutti i giorni?
Avreste il coraggio di provarci?
Solo un giorno:
alzatevi dal cuscino,
scostate le coperte
e mettete le pantofole,
aprite la finestra
- la mattina è fresca -,
camminate fino al bagno,
guardatevi nello specchio.
In quello specchio dovete vedere me:
un misero indeciso e codardo,
guardatelo e provate a non odiarlo:
è un verme
che si compiace della propria sfortuna
che dalla propria solitudine non brama uscire
che si sente male quando si sente bene.
Un folle.

Avreste il coraggio di provarci?

LUI (11)

«Hai pensato a cosa potremmo fare domani? Io pensavo che … non so: possiamo uscire, andare in discoteca con gli altri e poi ti porto a casa io, tanto mia sorella non ha bisogno della macchina …»
Lui non mi rispondeva e continuava a guardare fuori dalla finestra. Eravamo sdraiati sul letto e mi stringeva con un braccio, con l'altro si toccava i capelli, tenendo il gomito alto; era assente e incantato.
«Ehi …! Mi senti?»
«Sì … scusa … cosa?»
«Dicevo che se vuoi domani sera possiamo andare in discoteca, possiamo andare a ballare con gli altri: oggi Emma mi ha scritto per chiedermi se mi andava e ho risposto che avrei prima chiesto a te … domani sera ho la macchina e potrei portarti a casa io, senza dover rompere a tua madre»
«A te va?» ancora osservava fuori dalla finestra, sempre con quel tono di voce monotono e basso. Era strano: lo guardavo e respirava profondamente, come se stesse pensando qualcosa, qualcosa di davvero importante.
«Non so … se ci vieni tu allora ok, sennò non so … cioè mi diverto comunque ma … tu che vuoi fare?»
«Stavo pensando che se per te è lo stesso preferirei non andare a ballare»
«D'accordo: che facciamo?»
«Tu a che ora puoi uscire domani?»
Non capivo cosa stesse dicendo: che cosa cavolo stava pensando?!
«Ho la macchina dalle quattro, quattro e mezza»
«Ti va di passare la sera a guardare qualche film? Ci facciamo una maratona di Hunger Games magari …» Mi guardò - finalmente - e mi sorrise: i suoi occhi erano un po' lucidi.
«Che cos'hai? Me lo vuoi dire!?!?»
Distolse lo sguardo e mi liberò dal suo abbraccio, si tirò su e si sedette a gambe incrociate, tutto curvo. Mi alzai anche io, preoccupato.
«Ehi …?» Lo abbracciai da dietro, inginocchiandomi alle sue spalle.
«Scusami …» sussurrò lui, dispiaciuto.
«Ma di che?»
«Non sono molto di compagnia ultimamente: sono stanco e ho un sacco di cose per la testa; sono preoccupato per la scuola e poi mio padre sta addosso»
«Non ti preoccupare … se sei stanco sdraiati e riposiamoci; per la scuola te l'ho già detto: per quello che posso aiutarti ti aiuto io, per il resto stai tranquillo e studiamo insieme; riguardo a tuo padre … non mi esprimo perché sai come la penso!»
Taceva, mogio mogio. Io gli carezzavo la spalla mentre gli premevo il mento nel collo.
C'era qualcosa nel suo respiro che mi preoccupava.
«Sai cosa … domani vieni appena puoi: mamma se ne va subito dopo pranzo, papà è a Praga, mio fratello è in gita. Ci mettiamo qui, compro i popcorn e non solo guardiamo Hunger Games: accendiamo  la musica e la mettiamo al massimo (è da un po' che non ti sento cantare, mi dici solo che le lezioni 'vanno bene'); poi prepariamo la cena insieme (non so cosa, ma ci pensiamo poi e mi organizzo) … - la sua voce era agitata e lui fremeva, sentivo sotto le mie dita la sua pelle sussultare e vibrare eccitata - poi ceniamo io e te sul divano e al diavolo quella donna isterica. Ma prima se vuoi mi aiuti a studiare fisica. Quando abbiamo mangiato tanto da poter rotolare ci sdraiamo nel letto e guardiamo un altro film!» Si liberò dal mio abbraccio e mi guardò fisso, gli occhi vivi e eccitati si muovevano sul mio viso sena tregua. Io ero allibito e rimanevo a guardare quell'agitazione impotente, sconcertato.
Ma poi quello sguardo si spense: continuava a guardarmi ma la mia espressione lo faceva calmare e quell'euforia scivolò da lui, lasciandolo di nuovo puro, con quegli occhi belli e quel viso fresco.
«Domani vengo appena posso e passiamo una giornata insieme: spegniamo i telefoni e al diavolo la discoteca. Facciamo tutto quello che vuoi e poi …»
«E poi ti fermi!»
Mi aveva interrotto e con quelle quattro parole interruppe anche la mia attività celebrale.
«C .. Cccosa?» balbettai.
«E poi ti fermi qui, a dormire: per una notte tua madre non potrà rompere più di tanto» gli era tornata in volto un'espressione serena e allegra, speranzosa. Intanto nel mio cuore davvero tutto si era fermato e tutto rimaneva in sospeso: lui stava lì, davanti a me e mi guardava con quei suoi occhi dolci, quegli occhi che tanto amavo e che mi sognavo tutte le notti.
«E poi mi fermo» acconsentii.

Felice mi abbracciò e poi si alzò per accendere la musica: trascorremmo il resto del pomeriggio insieme, lui riordinava la sua stanza disordinata ballando e canticchiando, io facevo finta di studiare e intanto lo spiavo. Si muoveva felice e spostava da qui una pila di libri di scuola, ritirava nel cassetto qualche maglietta che la madre gli aveva lasciato stirata sulla scrivania. Era così bello. Lo amavo.