sabato 28 febbraio 2015

CONSIDERAZIONi ATTORNO AI FATTI DI MOSSUL

27 FEBBRAIO 2015
sfogo

perdere la propria
storia   significa
perdere  una madre

Chiedo ancora una volta la vostra attenzione, ancora una volta la chiedo scrivendovi, poiché sappiamo tutti che a voce m'infervoro facilmente, mi secco e mi infiammo, spesso e volentieri - sbagliando, temo - sclero.
Questa volta non vi scrivo per un'occasione particolare, non prendo spunto da niente di ciò che riguarda voi, da nulla che sia successo ad altri se non a me.
Sono giorni in cui siamo richiamati a riflettere su qualcosa di terribile e orrendo, qualcosa che scandalizza ognuno e lascia chiunque con un senso di amarezza e rabbia che le parole di tutti i vocabolari di ogni lingua di tutto il mondo non potrebbero esprimere il silenzio assordante che ci sentiamo dentro; e in questi giorni penso che ogni battaglia per i diritti civili, per le parità, per la lotta contro la discriminazione debbano essere dimenticate e accantonate, poiché l'unica cosa che davvero sarebbe importante adesso è aver salva la pelle! Non solo la nostra, ma quella di chiunque viva su questa Terra e vi voglia vivere in pace e serenità, perso nella propria quotidianità, devoto alla propria religione, dedito alle proprie passioni.
E quando si vedono bambini uccisi, uomini sgozzati, il sangue che scivola fino in mare, una ventina di uomini che prega il Signore proprio mentre il coltello si avvicina alla gola, quando si vedono simili scene atroci tutto scade, tutto si riduce ad un dettaglio secondario e allora la vita diventa l'unico bene importante.
Sapete, è proprio perché questo mondo si sta, a poco a poco, fermando che torno a scrivervi … giorno dopo giorno sempre più sguardi si sollevano dai libri, dalle tastiere, dai documenti, dai volanti, dai televisori, dai video e si muovono verso quella terra di storia, verso la culla dell'Uomo … giorno dopo giorno qualcuno si aggiunge a quel numero di persone preoccupate e desolate, sempre più abbattute e sconfortate: l'onda pare inarrestabile, eterna, rapida; si muove verso di noi e allora ci preoccupiamo, allora temiamo, allora davvero diventa un problema. Il mondo si ferma e guarda laggiù, là dove un tempo sorgevano le alte ziggurat, là dove qualcuno iniziò a segnalare che quel paio di pecore era suo con dei simboli,  là dove poi sarebbe sbocciata la prima civiltà … vede uomini che in nome di un 'dio' - che dio potrebbe volere cose simili?! Nemmeno il Dio-Vendicatore della Bibbia avrebbe immaginato qualcosa di simile! - in nome di un 'dio' avanza feroce, conquista città e villaggi, uccide 'eretici', apostati, uccide europei, cristiani, asiatici, atei, ogni cosa diviene cosa non già da sottomettere, ma da stritolare tra le mani, da distruggere interamente. Pare quasi che là dove nacque la civiltà, là sorge la fine della civiltà.
E qualcuno paragona i secoli antichi a oggi, qualcuno va alla ricerca di qualcosa che sia accaduto che possa essere rassomigliabile … qualcuno ci riesce?
La guerra oggi è diversa, questa guerra è una guerra senza precedenti: non consideriamo nemmeno l'aspetto degli armamenti disponibili, non soffermiamoci sul fatto che mai come con IS la guerra si sia fatta propaganda mediatica di terrore - Hitler almeno cercava la menzogna! - lasciamo stare tutto ciò e osserviamo qualcos'altro … IS non attacca solo gli uomini, non uccide solo esseri umani … fa qualcosa che qualcuno non vuole che sia definito 'peggio' … qualcuno dice che la vita umana è la cosa più importante, e forse davvero è un bene senza paragone, tuttavia c'è un motivo per cui certe immagini di un museo, che racchiude alcuni dei segreti di una delle città tra le più straordinarie dell'antichità, che viene distrutto, martellato, abbattuto ci fanno un effetto così strano: la nostra anima - se non volete parlare d'anima, parlate d'animo, parlate di cuore, parlate di inconscio: usate la parola che volete - si accorge che quella distruzione è un attacco a delle idee, a una storia che ci ha plasmato, una storia che sotto quel martello svanisce per sempre, un pezzetto della nostra cultura che scivola via nell'oblio irrimediabilmente …
Quando muoiono delle persone il cuore dovrebbe straziarsi, dovrebbe lacerarsi tremendamente, ma quando a morire è la storia, è il pensiero, è l'arte, è la cultura, è la società non scendono lacrime di dolore, ma scendono le lacrime di un addio, di una separazione eterna e tremenda, lacrime che fanno male e che bruciano sulle guance.
Ecco, allora, in cosa è diverso IS da chiunque altro: non uccide solo gli uomini, ma sottrae loro la speranza, cerca di cancellare quella storia che ha costruito un mondo che oggi crede nella libertà di culto, nella libertà delle nazioni, nella libertà! E non importa se il nostro mondo è ancora diviso in certe questioni, la libertà noi 'occidentali' l'abbiamo scoperta, e l'abbiamo scoperta con tutte le guerre che abbiamo combattuto, con i morti che hanno macchiato con il loro sangue le nostre terre, ma anche con i libri che si sono accumulati nelle biblioteche, con le statue che i maestri hanno scolpito in blocchi scintillanti, con i colori che i grandi hanno steso su tele e pale, con i grandi edifici che hanno mutato l'aspetto del pianeta … IS distrugge questo, distrugge la nostra storia … e cosa rimarrà? Rimarrà un mondo di rovine, un mondo che non avrà più nulla da raccontarsi e soccomberà sotto i colpi di una forza che non è mossa da null'altro che follia. E il mondo non sarà una fenice, l'umanità non si riprenderà: se la Terra inghiotte sotto la sabbia, sotto la neve, sotto la terra qualche opera dell'uomo, ma tale opera resiste là, protetta, allora l'uomo potrà scoprirla, potrà raggiungerla, ammirandola potrà tentare di comprenderla e capire le sue origini, accettare il suo passato … ma se ad inghiottire l'opera dell'uomo è l'uomo stesso, se è l'uomo a prendere dei martelli pneumatici e violare i tesori di uomini antichi, se è l'uomo che riduce in polvere l'antico mondo, bene allora non c'è nulla che possa sperare, non ci sarà più nulla da recuperare, tutto svanirà e verrà portato via dal vento …
Chi soffre e si scandalizza più per un museo distrutto che per una vita umana lo fa solo perché il suo animo s'è accorto che cosa significa quella distruzione, cioè che dopo quella distruzione non potrà venire una ricostruzione, che dopo che l'arte e la cultura saranno state inghiottite dalle bocche nere di quegli uomini non potranno essere recuperate da qualche animo gentile che eventualmente potrà sorgere in là nella storia.

Piangiamo gli uomini, sempre, non abituiamoci alla morte di un uomo, al sangue che scorre innocente, ma, vi prego, siate consapevoli che, se salveremo solo gli uomini e non ciò che gli uomini di prima crearono, allora sarà stato inutile salvare gli uomini, poiché questi uomini non avranno una storia, non vivranno come uomini, ma come animali.

giovedì 26 febbraio 2015

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Iniziai a guardare Glee più o meno quando iniziai a farmi domande particolari - decisamente particolari! - riguardo me stesso.
Proprio mentre stavo interrogandomi sulla mia sessualità scoprii questa serie-TV che parlava di una delle cose che in assoluto io abbia più amato in vita mia: il canto. E non parlava solo del canto, ma delle diversità, degli emarginati, dei soli, degli strani.
Insomma trovai un compagno ...
Ed ecco che adesso Glee è ormai giunto alla su ultima serie, alle sue ultime puntate ...
Io sono alla fine del mio percorso del liceo, un percorso in cui ho iniziato a conoscermi e anche questo mio compagno è giunto a un termine. Abbiamo iniziato insieme e il mio cuore si emoziona a pensare che anche finiremo insieme.
Ma cosa ho imparato da Glee?
Ho imparato a credere un poco in me, a credere in quello che potrebbe davvero essere un obiettivo nella mia vita. 
Mi sono confrontato con qualcosa che - anche se frutto della mente creativa di qualche sceneggiatore - mi ha permesso di confrontarmi anche con i miei sentimenti, con le mie sensazioni, con le mie impressioni.
E mentre le canzoni scorrevano numerose, io crescevo e scoprivo nuove cose della mia vita: ascoltando le canzoni di Glee ho studiato, ho viaggiato, ho conosciuto persone, ho passato ore serene in camera mia a leggere, scrivere, cantare, ballare come un folle ...
Davvero Glee mi ha aiutato, e non riesco a esprimere tutti i bei ricordi che saranno d'ora in avanti legati a questa serie-TV, non riesco a ricordare ogni momento - anche triste - che le canzoni di Rachel, Finn, Mercedes, Kurt, Blain e tutti gli altri hanno accompagnato.

mercoledì 25 febbraio 2015

LUI (13)

- Ti guardo e mi domando "Cosa ho fatto mai per meritare di conoscere una persona come te? Quale grande azione ho compiuto per meritarmi di incontrare qualcuno che mi appare un angelo, una creatura celeste, perfetta e incorruttibile, integra e pura"
T'amo e t'amo sempre di più: ogni tuo gesto, ogni tuo respiro è un dono che tu mi fai inconsapevolmente, un regalo che mi giunge graditissimo, che mi rasserena e mi permette di camminare ancora in questo mondo.
Da quando ti ho conosciuto sto meglio, ho scoperto una nuova vita che finalmente riesco a chiamare vita!
Non so come, ma forse sarà per tutti i giorni passati assieme, tutte le parole scambiate, a voce o per messaggio, tutti quei sorrisi e quelle risate che ci hanno accompagnato, quelle lacrime che a volte abbiamo versato, tutti gli ostacoli che abbiamo insieme superato, tutti quei momenti che sono qui, dentro di me, riposti con amore e cura nel mio cuore che ora porta il tuo nome, il tuo soltanto.
Davvero ti amo. Prima credevo di sapere cosa fosse l'amore, quando mi baciavo qualcuna appoggiato alla ringhiera del parco o seduto su una panchina vicino al castello; poi ho conosciuto te e con te ho parlato, mi sono aperto, ho scoperto che qualcos'altro stava dietro alla parola 'amore', qualcosa che va oltre l'aspetto e la forma … e il tempo è passato e io mi sono accorto che per te (PER UNO COME TE!) provavo qualcosa, qualcosa che mi era sconosciuto, qualcosa che davvero mi torceva le budella, mi faceva sentire le farfalle nello stomaco, ma qualcosa che riusciva anche a darmi una pace e una serenità diversa. All'inizio m'illusi che fosse per la tua età, per quei pochi anni che hai in più di me: parlavi con me e percepivo che tra di noi ci fosse una distanza, ma avvertivo anche che questa distanza, in qualche modo, ci attirava, era causa di un'attrazione inspiegabile.
Non so dirti quando mi accorsi che per te (PER UN MASCHIO COME TE!), per te provavo qualcosa di diverso dal semplice affetto, che ci univa qualcosa di diverso da un'amicizia profonda, che mi attraeva a te qualcosa di più strano di una banale simpatia … quando mi accorsi d'amarti non mi sconvolsi, non ebbi, come te ai tempi, repulsione verso quei miei sentimenti, e questo lo devo a te: tu hai sofferto per scoprire la tua 'natura', hai pianto per capire chi fossi, io invece, grazie a te, ho sorriso e ti sono venuto incontro, ti ho amato e semplicemente capii che dovevo rassegnarmi perché non c'era nulla di male: l'amore era amore e l'amore era nato!
E io ti amo, ti amo e ti amo, spero di riuscire ad amarti come meriti sempre, perché davvero t'amo e per me sei indispensabile … ti amo! Buon San Valentino Amore Mio -
La lettera mi tremava tra le mani: parole semplici ed emozionate, scritte da una mano innamorata ed eccitata. Le parole mi carezzavano come petali e il mio cuore piangeva per la commozione davanti a quella dichiarazione così giovane e sincera. In quelle poche parole vedevo tutto lui, lo riconoscevo in ogni parola, in ogni virgola, in ogni punto  …
Il foglio me lo aveva dato mia sorella, dubito dopo avermi svegliato: s'era messa d'accordo con lui.
Nel mio letto, seduto mezzo addormentato avevo aperto quella pagina strappata da un quaderno e avevo letto commosso quell'amore scritto a penna.
La porta era socchiusa e tutti in casa si svegliavano per la solita giornata di lavoro e scuola, io invece ero immobile e continuavo a ripercorrere quei caratteri veloci, a ogni parola la mia mente associava un momento passato con lui e rivivevo tutto quello che avevamo passato insieme: rivedevo le serate al bar, i pranzi in oratorio, i film guardati a casa di un'amica, il primo giro in macchina che gli avevo concesso; riammiravo il suo ciuffo biondo, i suoi occhi allegri e le sue magliette troppo larghe, il suo collo lungo e secco.
La serenità mi scorreva nelle vene e la felicità cresceva velocemente nel mio cuore, pompando una forza nuova al mio corpo.
Mia mamma bussò alla porta per capire se fossi alzato e sveglio: io risposi come sempre "Adesso arrivo!".
Ma a bussare stavolta non era la mamma, né mia sorella. Un testolino biondo s'affacciò con il suo luminosissimo sorriso.
Io sorrisi e saltai in piedi, aprii la porta e lo abbracciai, non curandomi del pavimento gelato sotto i piedi nudi.
Il calore di lui lo sentivo sul collo. Lui mi abbracciava e mi stringeva, teneva gli occhi serrati e so che anche lui in quel momento era solo e semplicemente felice, innamorato e felice … Non so quanto rimanemmo lì, fermi sulla porta, l'uno tra le braccia dell'altro, stretti l'uno all'altro come in un addio, ma il nostro non era affatto un addio, ma un 'non ti lascerò mai andare via, ora che ti ho qui rimarrai con me, non permetterò che tu t'allontani, combatterò per averti vicino, per averti con me!'

E nulla … eravamo tutti e due felici, innamorati e felici …

martedì 24 febbraio 2015

LE BACCANTI parte terza

Fu questione di poco, poi si incamminarono.
L’aperitivo fu un susseguirsi di cocktail e stuzzichini, supersalati ovviamente, così che si continuassero a ordinare birra e simili. I tre avevano ritrovato gli altri in piedi ad aspettare che un tavolo, qualche sedia si liberassero per loro: si prenotava ma era assolutamente inutile, invero, perché l’unica vera legge era ‘chi prima arriva meglio alloggia’.
Scoprirono che già da un po’ avevano chiesto di essere i prossimi a sedersi, ma si accorsero pure che almeno sette persone erano passate loro davanti senza alcunissimissimo problema.
«Che palle!» sbottò dopo pochi minuti Ivan, stordendo malamente Gaia (un’altra della compagnia).
«Che cazzo ti urli?!» rispose, ovviamente con un tono di voce soave, la malcapitata (tra l’altro stordendo a sua volta chi le era vicino).
Intanto Benedetto se ne stava nel suo angolino, appoggiato a fianco di una vetrina del negozio di borse in pelle, scorrendo placidamente il dito sullo schermo del telefono, ignorando la musica e i discorsi assolutamente noiosi: Carlotta si era allontanata per salutare una sua compagna delle medie che l’aveva salutata da lontano.
In quei momenti di rumore – perché altra definizione non v’è a questo mondo, sfido a trovarla! – Benedetto si trovava allo stesso tempo a suo agio e a disagio: era in mezzo alla gente, in mezzo alla vita in movimento, brulicante, eppure c’era in lui un senso di inadeguatezza, come se lui in qualche modo non fosse ‘giusto’ per quella particolare situazione. In verità in molti – proprio in quel momento – erano nella sua stessa situazione, ma, qualcuno con l’aiuto dell’alcol, qualcuno con il passare del tempo, qualcuno per una nuova, straordinaria, forza di volontà, alla fin fine si erano abituati, si erano adattati e ora parevano nel proprio mondo, nel proprio elemento. Qualcuno – se proprio vogliamo analizzare ben bene questo quadretto – davvero era a suo agio, davvero si sentiva innatamente adatto e ‘giusto’ e questi sono quelle persone che in molti ‘invidiano’ proprio per questa loro spigliatezza.
Benedetto non rientrava in nessuna di queste categorie, poiché nemmeno l’alcol lo rendeva spigliato, anzi, contribuiva semplicemente a sottolineare la sua particolarità: lo faceva diventare scemo, ma davvero davvero stupido, pronto a dire una qualsiasi idiozia come se fosse la più assoluta e certa verità!
Con gli anni, però –  per fortuna – aveva imparato questa sua caratteristica e quindi si era trasformato in un astemio ineccepibile, che schifava e rifuggiva anche la birra analcolica, per un ingenuo timore che, solo per il nome ‘birra’, potesse subire gli effetti dell’ubriachezza.
Qui – chiedo perdono per questo – è bene introdurre una breve descrizione di qualcosa che – abbiate fiducia – sarà utile – a mio parere – ai fini di questa strana storia.
Ormai il sole era calato dietro il Monviso e l’azzurro pulito, carico del tramonto virava, a poco a poco, ad un colore più scuro, alla pesante coltre nera della notte. Il venticello ora soffiava, piano ma inarrestabile, tra i colonnati e per le piazze, portando con sé l’odore delle tenebre, il profumo dell’oscurità.
In una città, quando il sole è calato, il cielo non appare, però, propriamente nero, infatti la volta celeste è come sottoposta a un filtro, come quello dei fotografi, e noi la vediamo attraverso la luce gialla dell’illuminazione cittadina: le stelle non sono contemplabili e quello che ci rimane è un’immensità in qualche modo nascosta dietro fasci di luce arancione.
È questo uno strano effetto che più volte Benedetto si era fermato ad ammirare: c’era qualcosa di affascinante in questo contrasto tra la luminosità dell’aria sopra la sua testa e l’assoluta oscurità che stava ancora al di sopra.
Ma finalmente – ho finito questa breve digressione – il tavolo fu pronto per loro e, appena sedettero, arrivò una vagonata di piccole focaccine e pizzette, ancora calde dal forno, colanti mozzarella e gorgonzola, con i pomodorini tagliati a fettine un po’  bruciacchiati e come intirizziti per la cottura. Dopo il primo (piccolo) morso la sete si presentò con violenza alla gola di tutti: un grattare insistente e una preghiera assillante di acqua – fine sperato dai padroni del bar – dominarono ben presto tutti!
Arrivarono a prendere le ordinazioni per il bere e Benedetto prese la sua beneamata Coca-Cola.

domenica 22 febbraio 2015

LUI (5)

Finalmente la primavera ci aveva raggiunto, con quel suo caldo per nulla afoso, quel suo profumo tutto particolare di fertilità, di vita: anche in città regnava un odore grasso, di terra umida, di zolla fresca. I pochi prati e parchetti erano tutti popolati di centinaia di piccole margheritine sorridenti, tutte strette l'una accanto all'altra tanto che da lontano parevano una macchia di bianco spalmata sul manto verde dell'erba.
Ancora ero obbligato al mio quotidiano pellegrinaggio di espiazione fino a scuola, martire consapevole di carnefici inconsapevoli. Nelle lunghe ore di lezione spesso appoggiavo il capo su una mano e giravo lo sguardo, lo alzavo dal foglio e lo portavo fuori, a frugare attraverso le fronde degli alberi laggiù, a osservare la luce del giovane sole creare strani effetti sui tetti della città, sui campanili in lontananza, sui terrazzini degli appartamenti del centro.
Tutto era dominato da due colori: verde e giallo. Il verde vivo e lucente della vita, della foglia fresca e piena di forze; il giallo stinto e luminoso della luce sopra ogni oggetto, un giallo pallidissimo e quasi bianco.
Dopo le mie solite sei ore di penitenza, quel giorno, mi fermai davanti all'ingresso, poco fuori dalla porta, mentre centinaia di miei compari di tortura mi giravano attorno, ansiosi di raggiungere casa, un piatto di pastasciutta o il fidanzato che è venuto per fare una sorpresa (!).
Io non avevo fretta quel giorno: le persone con cui solitamente tornavo a casa erano già andate via perché erano uscite prima, a casa non mi aspettava nulla se non qualche avanzo della sera prima, facile e rapido da scaldare al microonde. Con le cuffiette e la mia musica rilassante che risuonava nella mia testa troppo vuota dopo tante ore di ascolto distratto, mi fermai e attesi che l'aria mi avvolgesse e mi comprendesse, che la puzza di chiuso, quel lezzo insopportabile mi lasciasse i vestiti leggeri …
Quando mi mossi era rimasta davvero poca gente e m'incamminai con calma, con serenità verso casa, dimenticando la fretta che mi era solita, abbandonando la frenesia che troppo spesso mi faceva arrivare a casa sudato e ancor più stanco.
Per strada qui e là ricambiavo qualche saluto di qualche persona - della metà non ricordavo nemmeno il nome! - sempre sorridendo, sempre ascoltando familiari parole, muovendo di tanto in tanto le labbra come se stessi cantando proprio io.
Il cielo era azzurro e limpido, pulito e sgombro di ogni nuvola, attraversato solo dai raggi caldi del sole. Nell'aria c'era allegria e serenità, tutto mi parve allora più rilassato, più tranquillo: le biciclette correvano rapide ma non frenetiche, gruppi di giovani gridavano ma mi sembravano meno antipatici del solito, come se la loro naturale aggressività fosse mitigata da quel tempo primaverile.
Camminavo e camminavo lungo la mia strada quando alla solita panchina vidi una persona che non ero abituato a vedere là: era seduto un po' storto verso la mia direzione, con le gambe larghe e la schiena mollemente abbandonata sullo schienale un po' marcio. In mano teneva il suo telefono ma non lo guardava: lo faceva girare e rigirare tra le sue dita sottili, delicate. Il suo ciuffo era stranamente scuro, protetto dal sole da un'alta chioma di un platano, ma sempre impeccabile, spostato tutto da una parte.
Non aveva un'espressione particolare, ma i suoi occhi erano vigili e attenti: osservava tutta la gente che gli veniva incontro, in cerca di qualcosa, in cerca di qualcuno, scrutando ogni volto e scartandolo sempre. Fu allora che mi accorsi che mentre tutto il suo corpo era all'ombra, protetto dalle foglie degli alberi li attorno, il suo collo lungo e sottile, bianco e liscio era baciato dal sole: la luce, come un'amante appassionata, lo abbracciava e in quel punto annullava ogni colore, lasciando che la sua pelle diventasse anch'essa pura luce.
Continuai camminare, iniziando a sorridere e preparandomi a salutarlo.
Mi vide.
Sorrise e allora rividi quel volto felice che mi aveva sempre attratto e che così teneramente ricordavo, conservato nella mia memoria, anzi, in quella parte della mia memoria in cui nascondevo le mie cose più care.
Si alzò e mi venne incontro. Ci abbracciammo appena fummo vicino, di quegli abbracci che non possono essere descritti, che non possono essere spiegati, che ti fanno 'staccare', di quelli a cui non importa nulla il fisico dell'altro, ma di quelli che sono solo abbracci, in cui i corpi si toccano e sembrano non potersi più staccare, legati, appiccicati.
Lui mi mise, come sempre, le sue braccia magre attorno al collo e avvicinò la sua guancia alla mia. Io più timido gli abbracciavo la schiena: mai avrei voluto staccarmene!
Sentivo la sua pelle liscia, ancora 'bambina', sulla mia faccia e sentivo il fresco del suo corpo.
Mi diede un bacio sulla guancia, sempre stringendomi il collo e sempre spensierato, sempre allegro, sempre sereno.

Era venuto per portarmi a casa, visto che lui quel giorno era stato a casa da scuola perché c'erano solo ore buche. Ci incamminammo verso casa mia, l'uno vicino all'altro, insieme sotto gli alberi del viale.

giovedì 19 febbraio 2015

PERCHE' LUI?

Lui - riguardo ai racconti, non riguardo alla religione.
Tanti racconti che hanno come titolo questo pronome personale di terza persona, tante storie brevi che non hanno altro nome che tre semplici lettere accostate in una delle parole più comuni e usate nella nostra lingua.
Lui è una persona reale? Forse. Nemmeno io l'ho capito davvero, come se in quel volto e quei capelli che più volte ho descritto ci potesse davvero essere una persona della mia vita, ma anche come se quel volto non fosse proprio quella persona, non dovesse essere la persona descritta nelle mie parole …
La prima persona singolare che parla sono proprio io? Nemmeno questo so per certo: più volte ho negato di essere io, ma volendo essere sinceri non lo so, semplicemente lo ignoro, e allora mi ritrovo a non smettere di scrivere di lui, non sapendo assolutamente chi sia questo lui.
Troppe volte ho smarrito il senno dietro immagini create nella mia mente dal nulla, senza la pur minima aderenza con la realtà delle cose, e forse anche questo lui e questo io sono in fondo solo creature di una mente instabile, sempre in bilico tra mondo reale e mondo inventato.
Lui sarà ancora nella mia mente a lungo, ispirato a una persona reale, ma plasmato nel mio cervello, ancora sarà al centro dei miei pensieri e ancora vorrò scoprire la vita con questo lui attraverso altre parole.
Oggi mi trovo a non capire chi sia questo lui pur sapendo chi lo abbia ispirato, e mi trovo in uno stato di insoddisfazione perché davvero non capisco me stesso.

Mi è stato detto che per capir cosa voglio dalla mia vita devo prima capire cosa il mio animo più intimo ritiene giusto e cosa sbagliato, cosa accetta e cosa rifiuta; forse con lui è lo stesso: quando avrò capito me stesso capirò anche come devo intendere lui.

mercoledì 18 febbraio 2015

SGUARDO

ECCE HOMO! - Il più dolce dei dolori - RACCONTO
Sguardo

Anche se non avrebbe dovuto essere lì, Mirko non aveva potuto rinunciarci  e sedeva ansioso, in attesa.
Gli aveva detto che non era assolutamente necessario, che non c'era bisogno che aspettasse lì per tutto il tempo; ma Mirko non aveva resistito e si era precipitato appena si era liberato. Lo avevano fatto accomodare in quella salettina piccola e senza finestre, con un soffitto alto e scuro. Si era accomodato su una delle sette sedie che erano sistemate lungo le pareti spoglie. C'era odore di stoffa e colla calda, un odore di plastica bollente e fili sintetici sfregati l'uno contro l'altro.
Mirko sedeva chinato in avanti, appoggiato alle sue ginocchia; si tormentava le mani e respirava con ansia, gli occhi serrati e le labbra un po' tremanti. Contro la parete al suo fianco una lampada  a neon vibrava con quel suo suono fastidioso che si univa all'eterno picchiettare del suo piede sinistro, agitato e inarrestabile.
"Quanto manca? Oh, non ce la faccio più! Quanto mancherà? Ormai sono ore! No beh, non sono ore, ma è comunque un sacco di tempo! Quanto manca!!??!!"
Alla fine non resistette più e si alzò, camminando agitato tutt'attorno alla stanzetta, curvando dopo appena un passo in un circolo stretto. I muscoli delle spalle gli erano contratti e sentiva le ginocchia rigide e dure come acciaio, piene di tensione e agitazione. Ora gli occhi erano spalancati e il labbro inferiore soffriva, morso dai denti ansiosi e serrati.
"Non è possibile che manchi ancora tanto! Non è possibile che ci voglia così tanto tempo!"
Ormai l'ansia era quasi una componente del suo corpo, come l'acqua e il carbonio: erano giorni che viveva con questa sensazione di attesa straziante, quasi un'angoscia che rode dentro consuma e logora e stritola e assottiglia. Quel giorno era andato al bar come sempre ma mentre faceva il caffè ai soliti clienti di tutte le mattine le sue mani tremavano gli era occorso del tempo per riuscire a infilare correttamente il filtro nella macchina. Poi si era messo a riporre le tazzine e i bicchieri e i piattini già lavati: ne aveva fatti cadere in tutto sei. Ma non gliene importava nulla dei rimproveri della capa, la tensione gli turava gli orecchi come un tappo.
Per tutta la mattina s'era mosso fremente e tutto era attraversato da un'ombra cupa di preoccupazione. Poi finalmente era arrivata l'ora di pranzo e lui aveva già ottenuto da tempo il pomeriggio e la sera libera per quel giorno, per riuscire, anche se non era necessario, a essere lì!
E ora era lì, chiuso nella salettina ad aspettare accompagnato solo dal ronzio di una lampada al neon, che - tra l'altro - ogni tanto perdeva la sua luce lasciando, per qualche appena percettibile istante, la stanza al buio.
La maniglia si mosse e la porta fu aperta dalla segretaria, una signora asciutta e secca, con un paio di grossi occhiali spessi che le traballavano in bilico sul naso appuntito; un caschetto di capelli castani tagliati di recente incorniciavano quel viso stanco e affaticato. Sorrideva, gentile, come sempre, con quel suo sguardo cordiale e simpatico.
«Arriva subito!» disse rapidamente, scomparendo nuovamente dietro la porta.
"Bene, è finito!" si rasserenò un poco Mirko raccogliendo il suo giubbotto e le chiavi che aveva appoggiati su una delle sedie. "Già … adesso arriva … ma come è andata?!" pensò Mirko, preso adesso da una nuova ansia.
Passarono davvero pochi minuti, ma, in compagnia della nuova preoccupazione, a Mirko quei pochi minuti parvero ore … "Perché ci mette ancora così tanto?"
Finalmente la porta ricominciò a scricchiolare e allora Mirko vi si mise davanti, come un cagnolino davanti a un buon piatto di carne che e posto troppo in alto sul tavolo per i suoi denti.
«Ehi … - disse Anna con una voce delicata e stanca, un sorriso semplice e innocente stampato sul volto - sei venuto anche se non ti avevo detto di venire? Grazie» nella sua voce vibrava qualcosa di strano e personale, qualcosa di intimo e segreto. Qualche goccia di sudore scivolava ancora sulla fronte e lei continuava a toccarsi l'alto chignon che le rimaneva saldo sul capo. Aveva gli occhi stanchi e una faccia sbattuta.
«Beh!?! - fremeva Mirko mentre parlava con quella sua voce che voleva fingersi più dolce e tranquilla possibile - come è andata?»
Lei sollevò il suo viso e cercò gli occhi di Mirko, quegli occhi che le erano tanto cari, quegli occhi color nocciola che aveva visto tante volte in tanti pomeriggi passati sul balcone di casa sua, che aveva baciato tante mattine quando lei si svegliava per prima e lui era ancora addormentato. Li trovò ansiosi e agitati, si muovevano ora qui ora là e la studiavano tutta, come se potesse capire dal suo aspetto l'esito dell'audizione.

«Ti ringrazio di essermi stato vicino in questi mesi in cui mi sono preparata per oggi, di avermi sopportata quando ero di pessimo umore, di avermi consolata e supportata quando mi lamentavo perché non pensavo che non sarei nemmeno arrivata a presentarmi … grazie … - disse commossa, fingendosi forte e sostenuta, con una voce che pretendeva di ingannare con quel suo tono fermo e deciso, ma che tremava debolmente, attraversata dall'emozione - e ti ringrazio soprattutto perché … mi hanno presa!»

martedì 17 febbraio 2015

LUI (12)

Sentii il suo fiato sul mio collo scoperto. Era caldo e mi solleticava la pelle; i brividi mi percorsero come una carezza e sentii il piacere scendere giù per tutta la schiena. Mi girai e mi trovai i suoi occhi vispi davanti. Sorrideva con semplicità, mi guardava il viso e si soffermava ora su un occhio, ora sull'altro, ora sulla mia fronte, ora sulle labbra.
Gli passai una mano sul collo e la spinsi alla nuca, sentendomi sotto le dita i capelli tagliati corti. Riportai la mano sul collo, giù sul petto e lì mi fermai, ascoltai il suo cuore pulsare sotto il mio palmo. Il cuore gli batteva forte.
Sorrisi anche io: quelle sue orecchie piccoline scoperte, piccole e tanto buffe; quegli occhi raggianti, ma un po' tesi, ansiosi; quel labbro inferiore tirato e leggermente morso dai denti, emozionato; quella sua pelle luminosa e liscia, delicata; tutto era meraviglioso, splendente di una bellezza tutta nuova, una bellezza straordinaria che ora era tra le mie mani, che finalmente era tra le mie mani.
Rimanemmo a lungo a fissarci, inginocchiati uno davanti all'altro. Io gli tenevo una mano sul petto, lui teneva le sue sulla mia vita.
Non eravamo mai stati così vicini … sentivo il suo cuore e non lo sentivo solo attraverso la sua pelle: dentro di me sentivo il mio cuore battere all'unisono con il suo, tanto accelerava il suo, tanto faceva il mio; dentro mi vibrava un'emozione nuova, un sentimento grandioso e rinnovato che scuoteva le mie membra, si faceva strada in una mente spesso offuscata e ne scacciava ogni pensiero, ogni preoccupazione.
Davanti a lui, mentre i miei occhi si perdevano nella sua contemplazione, in me svanivano i ricordi di tutte le lacrime degli anni passati, di tutte le liti e le discussioni per difendermi di fronte al mondo, tutta la disperazione che giorno dopo giorno si era accumulata a causa di uomini crudeli e maligni. Tutte le differenze che mi ero impegnato a combattere in tutto quel tempo in un solo istante scomparivano e rimaneva solo lui, con quel suo sguardo tenero e un po' imbarazzato. Rimaneva solo lui, inginocchiato davanti a me, senza più la maglietta grigia addosso, con il suo petto vibrante sotto la mia mano.
E davanti a lui rimanevo io. Anche io mi ero liberato - lui mi aveva liberato! - della mia maglietta e della mia felpa, e per la prima volta non mi curavo del mio aspetto, del mio corpo non me ne importava nulla: sentivo solo le sue mani su di me e sentivo quel tocco delicato che, dalla pelle, giungeva fino al mio cuore. Rimanevo lì, in qualche modo rinnovato da quella compagnia ch'ormai m'era tanto cara.
Staccò una mano dalla mia vita e mi carezzò il corpo fino al collo. Tremai per i brividi ed entrambi ridemmo qualche istante: io dovetti distogliere lo sguardo mentre mi scotevo, lui invece continuava a fissarmi sorridente, con quei suoi occhi dolci e belli, puri.
La sua mano ora indugiava sulla mia spalla e con due dita disegnava piccoli cerchi sulla mia pelle d'oca. Trovai di nuovo la voglia di guardarlo in viso e ritrovai quegli occhi.
S'attardò sulla mia spalla e poi mi carezzò il braccio, scendendo piano verso il gomito.
Con il pollice mi fece teneramente il solletico nell'interno del gomito e poi ricominciò a scendere con la sua carezza delicata. Percorse il mio avambraccio, sfiorò le antiche cicatrici e quando vi passò accanto sentii un diverso tipo di brivido percorrermi tutto. All'improvviso tutti i ricordi di quel periodo ricomparvero, ma ormai non apparivano più come momenti di disperazione, ma come battaglie vinte nella mia vita, come fatti finalmente superati e che mi avevano rinforzato, mi avevano temprato contro il male che avrei potuto incontrare nel resto della mia esistenza. Tutto quel male ora era sconfitto e quando lui passò le sue dita sulle cicatrici mi sentii come in trionfo, unico vincitore in quella lotta che per anni avevo combattuto contro i pregiudizi che io stesso mi portavo nel cuore.
Intanto lui aveva superato le cicatrici e la sua mano era arrivata al polso. Sotto le sue magre e sottili dita il mio polso si scosse un attimo e allora lui abbandonò il tocco. In un istante mi sentii solo, ma il mio salvatore giunse immediatamente: sentii le sue dita intrecciarsi con le mie e stringersi l'una all'altra.
La sua espressione mentre mi stringeva la mano era mutata ed ora nei suoi occhi sempre allegri c'era un'ombra di serietà che dapprima mi spaventò … poi capii e annuii verso quel viso che tanto amavo.
Il suo volto si avvicinò al mio. Mi abbandonai anche io e le nostre labbra s'incontrarono.
Fu un tocco, a malapena le nostre bocche si sfiorarono.
In quell'attimo, tuttavia, tutto era compiuto e finalmente noi eravamo arrivati alla nostra meta, eravamo arrivati al momento in cui finalmente non si è più due, ma si diventa qualcosa di altro, ma un qualcosa che è UNO e non due.
Quel breve bacio rimase quindi in sospeso; i nostri visi a pochissimi millimetri l'uno dall'altro respiravano ora con ansia e agitazione. Era accaduto ed era la cosa più bella che fosse mai capitata. Era accaduto e dopo quel brevissimo istante sarebbe stato tutto una nuova vita, un nuovo esistere.

Ci baciammo ancora, ancora, ancora, ancora.

domenica 15 febbraio 2015

LUI (4)

Il film sarebbe cominciato presto, ormai tutti in sala erano seduti e di lì a poco si sarebbero spente le luci e il rumore dei trailer avrebbe soffocato ogni rumore estraneo.
Noi occupavamo una fila: era una di quelle uscite 'generali' che coinvolgono vere e proprie carovane di macchine che si spostano l'una dietro l'altra, prima al cinema, poi a cena in qualche locale, poi, per i più coraggiosi, ci sarebbe stata anche la nottata in discoteca. La nostra 'organizzatrice' era, ovviamente, seduta a capo della fila, vicino alle scale, come una maestra delle elementari che va in giro con i suoi pargoli e li deve tenere d'occhio sempre e comunque.
Noi eravamo tranquilli, rilassati e stravaccati sulle nostre poltrone, incuranti di tutti gli altri ch'erano nel cinema: tutta la sala era come se fosse solo per noi, e forse sembravamo maleducati, ma di certo eravamo felici.
Al mio fianco c'era una mia cara amica che aveva insistito perché stessimo vicino, perché lei 'aveva paura' (manco fossimo andati a vedere un horror!), ma davvero le volevo bene, nonostante le sue isterie, quindi l'avevo accolta volentieri vicino a me: era seduta tutta storta, appoggiata tutta sul bracciolo che avevamo in comune, già a sgranocchiare i popcorn - io i miei li avevo sapientemente nascosti alla mia vista così che non iniziassi subito a mangiarli, ancor prima che cominciasse il film.
Dall'altra parte doveva sedersi un'altra ragazza, giusto perché così fossi beato tra le donne - come se a me interessasse poi qualcosa - e  in quel momento lei era a parlare poche poltrone più lontana.
«Ho già chiesto a **: a te dispiace se mi siedo io qui?»
Non sapevo cosa rispondere, cioè lo sapevo benissimo ma non avevo la capacità di esprimermi. A lui non parve importare poi molto la mia risposta: sedette e si accomodò, spostando lontano le cose di ** per far posto alle sue.
Una sua gamba continuava a tremolare, quasi saltellasse e il suo ginocchio sfiorava un po' il mio polaccio, ovviamente penzoloni dalla gamba accavallata.
Taceva, scorrendo con il pollice sottile e magro sullo schermo del suo telefono le immagini e le notifiche. La sinistra la teneva vicino alla bocca e con quel pollice ripassava la forma delle labbra, sentendo ogni rughetta con la falange delicata.
La luce si spense in tutta la sala e tutti presero posto.
Tirai fuori dal 'nascondiglio' i miei popcorn e mi preparai a godere di quel gusto salato e insieme insipido di quella strana spugnetta croccante.
Per tentare di stare lontano dalla mia amica almeno un poco, mi spinsi verso il lato opposto del sedile, senza nemmeno pensare che c'era lui oltre il bracciolo.
Appoggiai il mio gomito iniziai a osservare le pubblicità, ben presto iniziarono i titoli.
Si appoggiò anche lui, nel poco spazio rimasto del bracciolo pose il suo gomito appuntito e mosse il suo capo verso il mio. Le nostre teste erano vicine, a pochi centimetri l'una dall'altra, l'una a fianco dell'altra, entrambe rivolte verso lo schermo, entrambe ignare e inconsapevoli di chi stava a fianco.
Il film era ormai sul punto di iniziare e, come da abitudine, mi volsi indietro per dare uno sguardo alla sala silente, scrutando nella semioscurità tutti i visi attenti - i volti delle persone che guardano un film dovrebbero essere oggetto di uno studio del tutto particolare da parte dei pittori, degli scultori e degli psicologi: sono un fenomeno!
Girai il mio sguardo rapidamente, sorridendo di qualche smorfia decisamente comica, ma poi mi spinsi in avanti, a osservare i miei vicini e vidi: il suo orecchio piccolo e fine libero dai capelli, sapientemente rasati corti corti.
Era tutto intento, quasi arrabbiato: la fronte contratta e corrugata, attenta e severa nello scorrere ogni immagine che passava sullo schermo.
Il suo collo lungo era immobile e rigido, teso in avanti verso il film.
Per quello spettacolo avrei volentieri dimenticato del film, volentieri mi sarei fermato a fissarlo per tutta la durata della proiezione, e lo avrei fatto, probabilmente, se non avessi avuto vicino un'amica che, come fanno spesso le amiche, intervengono nei momenti sbagliati.
«Hai un po' d'acqua?»
«No»
«Qualcosa da bere?»
«No: guarda il film e cerca di non pensare alla sete ché poi ti passa!» risposi in maniera secca, fingendo di essere dispiaciuto di non poter sentire il film.
Mi rimisi appoggiato al bracciolo che condividevo con lui, ma non ritrovai il suo volto vicino: s'era appoggiato dall'altra parte.
Mi dispiacque e in me rinunciai a osservare lui: rivolsi la mia attenzione al film.

Non mi accorsi di nulla, perso nel film, finché non sentii la sua voce che mi diceva: «Posso rubarti due popcorn?». Era a fianco a me, pochi centimetri l'uno dall'altro, sentivo il suo fiato e il suo calore, il respiro leggero e delicato. Gli porsi i popcorn e ci sorridemmo, lui per ringraziare, io perché era lui.

sabato 14 febbraio 2015

MORBIDA

Mi ritirai tardi quella sera e ormai la casa dormiva tutta: le finestre dalla strada erano tutte buie e mentre camminavo sotto il mio appartamento mi sentii un po’ triste al pensiero che questa giornata fosse oramai giunta al termine. Silenziosamente salii le scale illuminate a malapena da piccolissime lampade ad olio poste ad ogni pianerottolo. La porta del mio appartamento si aprì con il consueto scatto e dopo che l’ebbi chiusa dietro di me mi accolse la più totale oscurità dell’ingresso. Nelle tenebre mi mossi sicuro verso il corridoio che portava nelle stanze private. La porta che portava al corridoio era nascosta da una pesante tenda di foggia orientale, secondo la mania che ha preso le nostre classi agiate in questi tempi un po’ pazzerelli: il tessuto, pesante, cadeva fino a terra dal soffitto e le decorazioni in rilievo erano ben chiare sotto le  mie dita. Scostai il panno e poggiai la mia mano sulla sinuosa maniglia, fatta arrivare – per un capriccio estremamente caro, purtroppo per il mio portafogli – direttamente dall’India!
Pensavo, entrando in corridoio, che mi avrebbe atteso la stessa oscurità che mi ero lasciato indietro, invece la coltre delle tenebre era violata da un lume in lontananza, da un fascio sottile di luce che si intrometteva da dietro una porta socchiusa. La luce proveniva dalla camera da letto.
“Che Teresa si sia addormentata dimenticando di spegnere il lume del comodino?!” pensai mentre mi incamminavo verso la stanza. Camminando badai di non urtare i bei tavolini che erano arrivati da Giava e di non sfiorare nemmeno per un attimino gli enormi vasi di una qualche dinastia – chissà quale! – cinese che erano arrivati solo qualche settimana addietro. Il profumo che si spigionava dalle tende che celavano le porte era violento, ma piacevole, un abbraccio tanto stretto, ma assolutamente non fastidioso.
Giunsi finalmente alla mia camera da letto e, senza entrare, strizzai l’occhio, che ormai non era più abituato alla luce, e lo costrinsi a spiare attraverso quello spiraglio.
Teresa non s’era addormentata dimenticando il lume acceso, no!
Teresa era sveglia nella stanza, si muoveva seduta sul letto, il corpo completamente nudo, la pelle nuda abbracciata dalla luce che brillava sul tavolino a fianco del letto; dava le spalle alla porta e le sue gambe erano allungate sulle morbide sete e sulle pellicce di macaco che erano giunte dalle lontane terre del Sole. La tenda del baldacchino, color turchese, scende morbida dall’alto sul letto e lei ne ha preso un lembo e se lo trae sul polpaccio, con la stessa mano in cui tiene un bellissimo ventaglio di piume di pavone che le piace tanto.
I suoi capelli, che io amo così tanto quando sono sparsi sulle sue spalle e il loro profumo la ammanta come un velo diafano, sono raccolti in una sorta di sciarpa di Persia, fermata su una tempia con una di quelle belle spille di perle per le quali ha tanto insistito ché le comprassi.
È nuda. La sua pelle chiara è tutta per me, tutta baciata dalla luce tremolante, ma che, fortunatamente, non lascia nulla all’immaginazione, che me la offre così, com’è realmente.
Ma ecco che si sta voltando e guarda verso la porta: mi ha visto.
Non disse nulla, tacque e non sorrise nemmeno, rimase lì: sapeva che io ero dietro quella porta socchiusa e stette ferma perché io la guardassi ancora, ancora, ANCORA!
Io rimasi a lungo a contemplare quello spettacolo così straordinario. Lei continuava a fissare la porta, voltata solo con il capo, e io le studiavo le dolci forme della schiena, le morbide curve delle gambe, ecco! sì! nessuna parola descriverebbe meglio questa immagine che mi si parò davanti: morbida, soffice …
Attesi ancora e la rimirai, poi entrai da mia moglie.

Jean Auguste Dominique Ingres, La Grande Odalisca

giovedì 12 febbraio 2015

PAROLE RITROVATE UNA SERA

Ogni primavera l'albero fiorisce
e non importa se in un certo periodo ti sembra spoglio

* Appuntate per un'amica dietro un disegno fatto in noiose ore di scuola, ritornate grazie al piacere di riscoprire i giorni andati che coglie spesso le anime di noi poveri mortali. Il disegno era d'un albero spoglio, quasi secco, a cui, però, s'aggrappavano ancora, con forza e tenacia, certe piccole foglioline sottili.

"Questa storia può iniziare con un piccolo piacere …
Godere di ciò che è bello ci distingue ognuno dall'altro …
Sognare è comune a tutti … ma il sogno è distinto per ciascuno …"

* Scritte su un foglio rimangono in un cassetto per tempi lunghissimi, magari per anni e anni, finché un qualche matto arriva e decide di aprire quei cassetti, decide di scavare nel passato sepolto sotto oggetti e pagine: ritrova i sogni e le speranze, le illusioni e quelle belle parole che talvolta ci sfuggono come di nascosto, parole che nessuno si aspetta, di cui ci si dimentica, ma che la Provvidenza ha concesso venissero ricordate su un foglio di carta, anche se sepolto sotto giorni e giorni.

… similemente eo ardo
quando pass'e non guardo
a voi, vis'amoroso. …

… Andando, ad ogni passo,
getto uno gran sospiro
che facemi angosciare: …

* Sfogliando vecchi quaderni ritrovi passi mai scordati, poesie mai abbandonate: 'Meravigliosamente …'
E con le parole di Jacopo da Lentini ti coccoli nel tuo soffrire, confortato dal fatto di essere una goccia nell'universo, solo in mezzo a centinaia di migliaia di migliaia che soffrirono proprio come te, che soffrono ancora, proprio come te. E 'similmente eo ardo' …

Voi che per li occhi mi passaste 'l core

* Scorrendo le pagine dell'ennesima antologia ti capitano sott'occhio versi di 'dolce stil novo' che ti incantano come fossi un ragazzetto di tre anni davanti a un trapezista che volteggia vertiginosamente in alto … e in quell'uomo così particolare che vedeva il suo amore come fuoco che arde e rende folli, Guido Cavalcanti, ritrovi un po' delle tue parole, non in endecasillabi di certo, ma, in fondo, anche un po' tue.

Dell'umanità la sua bellezza
dell'umanità la sua intelligenza
dell'uomo la sua misera meschinità
sempre mi sorpresi e mi stupii.


* Rubate in una sera di tristezza e di solitudine, quando la gioia del mondo di conquista l'intelletto, ma l'orrore dell'uomo ti annienta.

martedì 10 febbraio 2015

LA LEGGENDA DEI DREIMAS

Lontano, nel mare dinnanzi alle Terre Solitarie c’è una piccola isola, arida e deserta, un semplice ammasso di roccia scura e fredda battuta da onde gelate e violente. Nessuno degli uomini ha mai osato sbarcarvi, anche a causa degli scogli acuminati che ‘sorvegliano’ le acque circostanti; gli Elfi hanno sempre ignorato questo scoglio e ogni qual volta si avvicinavano alla costa badavano a tenersi molto lontano da quel luogo insidioso.
Quest’isoletta miserrima, però, è un luogo davvero particolarissimo e quasi miracoloso,  ma è bene precisare che quello che si racconta proviene da testimonianze – forse non affidabilissime in verità – di fortunati naufraghi sopravvissuti a tempeste e scogliere avverse.
Bene, i superstiti dicono che quando si trovarono a galleggiare vicino a queste rocce taglienti iniziarono a pregare in ogni possibile lingua, ogni possibile religione e credo diveniva il loro, magari per pochi istanti: davanti alla morte il rimorso di una vita non sempre virtuosa prende chiunque, e chiunque tenta di porvi rimedio con gli ultimi respiri.
In particolare un uomo racconta di essersi accorto, proprio davanti a quelle rocce nere, proprio in mezzo a onde alte e violente come non mai, di non aver mai riflettuto sulle sue azioni in maniera profonda, di essersi sempre interessato solo al proprio piacere e al proprio benessere, spesso maltrattando anche i propri principi morali, sostituendoli con nuovi principi, che - parole sue - 'non meritano di essere definiti morali'.
Ebbene, dinnanzi alla morte, intenti a pregare e pentirsi, tentando in tutti i modi di rimanere a galla contro la furia dei cavalloni, i superstiti raccontano che a un certo punto il cielo sopra di loro sia sparito, inghiottito anch'esso nella furia dell'acqua gelida.
"Il mio corpo lo sentivo non più ghiacciato, e tutto ad un tratto mi resi conto di sentire ancora le dita attaccate ai piedi, e non congelate: in questo nuovo calore il mio corpo sprofondava nelle onde e scendeva sempre più giù nelle profondità dell'acqua; il cielo non lo vidi più e le rocce che tanto temevo, lame taglienti che sapevo mi avrebbero dato una morte dolorosissima, erano sparite anch'esse"
Tutti concordano su questo fatto: ad un certo punto non lottavano più per rimanere a galla, ma semplicemente affondavano nelle acque scure, senza affogare!
"Ricordo di aver pensato di essere già morto, ma sotto sotto sentivo che in realtà non ero affatto affogato, anzi: era come se fossi rinato; nelle braccia risentivo la forza che avevo avuto sulle tolde delle navi e nelle gambe mi sentivo scorrere quel vigore che avevo sempre usato per mantenermi in  equilibrio nelle mattine ventose"
"A un tratto mi accorsi di essere forte, come se tutto il tempo passato a lottare contro le onde per mantenermi a galla non fosse mai esistito: più affondavo nell'acqua e più mi sentivo forte, vigoroso. Però, ora che ci penso, mi accorgo che mai, in quei momenti, mi venne la voglia di usare queste nuove forze per riemergere …"
"Ad un certo punto ricordo di essere stato nella più completa oscurità: so per certo che non ero io ad aver chiuso gli occhi! Tutto era nero, non vedevo altro che nero. Dopo poco - non so come - mi parve di aver smesso di sprofondare,  sentii immobile nell'acqua. E fu qui che l'oscurità iniziò a disperdersi, a schiarirsi, illuminata da una luce lontana, da un raggio bianco e luminoso che attraversava l'acqua come un raggio di sole attraversa l'aria e il vetro: intorno a me si muovevano tanti piccoli pesciolini argentei, piccoli quanto la falange più piccola di un mio dito! Nuotavano incessantemente, colpiti dal fascio luminoso: riflettevano dovunque un luccichio accecante, prezioso …"
"I pescetti mi circondavano luminescenti, scintillanti come tante piccole pietruzze illuminate dal sole. Non capivo da dove provenisse la luce, ma ad un certo punto i pesci si allontanarono da me e, credei, si mossero verso quella fonte di luce. Quando dietro di me mi accorsi di non avere più nulla perché tutti i pesci erano corsi dalla parte opposta, mi voltai e fui investito da un altro raggio di luce: pensai di essere diventato cieco! Ricordo che mi stropicciai gli occhi violentemente e che allungai la mano aperta per pararmi da quella luce, ma niente: qualsiasi cosa facessi la luce continuava ad investirmi con violenza! Passai molto tempo ad agitarmi e probabilmente sarei andato avanti per l'eternità se ad un tratto qualcosa non mi si fosse parato davanti: era un corpo sinuoso e lungo, morbido, con delle lunghe pinne sinuose quasi trasparenti che partivano dal corpo e si allungavano molli nell'acqua: una sorta di lunga coda simile a quella delle Sirene del Perse e con un busto muscoloso come quello dei Centauri di Lama, ma al posto delle braccia si trovavano lunghe pinne, come quelle che ho descritto prima …"
"Non aveva un vero e proprio volto,cioè, non saprei come descriverlo: era una testa, indubbiamente, ma non come quelle dei tritoni o delle sirene, non come le nostre; non aveva capelli, né bocca, né orecchie: dove sarebbero dovute essere le orecchie partivano due pinne trasparenti lunghe e sinuose. Aveva - lo ricordo bene questo - gli occhi: due occhi grandi e spalancati, che - posso giurarlo! - credei fossero pietre preziose per la loro forma e bellezza.
Dopo questa vista mi resi conto che la creatura non era sola, bensì accompagnata da una immensa schiera di suoi simili, tutti con quegli occhi così grandi e belli rivolti verso di me.
Fu questione di un attimo e mi accorsi che in qualche modo stavano parlano, anzi, non parlando, ma cantando: nelle mie orecchie risuonavano versi mai sentiti, ma melodiosi, dolcissimi. Non so se quei versi significassero qualcosa, ma so che ora, ripensandoci, non saprei nemmeno ripetere quei suoni: come se quei suoni non fossero di questo mondo!"
"Mi ritrovai a desiderare di ascoltare quelle melodie all'infinito, e fu un immenso dispiacere quando il loro canto  s'interruppe: 'Straniero - iniziai a sentire nelle mie orecchie - noi siamo i Dreimas, viviamo quaggiù: fossi annegato poco più lontano da queste rocce saresti morto, ma la Regina ti ha fatto scendere nelle acque  profonde troppo vicino a queste rocce … Non morirai! Qui nessuno può morire, nessuno può rovinare la purezza di queste acque con la morte della carne. Hai conosciuto il nostro aspetto e il tuo cuore ti spingerà a fare conoscere a tutti quello che hai visto: va', vivi ancora per qualche tempo, la Signora non ha ancora fissato il tuo tempo."
"Non saprei dire cosa successe dopo: mi svegliai su una spiaggia delle Terre Solitarie. Vivo!"

Nemmeno gli Elfi conoscono la risposta alle domande 'Cosa sono i Dreimas? Cosa fanno laggiù?', però in molti hanno sperato di dare una risposta a queste domande: qualcuno si  è anche gettato volontariamente in quelle acque. Ma chiunque si sia gettato volontariamente vicino a quelle rocce è poi morto, o scomparso …

lunedì 9 febbraio 2015

PAROLE SUL BELLO - il brutto

UOMO
Ma allora l’uomo come può essere
l’unica cosa brutta?
Possibile che non capisca
come non essere l’unica cosa orribile
su questo mondo straordinario?
Eppure si vanta della sua intelligenza …

VITA
(2)
Soddisfatto sedetti
sotto un albero fiorito
circondato dall’odore dell’erba
e dall’alto cadde cacca.
M’insozzò tutto.

PENSIERINO
Se penso al mondo,
sono un pessimista nero,
temo.
se penso a questa Terra,
sono un ottimista vero,
grazie a Dio.
Nel creato c'è qualcosa,
che raramente riesco a vedere nell'uomo.

#5
Fiamma che non illumina
(è) l’amore mio.

#6
Cos’è vivere travestito?
Un vivere a metà.
Ma è il mio vivere:
allora non vivrò!

VITA (1)
Come quando salgo sul palcoscenico:

ogni giorno.