martedì 28 luglio 2015

CANTO ALLA LUNA PERCHE' NON C'E' NESSUNO

Ti amo! C'è qualcos'altro da dire? No. Ti amo! Mi importa qualcos'altro? No. Sei la prima persona che mi viene in mente appena sveglio, la persona che cerco a fianco a me quando i sorrisi m'abbandonano, quando ho bisogno di una carezza affettuosa, di un amico speciale. Ti amo! Sai quando ti si avvicina una persona e il tuo corpo freme tutto? Fai di tutto per nasconderlo e ti senti in un imbarazzo immenso. Tu sei quella persona per me. Eppure tu non lo sai, tu non sai proprio niente. Vivi nella tua beata ignoranza e non ti importa assolutamente nulla: vivi senza di me e vivi bene, sei felice, sereno, sorridi, ridi, vivi! Io vivo solo quando ti sono accanto, per quei pochi secondi in cui riesci a farmi dimenticare ogni differenza, quando riesci a fare sparire tutto il dolore per il fatto di dovermi nascondere.
Eppure queste mie parole non le sentirai, amore mio, non avrò il coraggio di dirtele, rimarranno nel silenzio della mia mente bacata e sporcheranno qualche foglio. Seppellirò ancora il mio per permettere che quello degli altri cresca, cosa? L'amore. Un sentimento che non esprimerò mai, che celerò sempre ...

Mi hanno detto che non devo aiutare gli altri se questo significa soffrire per loro, mi dicono che non posso prendermi il peso degli altri sulle spalle i 'problemi' degli altri, se comporta soffrire con loro; ma come faccio? Non so, ma la mia stronzaggine viene meno quando qualcuno mi parla, il mio cuore prende il sopravvento sulla corazza dura che ho costruito con il tempo e allora non conosco più la freddezza e la malizia, la cattiveria e la crudeltà: mi trasformo, sento che da dentro esce, come se uscisse dell'acqua da una bottiglia, qualcosa di bello e luminoso, che mi spinge ad ascoltare, che mi costringe a comprendere ... e le mie emozioni scompaiono, si annullano e si annullano le preoccupazioni, passano in secondo piano e mi perdo me stesso: divento quell'altro, quella persona che mi ha parlato, che mi ha chiesto una mano, che si è aperta con me. Perché?
Vorrei solo dimenticarmi degli altri ogni tanto, vorrei solo pensare che ti amo, che vorrei solo stringerti ... e invece quando qualcuno mi si apre io mi dimentico di tutto: quando ritornerò a pensare a te, quando solleverò i miei occhi su quello che provo io, ci sarai ancora? No. So che avrai trovato qualcun altro, so che i miei sogni, che già sapevo impossibili, irrealizzabili, saranno volati via per l'amore di qualcun altro.

Non ho nulla a questo mondo, ho solo tante cose prese a prestito, ho solo cose che non m'apparterranno mai. L'unica cosa che potrebbe 'appartenermi' sarebbe la persona che amo: sarebbe mia perché l'accoglierei tutta dentro di me, non permetterei che nulla di lei si perdesse nel vento, farei di tutto perché lei potesse avere tutto me!
E invece non mi 'appartiene' nessuno, non c'è nessuno ch'io possa chiamare 'mio', nessuno che il mio cuore riconosca come parte di sé e che abbia, a sua volta, un cuore che riconosca me come parte di sé.
Urlo parole vuote, nella mia mente silente: la mia bocca non si muove, la mia mente rinuncia a pensare, e intanto qualcosa grida. Ed è solo disperazione, un grido di dolore che attraversa tutte le mie membra, scuotendole, dilaniandole e stracciandole in brandelli di sofferenza. 
Canto la sera alla luna, immagino quelle distese di luce e oltre vedo il buio: là forse c'è qualcosa, qualcuno? Almeno là ... Canto alla luna perché lei forse m'ascolta, canto alla luna perché qui non c'è nessuno.

martedì 21 luglio 2015

LA NONNA

Perché si inizia a raccontare una storia?
Non lo so proprio,
ma è una cosa che mi piacerebbe sapere davvero.

LA NONNA

La biblioteca era un posto decisamente austero, come può essere una biblioteca nell’immaginario comune. Lungo le pareti si allineavano, tutti ordinati, volumi antichi e antichissimi, chiusi dietro vetri sottili e delicati; ogni volta che qualcuno apriva quelle ante cigolanti, nell'aria si diffondeva un odore penetrante, un odore estremamente prepotente nelle narici, il profumo di quella carta e quella pergamena che hanno accolto nelle loro fibre inchiostri colorati.
Sugli scaffali erano fissati, grazie a piccolissimi chiodi scintillanti, con la capocchia modellata nella forma di svariati fiori e animali, dei cartellini di carta, ormai secca, su cui erano ordinatamente indicate le lettere dell'alfabeto.
Lara era sempre rimasta affascinata quando entrava in quel luogo. Non erano tante le volte in cui suo nonno le permetteva di entrare là dov'erano conservati i volumi più preziosi. A volte si sedeva al tavolo al centro della stanza e la prendeva sulle ginocchia - quelle ginocchia ossute e stanche - inforcava i suoi occhialetti e iniziava a leggerle qualche racconto da un libro del settecento, oppure le raccontava cosa si nascondeva nelle antiche parole in latino impresse in qualche stampa cinquecentesca. E poi c'erano i volumi manoscritti, una ventina in tutto, che solo un paio di volte aveva scorto tra le mani del nonno: quelli erano i gioielli più preziosi di tutti, gelosamente custoditi in una particolare anta con i vetri oscurati da vernice colorata, dipinta in forme sinuose e morbide. Il nonno, Lara lo aveva capito, fremeva dentro ogni volta che una di quelle pagine scorreva sotto le sue dita magre: era come se tenesse in mano un cucciolo molto fragile, che rischia di morire da un momento all'altro, che ha le ossa talmente deboli che una minuscola pressione potrebbe sfasciarle come se niente fosse. Le diceva: "Sono libri antichissimi, risalgono a molto, moltissimo tempo fa e siamo davvero fortunati ad averli: sono come pezzi di una storia antichissima, appartengono ad un'età talmente lontana che …" e poi non finiva mai la frase, come se a quel tempo succedessero cose indicibili.
Un giorno, quando ormai Lara era diventata una ragazza pronta ad iniziare una vita sua, il suo vecchio nonno le aveva chiesto di seguirlo. Allora aveva chiuso la porta che dalla camera in cui, negli ultimi quarant'anni, avevano accumulato nuovi libri, nuovi romanzi, nuove avventure e nuove poesia; poi aveva chiuso anche la porta che divideva la biblioteca, dov'erano conservate le pagine più antiche, da quell'ambiente. Erano quindi rimasti soli nella biblioteca, circondati dai secoli.
«Ormai - disse con la sua voce fioca - sei quasi una donna, Lara, e probabilmente non t'interessa più cosa dice un vecchio» C'era qualcosa di strano in quelle parole. Lentamente si sedette sulla sua seggiola in mezzo alla stanza, appoggiando i gomiti e le mani sul tavolo sgombro.
«Nonno non dire così!»
«Tu sai che non tutti hanno a disposizione un tesoro come questo. Sembrerà una banalità, ma le persone, pensa a tua madre e a tuo fratello, si dimenticano spesso che è davvero una fortuna avere un simile tesoro in una casa privata»
«Nonno a me piace tantissimo leggere!»
«Lo so, lo so - disse con un sorriso - ma non è questo che intendo … mi piace pensare che questo tesoro in casa mia mi renda un po' un guardiano del faro, obbligato ad una perenne attenzione al benessere di queste .. creature!»
«Lo so che ci tieni: nonna dice sempre che sembra quasi che t'interessi più dei tuoi libri che di lei e del resto della famiglia!»
«Quella donna esagera: non sono mai riuscito a farle capire cosa significano per me tutti questi libri - all'improvviso si fece più serio, cupo - Ma ho la viva speranza di essere riuscito a farlo capire a te!» La guardava con occhi semplici e buoni.
«Credo … - Lara era incerta, non capiva davvero, ma intuiva qualcosa dentro di lei, qualcosa che non era in grado di esprimere, ma qualcosa che comunque c'era e le dava, in qualche modo, una strana sicurezza - … credo di aver capito …»
«Guarda che è molto importante che tu abbia davvero capito! Sono un vecchio, e non interrompermi! Non dire che non lo sono perché è così: sono un vecchio e mi avvio a salutare questo mondo. Mi è piaciuto vivere qui, alla fine: ho incontrato persone fantastiche e ho avuto la fortuna di ricevere doni come la mia famiglia. Ma se devo essere sincero c'è un unico piacere che penso di poter rimpiangere, c'è un'unica cosa per cui vorrei che mi fosse concesso più tempo: i libri, le storie, i racconti, le poesie … se potessi darei tutto per una nuova pagina di buona letteratura! Ho capito che tutto ciò che ha senso ha senso perché è una storia, perché è un insieme di emozioni e sensazioni, colori e piaceri, dolori ed avventure. Ho capito che se c'è una cosa che posso fare per il bene della mia vita e di quella di coloro che ho attorno è fare in modo di conoscere più 'vite' possibili, quelle nei libri!, perché solo così posso essere utile, in qualche assurdo modo, a coloro cui voglio bene!»

Nonna Lara era per Cinzia un mistero: era sempre affaccendata per mantenere in ordine quella gran casa, ma ogni giorno, crollasse il cielo, lei doveva assolutamente passare del tempo nella biblioteca, a sfogliare attenta, con quegli occhi stanchi, quelle pagine tanto fragili.

martedì 14 luglio 2015

LE BACCANTI parte quarta

Si svegliò tutto sudato, bagnato dal tanto sudore che lo aveva avvolto nel sonno. La stanza all'inizio gli parve completamente oscura, immersa nelle tenebre più assolute; ma fu questione di pochi istanti: a poco a poco tutto prendeva una forma, senza mai riconquistare il proprio colore tutte le cose pian piano si rendevano più o meno evidenti ai suoi occhi, attraverso un complesso spettro di grigi chiari e scuri, più chiari e più scuri, quello più vicino a un nero, quell'altro più leggero e quasi luminoso. Nonostante avesse iniziato a distinguere ogni cosa ancora non gli era chiaro dove fosse, in che situazione si trovasse, se con lui ci fosse qualcuno. Fu questione di un attimo e, appena tentò di sollevare il capo, un dolore lancinante lo prese alle tempie e lo costrinse a portarsi le mani attorno alla testa, a stringersi tra le mani il viso e la fronte. 

martedì 7 luglio 2015

UN GLICINE

8 maggio 2015, oggi siamo stati all'isola di San Giulio e lì abbiamo avuto l'occasione di partecipare a Nona, con i canti delle monache, e di incontrare una di loro: alcune sue esperienze sono le esperienze della mia vita e le sue parole riecheggiano ancora adesso nella testa, m'obbligano a soffermarmi e dedicare tutta l'anima mia alla contemplazione di quel racconto particolare. Non solo: in me canta la Musa e mi ordina di farmi suo strumento, mi impone di non lasciar volare nel vasto cielo della memoria, tra le nebbie e le tormente del ricordo, ciò che ho vissuto, ciò che mi sta sorgendo dentro. La monaca sarà sempre un incontro particolare, dopo oggi ricorderò questa ora passata dinnanzi a quelle sbarre che ci dividevano, così vicini, eppure così lontani, separati da una incolmabile distanza: è la distanza di chi ha capito, di chi ha fatto un passo in più rispetto a te, e ti pare che questa persona sia come avvolta di una luce tutta particolare, nasce in te un po' di invidia, un po' di gelosia per quella sua grazia … oggi ho incontrato una monaca … oggi ritornano ancora passati dubbi insopportabili.

- Orta San Giulio, 19 marzo 2000, Festa del Papà
Si levava una strana brezza dall'acqua del lago, increspava leggermente l'acqua scura sotto un cielo cupo e grigio. Ronzava ormai da giorni la minaccia dell'ennesimo temporale. I turisti, ovviamente, non mancavano nella cittadina: un gruppetto di tedeschi in sandali e pantaloncini, con, sulle spalle, il solito golfino a righe, camminava giù dalla chiesa e si fermava ad osservare i grandi rampicanti che salivano sull'arcata di pietra. Una bambina era più interessata alle belle pitture ch'erano resistite al tempo su una parete poco più in giù. Ogni tanto qualcuno del posto arrancava affaticato verso la propria casa, tentando di evitare tutti quei visitatori che, per tenere sempre il naso all'insù verso chissà quale meraviglia, si dimenticavano di essere in un mondo abitato da altre persone per nulla in vacanza!
Nella piazza si prendeva il caffè, arrischiandosi ai tavolini vicino al lungolago. I capitani ridevano con le loro voci profonde vicino ai moli, aspettando qualche gruppo numeroso. Una scolaresca si muoveva, un po' annoiata, verso il comune e qualche ragazzino ridacchiava per una certa battuta su quella signora, un po' in carne, che sedeva su una panchina, stanca delle fatiche del turista.
Agata era spesso stata a Orta perché una sua amica aveva una casa lì vicino e, quando la ospitava, spesso andavano la sera nelle stradine illuminate dall'affascinante luce dei lampioni. Qualche volta avevano anche preso il battello fino all'Isola, ma mai s'era fermata a pensare a quelle donne che s'erano autonomamente rinchiuse là, lontano da tutto e da tutti, chiuse in un mondo tutto loro, un mondo di poche stanze rispetto all'infinità di possibilità che anche solo nel paesino di Orta cresceva ad ogni angolo … non aveva mai pensato alla scelta di quelle donne così coraggiose - o così codarde? - da staccarsi dalla loro vita in una maniera così netta e decisa … ora era obbligata a pensarci: nessuno le puntava una pistola alla testa, ma ora che sedeva su una panchina aspettando Cecilia qualcosa la costringeva a dimenticarsi del gelato, della vescica che le stava venendo al tallone sinistro, di Cecilia. L'Isola, con tutti quegli edifici che s'aggrappavano l'uno sull'altro, la seduceva e la inchiodava a sé; ma non era l'architettura … oltre a quelle pareti e a quelle finestre sentiva che qualcosa si muoveva, percepiva un movimento tutto particolare, sconosciuto, affascinante.
Era come se tutta la sua mente fosse divenuta incapace di pensare a qualsiasi cosa non fosse questo qualcosa ignoto, era paralizzata nella contemplazione dell'isola che emergeva dalle acque fredde del lago. Il paesaggio, scuro, le raccontava una sorta di angoscia che non aveva mai conosciuto prima; non era tristezza, non era paura, ma un senso di curiosità preoccupata e ansiosa che cresceva rapidamente invadendo ogni parte di lei.
Chi erano quelle pazze che s'erano allontanate dal mondo chiudendosi dietro ad una porta pesante? Erano state così codarde da scappare da una vita ordinaria, sconvolta dalle notizie delle stragi nel mondo, degli omicidi quotidiani, della fame, della povertà, della solitudine? Che razza di coraggio è il coraggio di queste monachelle che se ne stanno rintanate in un posto caldo, lontano da tutto e da tutti, al sicuro in un alto convento? Agata credeva, era cristiana ed andava regolarmente in chiesa, partecipava anche ai gruppi in oratorio, aiutava per l'animazione estiva dei bambini, ma non concepiva quelle donne, non poteva comprendere quelle folli dame in nero che passavano la vita in quelle stanzucole in mezzo a  un lago! La vita era fuori, i bisogni della gente erano fuori, i poveri e i soli, le mense per i senzatetto, le missioni, i giovani che sempre di più s'allontanavano dalla religione, dalla fede, tutto questo era fuori: cosa c'era tra quattro pareti e otto finestre? Qualche croce e un paio di statue della madonna, e poi?
"No, Rita …"
Cos'era stato? Chi aveva parlato? Era stata una voce dentro di lei, qualcuno che in lei si era ridestato e l'aveva contraddetta. Ma chi aveva parlato? E chi era, poi, Rita? Le era parsa una voce dolce e amichevole, quasi una voce che aveva un poco pietà di lei, una voce di qualcuno che poteva immaginarsi seduto a fianco a lei, mentre la guardava con uno sguardo amorevole e paterno. No? No cosa?
Ancora il suo cuore la incatenava al campanile oltre l'acqua e sempre di più i suoni della piazza si scioglievano in rumore informe, un colore marcio e indistinto, senza senso.
No cosa? No non erano delle folli? Ma come?!: un gruppo di donne sceglie un posto, entra in delle stanze e si chiude dietro la porta per 'aiutare il mondo con la preghiera' … che aiuto è?! Andate per le strade, piuttosto, andate e aiutate la povera gente, fate qualcosa con le vostre mani, siate attive e non restatevene rinchiuse in chissà quali posti! Qual è la vostra utilità? Cosa fate per il mondo? Ripetete tutti i giorni, tutto il giorno le solite parole, i soliti gesti e nient'altro, cosa c'è d'altro nella vostra vita?
"No, Rita …"
Ancora! Chi è Rita?!? Ancora no! Ma no per cosa? Quello che pensava lo pensava davvero - no cosa?
Una gocciolina le cadde sulla guancia. Pioggia? Forse, forse solo una gocciolina, niente di preoccupante. Il cielo era sempre pesante, carico; ogni tanto da quel rumore indistinto che ora la circondava si staccava una parola, chiara e ben scandita, assolutamente insensata per lei.
Dunque 'no' … no … no, non erano folli. Non erano folli? Quella voce le stava dicendo che in realtà c'era un senso in quella scelta? Ma quale può essere il senso di una scelta simil
"No! … Rita …"
L'aveva interrotta, quella voce, era intervenuta prepotentemente con quel no, per poi tornare dolce e amorevole con quel nome - chi è Rita?!
Ma perché stavolta aveva detto no? Insomma, lei stava rivalutando la scelt
"No!"
Di nuovo! Ma perché?! Ah … forse era quella parola … scelta … Cosa c'è che non va nella parola 'scelta'? In fondo loro scelgono di lasciare i loro affetti quotidiani, scelgono di dimenticarsi del mondo e della loro vita passata, della vita che continua fuori dal convento, no?!
No … ora il no se lo diceva da sé, prima che potesse dirlo quella voce. No … Non era una scelta? No … eppure per Agata quello era proprio la scelta per antonomasia: cosa rappresenta meglio la difficoltà della scelta se non la scelta di rinunciare a una vita normale? Come quella dei preti … no … no, no no! Ora capiva, la loro non era affatto una scelta di per sé, ora comprendeva cosa quella voce contestasse con quel ripetersi: le monache non sceglievano di dimenticarsi del mondo, ma … ma? Come si può dire a parole cosa fanno quelle monache? In fondo al cuore sentiva una risposta, ma non sapeva trasformarla in parole, non riusciva a modellare quella risposta in un pensiero.
Il cielo non mutava il suo colore, ogni tanto lo sciabordio dell'acqua contro le chiglie dei battelli le ricordava del mondo. Un capitano invitava un ragazzino a fare un saltino per saltare nella barca: «Salta su: vieni!»
Vieni … ecco, la risposta dentro di lei ora iniziava a palpitare, cominciava a plasmarsi in una forma esprimibile: vieni. Le monache non sceglievano di dimenticarsi del mondo, ma erano chiamate a scegliere di dimenticarsi del mondo: proprio tra le infinite possibilità del mondo a loro era toccato di trovare anche quella strada, non solo!, quella era la strada che più s'era offerta loro con fascino e loro avevano scelto d'inseguire quel fascino
Finalmente un po' di chiarezza … ma ancora continuava a non capirle: chiuse dietro quei muri a cantare e pregare, lontane dal mondo e da tut
"No … no, Rita …"
Di nuovo quella voce: aveva taciuto per un po' ma ora tornava ancora a disturbarla … cosa c'era di sbagliato stavolta? Non erano forse lontane dal mondo? Insomma, si chiudono dietro una porta, come possono essere nel mondo? Magari sanno cosa succede fuori, magari qualcuno le informa, ma loro sono comunque là, lontane, distanti, chiuse.
O no?
Anche stavolta voleva evitare di risentire quella voce che ormai le era venuta a noia. Dunque no, ma no cosa? Pregano, oltre quelle finestre scure, lavorano anche, perché lo impone la regola, ma cos'altro? Di utile per il mondo cosa fanno? Qualche abito talare, qualche paramento sacro per il Vescovo, e poi? Nella loro monotona ripetizione delle Ore cosa fanno per il mondo?
Sì, la preghiera è importante, ma non è più importante fare qualcosa per gli altri, dare … ?
"Sì, Rita …"
Come?! Ha detto sì?! Come è possibile? Io ho detto che è più importante fare qualcosa, dare qualcosa agli altri e la risposta è sì?! Ma allora ho ragione ha pensare che la loro sia una scelta sbagliata!
"No, Rita, no …"
Ma come no?!?!?! O è sì o è no! Se è più importante fare e dare, allora non capisco …
Una donna s'era seduta vicino a lei, accaldata per una corsa (per chissà quale motivo!) … era stremata, affaticata, respirava a stento, quasi soffocata dalla stanchezza. «O Dio!» sbiascicò in un respiro rumoroso.
Ah, ecco che di nuovo una risposta le affiorava, forse, nel petto … 'O Dio!' … Era stanca e chiedeva aiuto a Dio … Chi chiede aiuto a Dio per una scemenza simile? Beh, ormai è come una frase fatta, nulla di più, non c'è più sentimento in quelle parole, non c'è vera partecipazione … eppure ha detto 'O Dio!' … ha chiesto aiuto a Lui.
La risposta si muoveva, si torceva dentro, connessa alle parole di quella donna stanca, ma era nebulosa, offuscata da mille altre convinzioni … la disperazione per non riuscire a vedere con chiarezza quella risposta ch'aveva dentro quasi la obbligava a chiedere, anche lei, aiuto a Dio
"Sì! Sì, Rita!"
Sì? Aiuto! Ecco la risposta, ora era chiara!
Guardava quell'isola e ora vedeva il movimento dietro quelle mura, quel qualcosa di misterioso con un po' più di bontà; ora che comprendeva cosa facevano quelle donne chiuse in quel posto riusciva a guardare il monastero con uno sguardo un po' meno ostile.
Loro pregavano, quelle donne, si chiudevano nel silenzio e ripetevano antiche parole, ma nel cuore, ogni giorno, vibravano nuove richieste, nuove invocazioni che chiedevano aiuto e imploravano salvezza, una qualsiasi salvezza: non erano lontano dal mondo, non erano distanti dalla vita del mondo solo perché c'era quella porta chiusa a chiave; loro erano nel mondo con quel loro cuore che ogni giorno innalzava nuove preghiere intime all'Altissimo, erano nel mondo con tutta la preoccupazione e il dispiacere che ha una madre per il proprio figlio in difficoltà. Ora Agata le vedeva, quelle monache, e sentiva le loro voci squillare nel convento durane la liturgia. Ma ancor più forte sentiva squillare le voci dei loro cuori. Vedeva che da quell'isolotto decisamente pittoresco partivano come tanti messaggeri che s'innalzavano al cielo per ricadere, più lontano, sulla Terra. Vedeva quei messaggeri muoversi premurosi e affiancare coloro per cui erano stati inviati … Ecco che cosa facevano le monache, ecco cosa c'era di utile in loro: loro erano nel mondo con le loro preghiere, solo non pretendevano di aggredire la realtà con le loro mani; loro erano un po' come quelle madri che desiderano che i propri figli siano felici e contenti, liberi di fare ciò che credono più giusto, ma che, comunque, nello stesso tempo, meditano in cuor loro che tutto possa andare per il meglio, riflettono, nel loro intimo, e pregano che le scelte prese dai figli siano le migliori possibili, sperano che la sofferenza non sfiori mai la vita dei loro amatissimi figli!
Ora vedeva in quelle mura un po' più di senso, non una logica, ovviamente, ma adesso il suo cuore non guardava più a quelle pareti con ostilità e intolleranza. Agata riconosceva che oltre quel campanile doveva muoversi una forza tutta particolare, una forza che, man mano che lei se l'immaginava, s'accresceva come un fuoco che divampa su un cumulo di ciocchi di legna secca.
Ora vedeva quelle donne come madri, sì … avevano forse rinunciato ai dolori lancinanti del parto, ma avevano accolto un dolore più particolare, quello della preoccupazione per qualunque cosa accadesse oltre le quattro mura del convento, la preoccupazione per ciò che stava oltre la loro sicurezza apparente. Erano madri particolari … ma ora sentiva che erano madri!
Le nuvole sembravano essersi fatte un po' più leggere, il loro grigiore s'era sbiadito, come se fosse stata aggiunta una punta di bianco alla tavolozza che aveva dipinto quel paesaggio. ll tempo andava schiarendosi e un raggio era riuscito a farsi strada tra i nuvoloni: precipitava nella sua linea perfetta contro un gruppetto di case arroccate sulle colline oltre il lago; gli intonachi rilucevano e sembrava un paradiso circondato da fumi verde-scuro …
Il vento si levò un po' più forte.

Da una pergola non lontano sentì un profumo … profumava di fiori viola, dolci e sensuali. Un glicine.

giovedì 2 luglio 2015

ASPETTANDO

L'attesa è uno degli atteggiamenti tipici della vita del cristiano, attesa è la Quaresima, attesa è l'Avvento, attesa è la disposizione dell'animo che si crea praticando una religione che ci proietta all'Eterno, verso una dimensione divina, straordinaria e perfetta. Ma l'attesa è anche una caratteristica tipica di qualsiasi uomo, anche non cristiano. Spesso troviamo nell'attesa un piacere immenso, oppure è nell'attesa che sorgono le preoccupazioni e l'angoscia; e si aspetta un figlio, si aspetta un compleanno, si aspettano le vacanze estive, si aspetta un po' tutto, quasi che l'uomo fosse sempre proiettato verso qualcos'altro solo perché è insoddisfatto di ciò che ha nella contingenza dei momenti presenti, solo perché è deluso da ciò che l'attimo odierno gli ha concesso. In questo senso, allora, l'attesa pare quasi un'esperienza negativa, sintomo di un carattere dell'uomo per nulla apprezzabile. Ma questa apparenza, fortunatamente, può essere bene squarciata, dimenticata  e seppellita a favore di un significato differente che dovremmo attribuire all'attesa.
Il segreto, forse, sta nel provare a non imporre una relazione di comparazione tra ciò che è e ciò che deve venire, bisogna, cioè, andare oltre quell'idea secondo cui ciò che viene è meglio, poiché davvero ogni attimo può essere vissuto in perfezione ed armonia: la necessità che sente l'uomo di 'aspettare qualcosa di meglio' proviene ragionevolmente dal fatto che l'animo più profondo, l'anima dell'uomo stesso si accorge che ciò che sta vivendo non è vita piena, non è vita vera, non è bene. Solo in una simile ottica assume un grande valore l'attesa: quando l'attendere diventa uno stimolo ad attuare ciò cui aspiriamo, quando, cioè, puntiamo a rendere migliore anche il presente, così da far sì che quel futuro in cui intravediamo e speriamo il meglio si faccia oggi, si faccia ora, si faccia attualità, non più sogno.
Questa, in particolare, è come dovremmo intendere l'attesa noi cristiani. Quando 'attendiamo' il Natale, quando ci prepariamo alla Santissima Pasqua, in effetti non desideriamo - o almeno dovremmo desiderare - di essere pronti, di essere nella giusta disposizione, perfettamente preparati a ricevere quel mistero che tanto aspettiamo: non si tratta di festeggiare il Natale il sei dicembre invece che il venticinque, non si tratta di anticipare praticamente l'evento; piuttosto si tratta di proiettare davvero noi stessi verso quell'attimo straordinario, non tanto sognando quel momento, ma facendo di tutto perché già da subito noi siamo pronti a vivere quell'istante, anche giorni e giorni prima della data del calendario.
L'attesa è un ennesimo mistero, una disposizione dell'animo che ci protende verso un obiettivo, spingendoci in un tensione, in allungamento, desiderosi di afferrare quell'istante, oppure una disposizione che ci opprime, ci soffoca e ci spaventa, perché sentiamo che quello che si avvicina non è un momento di felicità, ma un momento di giudizio, di critica, di conclusioni. Questo fa sì che l'attesa sia un'esperienza interessantissima, perché ognuno la può vivere in una maniera diversa ogni volta, scoprendo, di volta in volta, un aspetto differente, forse curioso. La cosa straordinaria, poi, è che per quanto il fine di un'attesa possa essere più volte lo stesso (come il Natale e la Pasqua nell'Avvento e nella Quaresima), l'atteggiamento dell'attesa può essere estremamente diverso; quindi non solo l'attesa ogni volta può essere vissuta in modi nuovi, ma anche ogni attesa rivolta ad uno stesso obiettivo, vissuta da una stessa persona, può sorprendere con esperienze decisamente particolari. Parrà forse un'ovvietà, poiché la vita è sempre varia e mai ripetitiva, poiché ogni attimo, ogni istante è unico, assoluto e inimitabile, tuttavia nell'attendere tale unicità dell'esistenza si manifesta con ancor più evidenza e forza: ci si sente estranei da sé, a volte, proprio perché in altre situazioni, molto simili, forse praticamente identiche, erano successe altre cose e ora, invece, dinnanzi a quell'ennesima attesa, si compie in noi qualcosa di nuovo e, in un certo qual modo, strabiliante. Domande, dubbi, emozioni, gioia, perplessità, stupore, euforia, rabbia, paura.

E io attendo il 28 giugno, oggi attendo il 28 giugno perché è il giorno in cui inizierà una nuova avventura, un'altra avventura legata al mio spirito e alla mia anima di persona che ha bisogno di provare a credere in un Dio che non sia solo 'la proiezione delle paure e delle preoccupazioni in un qualcosa di altro da me', come vorrebbero i nietzschiani e simili; una persona che non ha ancora avuto la forza di cedersi tutto a questo Dio; una persona che, d'altra parte, nutra delle perplessità dentro di sé perché in fondo sa di dover trovare ancora grandi risposte che concilino questo bisogno di fede e di Dio e questa omosessualità che pare, in qualche modo, comprovata.
Attendo di partire, cercando di capire perché non c'è nessuna sensazione particolare, quasi che mancasse persino la voglia di partire … ma poi penso che magari mi sto solo illudendo, penso che forse dentro, nel profondo del mio cuoricino, c'è solo una grande paura, la paura di trovare qualche risposta vera. Risposte che potrebbero sconvolgere tutto, ribaltare ogni cosa e rovinare quegli equilibri precari, forse fallaci, che mi ero costruiti con tanta fatica.

Attendo. In un certo senso aspetto l'attesa … dovunque mi porterà questa attesa, comunque vivrò questa attesa, qualunque sia la meta vera di questa attesa, aspetto quest'attesa. So, nel cuore, di averne bisogno.