martedì 30 dicembre 2014

IL CASTELLO DI SORREN

Oltre il mare di Jai li stendono le rigogliose pianure e le boscose montagne della Terra di Balbartens. Questo è uno degli attributi della Signora, e significa, in Antica Lingua, ‘Splendente e Potente’ e le terre che portano questo nome sono considerate una delle case terrene della Signora.
In queste terre vissero per secoli e secoli popolazioni di costumi diversi, talvolta in sintonia, talvolta in conflitto, poi qualche popolazione ne inglobò un’altra, oppure una ne annientò una seconda, e nacquero regni e città-stato, paesi e nuovi popoli: a nord, dove la Terra di Balbartens si avvicina molto alle isole degli Elfi, un condottiero straordinario guidò i suoi alla conquista di altre ‘tribù’, espugnò città e rase al suolo decine di villaggi in riva al mare. In molti lo videro quasi come un dio, bello e capace, straordinariamente intelligente e, ora, finalmente, potente!
Creò uno dei reami più grandi di tutta Balbartens e, appena ventiduenne, decise di fondare la sua capitale, che poi avrebbe preso da lui il nome: il condottiero si chiamava Sorren e la città sarebbe stata conosciuta da tutti come Sorretred, ‘il gioiello di Sorren’.
In vent’anni sorse una delle città più grandiose di sempre: edifici in pietra, alti e ariosi, scintillanti alla luce del sole del mare di Jai. Il luogo, inoltre, era straordinario: attorno ad un colle a strapiombo sul mare si spandevano le case e le piazze, le strade  e le mura; sotto il colle il mare era protetto da una scogliera e si creava così una baia pacifica e tranquilla; il colle era sormontato da un immenso palazzo, coronato da oltre cinquanta torri alte e regolari.
Davvero la città fu costruita in tempi impressionanti, ma d’altronde non poteva essere altrimenti: il giovane re non poteva attendere, era impaziente, bramoso com’era di gloria e fama.
E ad aggiungere altra legna alla fiamma del suo ego (che già allora era un incendio smisurato) accorsero anche i supremi principi della natura, le creature che in assoluto si avvicinano di più al volere della Signora e lo rispettano: gli Elfi.
Giunsero all’alba di un giorno d’estate, con la brezza notturna nelle vele; mossero le loro navi entro la baia  e ormeggiarono i loro immensi scafi tra centinaia di barchette da pescatore.
Fu un incontro memorabile: il sovrano vestito quasi esclusivamente di oro, gli Elfi nelle loro vesti di argento finissimo, la grande sala stracolma di gente; e se si pensa alle feste che seguirono! Banchetti e festeggiamenti, doni da parte degli Elfi all’intera cittadinanza, regali del sovrano ai graditissimi ospiti, grandi fuochi d’artificio, giochi e spettacoli per tutti! Fu un tripudio di ricchezza e di gioia.
Gli elfi furono ammirati ospiti e quando venne il momento di ripartire non si risparmiarono complimenti: «Uomo potente e glorioso – iniziò Kagrandur, l’Elfo più anziano di tutti – generoso verso gli ospiti e saggio re, ti ringraziamo umilmente: che la Nostra Signora, comune sovrana di ogni sovrano, comune padrona di tutte le creature, ti guardi e ti protegga! Ti ha concesso un grande dono, la Regina, e tu hai accresciuto il dono da lei fatto, ma non posso fermarmi ai ringraziamenti: attento, uomo! La tua Regina ti osserva, sappi che ti richiederà in cambio qualcosa. Attento, uomo: le cose non sono destinate a rimanere eternamente immutate, le cose possono cambiare, evolvere, finire. Attento, uomo! Bada al reame che ti è stato affidato e glorifica, per questo, la tua Signora! Grazie ancora Uomo glorioso, sii attento e rispettoso!»
In seguito gli Elfi se ne partirono, con la promessa di non interrompere i rapporti con il nuovo reame. Sorren continuò il suo sogno di gloria: a quarant’anni o poco più  vedeva la sua città, la sua capitale, gemma di un reame da lui solo conquistato, un reame ricco e florido.
C’erano, allora, dei sacerdoti della Regina che sceglievano di non vivere in comune nei monasteri e nei santuari, ma che preferivano girovagare per tutte le terre, chiedendo passaggi o camminando per lunghissimi tragitti, traversando i mari solo in nome della Regina e valicando le montagne con il solo aiuto di un bastone ricurvo.
Uno di questi, un giorno, raggiunse, nei suoi pellegrinaggi infiniti, la città di Sorren e, in qualità di sacerdote, cui tutto è dovuto in qualità di servo della Regina, si presentò al sovrano chiedendo udienza: gli fu concessa e i due si incontrarono da soli, nella grande sala che aveva visto i fasti delle feste in onore degli Elfi.
«Uomo sovrano, sono Dario, figlio di uomo e di donna, generato settanta anni fa nelle terre di Meridian: mi sono offerto sacrificio alla mia Signora e la servo, o uomo sovrano, e vengo a te per portarti il suo nome, ché ti sia caro e ti porti fortuna»
«Monaco, ringrazio per la tua presenza la nostra Regina, dimmi: hai visto le bellezze della mia città?»
«Ho ammirato le torri e il tuo palazzo, le mura e il tuo porto, ma una domanda mi logora il cuore: dove hai posto il Suo luogo sacro, dove hai edificato una dimora degna e della sua padrona e di questa città?»
«Vicino alle mura, alla porta Ovest, ho edificato un tempio alla Regina»
«Uomo sovrano: uomo sciocco»
«Come osi, monaco?»
«Ella ti diede e tu rispondesti così?»
«Bada alla tua lingua»
«Rimedia in fretta e sarai salvo: dedica questo tuo luogo alla Regina, non tutto, ma la gran parte: questa sala sia data a Lei sola, ospita i sacerdoti in codeste mura e allora sarai salvo»
«Monaco pazzo e delirante: vattene da questa mia casa»
«IO me ne vado, IO»
E il monaco se ne andò, senza alzare lo sguardo sulle  case di pietra, ignorando le bellezze della capitale di Sorren e camminando triste, dispiaciuto per il triste destino che sarebbe toccato al re e, purtroppo, a tutto il popolo sotto di lui.
Gli Elfi, intanto, mantennero la loro promessa e continuarono a presentarsi alla città per scambi commerciali e altro, ma l’ospitalità del sovrano non fu quella antica: accolse gli eminenti ospiti come stranieri qualsiasi, non riconoscendo loro la loro importanza, ma trattandoli come commercianti e navigatori da nulla. Addirittura un Elfo fu colpito da dei soldati di Sorren perché non inginocchiatosi al passare della lettiga reale. Furono poi informati del triste evento capitato con il monaco errante: fu scandalo.
Gli Elfi se ne ripartirono solo per tornare armati: ormeggiate le navi in una caletta poco lontana dalla città, si misero in cammino per raggiungere Sorretred pronti per combattere per la caduta della città.
Il sovrano, intanto, si preparava a ricevere ulteriore gloria derivante dalla sconfitta di un esercito elfico, sconfitta che lui vedeva imminente: preparò i suoi uomini alla lotta, chiuse le porte della città e schierò parte delle milizie dinnanzi ad esse.
Lo scontro sarebbe stato terribile e catastrofico per entrambi se si fosse verificato, ma i piani della Signora non erano questi: un sacerdote errante arrivò nel campo elfico e rivelò che la Regina non voleva questo, che Sorren non era destinato a cadere per mano elfica, che altra sarebbe stata la fine della città e del reame.
Lo stuolo di Elfi si ritirò, prese il largo e salutò quelle coste oramai maledette: gli Elfi non avrebbero più conosciuto un suddito di Sorren.
Il sovrano intanto si ritenne soddisfatto, credette infatti di essere riuscito a spaventare in qualche modo quelle creature immortali.
Passarono altri anni, non molti, ma furono anni sereni in cui il monarca riuscì a dimenticare di avere un conto in sospeso con colei che tutto ricorda, la Memoria stessa dell’intero mondo. La città sostituì a poco a poco i commerci che erano stati con gli Elfi con altre rotte, forse meno proficue, ma sicuramente più brevi e sicure.
Un giorno Sorren ricevette la notizia che ventuno sacerdoti, di quelli erranti, erano arrivati alla città e che si erano seduti sui gradini della porta del palazzo reale. Il sovrano diede l’ordine di farli entrare. Rifiutarono. Il re doveva presentarsi di persona a loro: loro non si sarebbero spostati da quella scalinata.
Il re si oppose a lungo, ma alla fine dovette incontrarli: il popolo cominciava a indispettirsi per l’empietà sempre più evidente di Sorren.
I ventuno salutarono concordi la venuta del sovrano e gli dissero poche parole, ma chiare, in coro:
«Uomo sovrano, uomo sciocco: abbandona questo luogo, tu e tutti i tuoi; consacra questo luogo a Lei e sarai salvo, otterrai così anche la salvezza di tutti i tuoi.» 
Il re scoppiò a ridere e rispose: «Uomini savi e potenti: questo luogo è mio, questa città è mia, questo trono è mio: io sono il re! Andatevene!»
«Preghiamo per te, speriamo che Lei ti conceda un’ultima possibilità»
Ma la vendetta della Signora giunse e non ci fu un’altra, ultima possibilità.
Venne il terremoto e un incendio: la città cadde tutta, morirono tutti; si salvarono solo quella che era stata la sala del trono, che aveva visto la venuta degli Elfi e l’ammonimento del primo monaco, e Sorren, l’unica vita a non essere stata spezzata dal disastro.
Sorren uscì dalle rovine nudo, correndo e urlando, gridando vendetta contro colei che tutto gli aveva tolto. Non si seppe mai cosa fu di lui.
I ventuno sacerdoti osservarono il tutto da lontano, su una collina, e mentre tutto crollava e bruciava intonavano i canti dei riti funebri per tutti gli innocenti destinati alla morte per la stupidità di un unico individuo cieco.
Da allora le terre che furono di Sorren furono rette da una comunità di sacerdoti e tutti i contadini riconobbero in loro un governo giusto e saggio: le rovine non furono toccate e i monaci tutt’oggi ci vivono dentro, lodando la Regina in eterno.

Oggi la sala del trono è ancora l’unico edificio ancora integro ed è uno dei più grandi templi dedicati alla Regina che si possano trovare in tutte le terre di Aigam.

giovedì 25 dicembre 2014

SENTIMENTO SUL NATALE

Dov’è? Dov’è? È fuggito? Ci ha abbandonati?
Dov’è? Dov’è? È scappato? Siamo soli?
Dov’è? Dov’è? Dov’è Dio? Dove sei, Onnipotente?
Ci hai lasciato soli, siamo qui perduti e soli, abbandonati … soli. Dove sei? Dove sei, Dio?
Ti cerchiamo, ti vogliamo, vaghiamo chiedendo di te:
-È qui il Signore?-Voi l’avete visto?-
Ti cerchiamo, ti vogliamo.
Dov’è Dio?
“È fuggito, vi ha  lasciato, voi lo disprezzavate, voi lo ignoravate, voi … voi … è fuggito! Non ce l’ha fatta, vi ha lasciato, troppo avete fatto: avete ucciso, avete odiato, avete … è fuggito! Non vi vuole più!”
Così ci rispondono, e non ci crediamo, sempre di più cediamo a queste risposte.
Ma Dio, dove sei??

-Sono qui! Guardami, nel povero che siede in stazione, nell’odiato da tutti perché ha sbagliato, nel tuo collega, compagno, amico (nemico). Sono qui!
Sono con voi, voi sbagliate, voi uccidete, voi odiate, ma io spero in voi, ho fiducia in voi!
Questo vi chiedo, come io spero in voi, voi sperate in me!
In quel Bambino, in quel piccolo bambino cercate i miei occhi, cercate il coraggio della misericordia, cercate il perdono, cercate la pace, cercate ME!
E quegli occhi saranno quel povero che siede fuori alla chiesa elemosinando, in quell’anziano chiuso in casa e solo. Io sono con voi! Vi amo e spero in voi!
Sorridete nel guardarmi in ognuno dei vostri amici, nemici, negli sconosciuti, nei poveri, negli anziani, nel MONDO!

Sperate. Abbiate la speranza di quel Bambino!-

mercoledì 24 dicembre 2014

LUCE NELLA NOTTE

Era notte.
Era estate.
Era buio pesto e noi eravamo fuori con le pecore. Una grassa femmina stava partorendo nella notte e papà aveva abbandonato il suo bastone nell’erba, vicino alla roccia su cui stava riposando. I grilli cantavano i loro inni, soli, in mezzo a quel mare di oscurità.
La pecora stava faticando, faceva evidentemente uno sforzo immane, e a poco a poco il suo simile le uscì dalla pancia, venne alla luce nell’oscurità della notte. Ricordo il sangue e il liquido appiccicoso che invase l’erba e mi insozzò le mani, ma non ero schifato, anzi: quel calore era il segno tangibile di una nuova vita!
Mio padre prese il giovanotto, ancora incapace di muoversi, e, sedutosi, se lo mise sul grembo: la madre ansimava stremata, il cucciolo si agitava leggermente sulle cosce di mio padre, lui sorrideva, non lo vedevo, ma so che sorrideva.
All’improvviso sentii qualcosa, una nota bassa, profonda, lunga, che attraversò la notte come uno squillo di tuba. Mi guardai attorno: mentre pensavamo alla partoriente si era avvicinata l’alba e ormai una striscia luminosa attraversava l’orizzonte. Di nuovo quel suono e poi sentimmo delle voci, sublimi, perfette e armoniose: non cantavano, erano il canto, la musica stessa!
Le loro parole erano pura estasi e, non so perché, ma tutti ci dirigemmo verso un boschetto, alla base del colle, dove qualcuno aveva pensato di costruire, mettendo due colonne e qualche pezzo di legno, una sorta di stalla improvvisata, cadente. Lì trovammo le donne che dal villaggio, avendo udito quegli stessi suoni, erano accorse con ansia, ma senza un motivo chiaro, a quel luogo.
Meraviglia delle meraviglie. Ecco come potrei descrivere ciò che vidi. Una donna giovane – una ragazzina – teneva tra le braccia, appoggiandosi a una mangiatoia, un bambino neonato, avvolto in una fascia bianchissima. Nell’oscurità una grande luce si sprigionava da quel volto di infante e inondava tutti e tutto, accecando, addirittura, una mia cugina, che era molto vicino ai due. Mio zio era vicino e guardava esterrefatto sua nipote, al suo fianco, e le diceva: - Come è possibile in questa vita tutto ciò?
Un vecchio tentava di tranquillizzare un mulo che continuava a ragliare, come infastidito, eccitato da quella strana luce.
Il canto proseguiva e la notte era ancora attraversata da soavi note sovrannaturali.
Tutti noi non abbandonammo quella fanciulla e il suo bambino fino a che non ebbe fatto giorno.


Correggio, Adorazione dei pastori (la notte)

martedì 23 dicembre 2014

5^ LETTERA A G.

23 dicembre ----

Ho bisogno di sfogarmi, di scriverti queste parole come fossero quasi vomitate! Non potresti nemmeno immaginare la furia e la foga con cui le mie dita si muovono veloci, ansiose di riuscire a sistemare a parole tutto quello che mi si scuote dentro, tutto ciò che si torce come se il mio stomaco venisse stritolato nel morso di un animale feroce in una fredda notte d'inverno, nelle foreste del nord Europa.
Ho bisogno di parlarti, di tentare di immaginarmi la tua voce e quel tuo sorriso affettuoso ...
Sono triste, sono abbattuto, mi sento sconfitto.
Ho nel cuore la sofferenza che spesso precede le grandi giornate di festa, ma stavolta mi pare un po' diverso, perché il dolore interiore si manifesta in scontrosità e arroganza, in crudeltà e antipatia ... mi sento un misantropo, e davvero rifuggo tutto e tutti: chiudo la porta, chiudendo, dietro quella porta, tutte le voci e i pensieri, nascondendo, ai miei occhi, tutto quel colore, quella vita, quell'allegria. Mi rifugio da solo, tuttavia sperando in qualcosa, sperando sempre che qualcuno - il qualcuno giusto! - mi venga in soccorso, mi prenda per mano e mi tiri su da terra, mi abbracci e infine mi porti fuori, all'aria aperta!
Non so che sensazione è, ma è diversa dal solito: sono stanco, stanco di perdermi in parole e di fingere in continuazione, stanco di scendere ogni giorno le scale e prepararmi ad una recita quotidiana che ormai mi ha stufato completamente!
Sai di cosa sono stanco? Sono anche stanco di tutte quelle volte che mi innamoro, o almeno penso di esserlo ... tutte quelle volte che guardo un ragazzo e tra di noi nasce dell'affetto, ma di quelli particolari ... è successo ancora, come con **, ma stavolta è ancora diverso ... perché invece che con lui ho legato con il suo migliore amico, e così mi ritrovo a scrivere, ogni tanto, per cercare un po' di consolazione, con questo suo amico, mentre a lui mai oso rivolgermi! Che poi non so nemmeno se davvero mi sono 'innamorato' ... forse sono solo uno sciocco pure io, forse sono solamente un cretino che non capisce ancora, perché ignorante, cosa sia l'amore, il sentimento, l'emozione! Forse semplicemente mi illudo che questa sensazione, che altro non è - forse - se non simpatia, sia altro perché è di altro che ho bisogno.
E allora mando davvero tutto al diavolo! Io voglio vivere! 
Ho più volte ripensato al suicidio solo perché il mio più grande desiderio, cioè vivere, spesso mi sembra un'aspirazione troppo grande per le mie miserrime forze!
Io cerco quello che sogno, cerco una persona che mi ami come si amano i ragazzi, con quelle carinerie a volte smielate e forse troppo sdolcinate, con quelle attenzioni minime e quasi maniacali, con quei gesti delicati eppure così travolgenti!
E invece ormai non avrò mai questo: sono cresciuto, il tempo delle carinerie e di queste mie immaginazioni è finito, ora, se mai conoscerò l'amore, potrò conoscere solo l'amore degli adulti, quell'amore fatto di consapevolezze e non di tentativi, quell'amore fatto di responsabilità e non di sguardi da ragazzini!
Che sciocco che sono, vero?
Eppure io non desideravo che questo! Provare tutto ciò che provarono quasi tutti, vivere tutto ciò che vissero quasi tutti: non voglio vivere la vita per quello che è, ma - perdonami - avrei voluto viverla come me l'ero sognata! Chiedo la luna? Sì, ecco voglio anche la luna! Voglio un amore da sogno ...
E sono uno sciocco! Hai ragione, ma che cosa ci posso fare? Davvero io non so cosa potrei fare! Io sono questo, sogno l'amore, sogno l'innamoramento e la passione, te lo ripeto, quei sorrisi e quegli sguardi così timidi e che, in qualche modo, possono essere descritti come fossero dei sussurri!
Voglio una mano delicata che mi carezzi il polso, una chioma di capelli sottili da sconquassare con le mie dita, un braccio amorevole pronto ad avvolgermi la schiena, stringermi con tenerezza e semplicità!
Sono un Peter Pan, ma non m'importa! Non ho mai avuto nulla di tutto ciò: ho avuto tante e tante cose, fatto tante e tante esperienze, ma mai, MAI, ho avuto l'unica cosa che da anni e anni bramo ardentemente, sogno disperatamente, l'unica cosa cui anelo eternamente!

Che tristezza: mancano ventiquattro ore o poco più al Natale e io non riesco a essere felice, riesco solo a ripensare a tutto e dispiacermi di tutto, perché a questo tutto è mancata l'unica cosa davvero importante ...

Buon Natale, carissimo G.
So di non averti dato motivi di gioia con queste mie parole addolorate e forse anche arrabbiate, ma, se davvero devo apparire felice in questi giorni così particolari di festa, a qualcuno dovevo pur dire tutto questo ...
Buon Natale, carissimo G.
Ti auguro - poiché non so quando ti riscriverò - un felice anno nuovo, ché ti porti tutto il bene possibile.
Auguri.
Un bacio
Un abbraccio

J.D.

INCANTESIMI

‘INCANTESIMI’  o  ‘PREGHIERE PAGANE’ (?)
Spirito soave t’invoco
io, servo tuo devoto,
a te solo rivolgo il mio sguardo,
a te solo mando preghiere,
a te solo e solo a te.
Sorgi e mostrati a me,
ascoltami e appari:
il tuo potere io desidero vedere
la tua voce mi preme di udire
le tue opere necessito di conoscere.
Quel che dev’essere sia!
Ora, adesso, per te.
Concedimi la tua forza.
Dammi la tua forza.
Guarda il tuo servo quaggiù
e ascolta la mia preghiera:
la mia vita io ti offro,
ogni mia parola sarà tua,
ogni mia opera per te.
Vieni e ascoltami,
vieni ed esaudiscimi.
Con umile voce io ti chiamo,
con amabili parole io ti cerco,
con rispetto ti temo,
con timore ti rispetto.
Avvenga ciò che deve,
sia ciò che fu scelto,
sia ciò che fu deciso.
Tu comandi i venti,
Tu controlli i mari,
Tu soggioghi le fiere,
Tu ammansisci le belve:
Tu hai tutto in tuo potere,
tutto è sotto di Te.
Il padrone dei cieli e dei mari,
delle valli e delle pianure,
delle montagne e delle rive sabbiose:
ogni cosa osserva il tuo ordine
ogni cosa è tuo dominio.
Le tue opere avvengano in me:

la tua forza sia la mia!

giovedì 18 dicembre 2014

FINE DI UNA GIORNATA INUTILE

È finita anche questa giornata, anche quest’ultima giornata inutile. Oggi non ho fatto nulla. Avrei dovuto studiare e invece mi sono messo a leggiucchiare, a scrivere, ad ascoltare musical e guardare film. Che sciocco! Eppure ogni tanto mi prende la voglia di non far nulla, di dedicarmi solo a me senza troppa robaccia a circondarmi, solo immagini finte, solo suoni lontani, niente di troppo vicino, niente di troppo … ‘personale’.
È un peccato perché in effetti ho perso davvero tanto tempo a far nulla. Che poi ci ho provato a studiare greco, o matematica, ma il mio cervello proprio non voleva saperne.
Non ho nemmeno voglia di andare a dormire: mi sembra troppo faticoso.
O forse non voglio andare a dormire perché sono ben consapevole che quello che mi aspetta domani è davvero noioso e anche che domani non potrò perdere tempo a rincitrullirmi con idiozie varie?
Però non so nemmeno se vorrei rivivere un giorno come questo, so che ricapiterà, ma non so se voglio che sia domani: nulla da fare, mi muovo mollemente, senza un minimo di grinta, senza un fine cui tendere, pensando a niente se non al fatto che mi scappa la pipì, ma ora non ho proprio voglia di muovermi fino al bagno.
Be’, in fondo la giornata è finita: non è che non ho fatto niente, ma davvero mi sembra di averla sprecata, com’avessi buttato al vento ogni singolo minuto della giornata. Come se non fossi conscio del fatto che ho così poco tempo qui!
Comunque è finita. Non so se ne sono contento, però almeno ne sono certo: questo giorno è finito e ormai mi attende il prossimo, mi attende domani.
Uff … se almeno avessi fatto qualcosa! Avrei potuto dormire con un po’ meno d’ansia per le cose che sono da fare domani!

Non mi resta che una cosa: ‘Buonanotte e sogni d’oro!’

martedì 16 dicembre 2014

SOTTO IL VELO, AL RIPARO DAL SOLE

Cosa videro i tuoi occhi, donna?
Camminavi lungo la via quel giorno, serena nelle tue vesti leggere di mezza estate: cosa portavi in mano quel dì, sotto il sole del pomeriggio? Avevi in mano un cesto di erbe da cucinare per il sabato? Oppure tenevi in mano la tua gerla piena di acqua fresca?
Il sole era caldo e i raggi luminosi si insinuavano attraverso le foglie dei sicomori e dei fichi, ti dava fastidio quella luce negli occhi? Ti feriva lo sguardo e ti coprivi con il tuo velo? Ma ti piaceva quel caldo bacio celeste?
Camminavi lungo la via quel giorno, ma a cosa pensavi? Non pensavi a nulla forse … però come può una fanciulla non avere nulla per la mente in un giorno sereno e luminoso di un’estate calda e piacevole? Forse pensavi al domani imminente, alla festa che presto sarebbe arrivata, alla pace e al riposo … magari pensavi al tuo futuro, riflettevi sul tuo matrimonio, che il tuo cuore giovanetto desiderava così tanto, ti perdevi a immaginare la tua casa, a sognare i figli che avresti dato al tuo sposo, ai fiori che avresti colto per imbellire l’uscio, alle vesti che con cura avresti cucito alla tua famiglia; pensavi a tutto questo?
Camminavi lungo la via quel giorno e nessuno saprebbe davvero dire a cosa pensavi: nessuno può, purtroppo, ma davvero avrei voluto sapere cosa stessi pensando prima.
Cosa videro i tuoi occhi allora?
Si spostavano vispi e allegri dalla corteccia alle pietre, dall’erba alle foglie, e gioivi dei fiori e dei profumi, della luce e del creato.
Quali uccelli udivi cantare?
Quanto avrei voluto accompagnarti in quel lungo cammino, quanto avrei voluto assisterti in quella passeggiata! Ma non fui io, non toccò a me, purtroppo: fosti tu, toccò a te, e a te sola, solo e soltanto te!
Cosa videro i tuoi occhi, donna?
Camminavi e nient’altro, forse davvero non pensavi a nulla. Ma dopo a cosa pensasti?
Mentre camminavi forse ti cadde ciò che tenevi in mano, le tue gambe si irrigidirono, forse, e il tuo viso fu forse spavento: cosa provasti, donna?
Il sole secondo me si fece immobile, smise di scintillare; gli uccelli si fecero muti, fermi tra le fronde non più mosse dal vento; sì perché anche il vento abbandonò la sua fatica e lasciò le foglie degli alberi. Tutto ristette e si fece silente.
Qualcosa accadde davvero. Per te il mondo svanì in quel momento, si annullò la realtà.
Cosa provasti, donna?
E quando udisti quelle parole, quando comprendesti quel saluto, quando fosti pronta a rispondere, cosa provasti, donna?
Qualcosa era cambiato davvero in quel momento e i tuoi occhi scoprirono qualcosa di nuovo, videro qualcosa di stupefacente, sorprendente, qualcosa di … di sovrumano, di … divino! In te era cambiato qualcosa, in te era successo qualcosa …

Cosa videro i tuoi occhi, madre?

giovedì 11 dicembre 2014

CONSIDERAZIONI ATTORNO ALL'OMOFOBIA

A parte il ringraziamento ai Rappresentanti d’Istituto per aver permesso questo dibattito, voglio raccogliere in poche parole alcune considerazioni ch’io sento necessarie.
Molte sono le persone con cui ho avuto modo spesso di confrontarmi riguardo questo tema così particolare, così – è innegabile – attuale, però oggi per una volta ho visto davvero tante persone disposte a perderci tempo, disposte a impegnare il loro cervellino per parlare – anche se poco – senza troppi problemi, con pacatezza (perché forse non è sembrato, ma ero davvero tranquillo) e serenità.
Vorrei che fosse ancora una volta chiaro perché ritengo necessario questo tipo di dibattito: nessuno ci si aspetti che un incontro simile possa essere il luogo da cui esce un documento dell’altezza della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, però, a mio parere, tutti dovremmo aspettarci di uscire da un dibattito simile con qualche dubbio, con delle domande che noi stessi ci poniamo e cui noi stessi dobbiamo rispondere personalmente e intimamente. Chiunque si faccia le domande che vuole, qualsiasi va bene, basta che qualche domanda nasca e ci logori un po’, ci dia fastidio perché la risposta non è così ovvia!
Ho ascoltato le parole di molte persone, ho tentato di comprenderle così come mi venivano trasmesse, cercando di non applicarvi troppi miei filtri personali, così che il messaggio mi giungesse così come era stato pensato.
Ed è alla fine di questa operazione che posso dire di essermi posto nuove domande cui prima o poi spero di trovare risposta.
Ma comunque: cercherò di dire in poche parole poche cose.
Partiamo dal presupposto che l’omosessualità non è una malattia, visto che l’OMS ha riconosciuto che è semplicemente un ‘orientamento sessuale’; chiariamo anche che quest’omosessualità non è frutto di una scelta personale, bensì è un qualcosa di intrinseco e di proprio delle persone (in parole povere: ci si nasce!)
Chiarito tutto ciò possiamo pensare di procedere chiedendoci anche qualcos’altro: l’omosessualità è giusta o sbagliata? A questa domanda non si può rispondere, e per il semplice fatto che non ha motivo di esistere: sarebbe come chiedersi ‘è giusto fare la cacca?’ – decisamente una domanda inutile e sciocca.
Appurato, quindi, anche questo – che parrà a molti banale, ma che è bene ricordare, così da essere sicuri che sia chiaro ben bene per tutti! – veniamo al nocciolo della questione: lotta all’omofobia.
Ma cos’è l’omofobia?
Un mio compagno ha ritenuto opportuno chiederlo, giustamente, così da chiarire bene questo concetto, e questa è la mia risposta – opinabile: Omofobia è quell’atteggiamento, tipico di tutte le persone di questa nostra società, di quell’individuo che, per timore, schifo o chissà cos’altro, ritiene che l’omosessualità sia una discriminante, cioè un qualcosa che ci rende diversi in una maniera tale da permettere, addirittura, una prevaricazione.
Però, per assurdo, mi sta anche bene che esistano gli omofobi – considerando questa volta , con questa parola, coloro che non concepiscono l’amore omosessuale – a patto che questa omofobia non sia motivo di quella prevaricazione sopracitata, a patto che non vi siano discriminazioni né sociali né verbali né psicologiche né, ovviamente, fisiche.
Ma trasportiamo questo discorso così aleatorio in qualcosa di più materiale.

Omofobia è:
-          quello sguardo così simpatico che certi lanciano quando passa un gay/una lesbica
-          quel sorrisino/risatina spesso presente sulle facce di molti quando si parla di omosessualità
-          quegli insulti così belli che ci si lancia tra ragazzini, definendo ‘ricchione’ o ‘finocchio’ qualcuno, soltanto perché autore di una idiozia
Questi sono solo esempi comuni, che sicuramente noi studenti avremo di sicuro ben presenti.
Ma dove voglio andare a parare?
Non mi interessa parlare di adozioni o matrimoni, non mi interessa parlare di casi eclatanti o tragicissimi, nulla di tutto questo! Voglio solo fare notare quanto la nostra cultura ci ha trasmesso di omofobo, quanto la nostra stessa persona sia spesso così abituata all’omofobia che nemmeno ce ne accorgiamo …
Trovo meraviglioso che quando uno di quei ‘finocchi dai pantaloni rosa’ si uccide la comunità di giovani si mobiliti in massa, ma la mia domanda è:
    davvero bisogna sempre aspettare che ci scappi il morto?!
Impariamo a non ridacchiare, a non essere ipocriti con così tanta facilità. Soffriamo per i morti, ma cerchiamo anche di non essere causa per altre morti!
Ripeto, nonostante nelle assemblee si sia parlato anche di adozioni e matrimoni, io non voglio parlarne, anzi … proprio mi interessa altro!
Da ultimo voglio solamente chiarire una cosa: ricordate che quando si parla di omosessualità non si intende solo ‘due individui dello stesso sesso che si accoppiano per darsi piacere’ (per dirlo con una perifrasi decisamente delicata, ma, credo, certamente chiara); quando parliamo di omosessualità intendiamo anche qualcosa di più alto, di un sentimento vero che nasce tra due individui dello stesso sesso, di un’emozione che scuote il cuore di costoro … allora magari potremmo anche iniziare a parlare di OMOAFFETTIVITA’, cioè quello che davvero è: io mi innamoro, amo, voglio vivere con una persona del mio stesso sesso, non ci voglio solo … (chiaro no?!)

Ancora grazie a tutti,
ai Rappresentanti e a tutti gli studenti,
agli ‘omofili’ e un po’ anche agli omofobi.
Scusate per la lungaggine,
Un saluto

James Doreh

P.S.

Se siete omofobi in una maniera spaventosa, ma non volete essere giudicati, e tuttavia volete insultarmi, fatelo: la mia chat non è bloccata per nessuno, risponderò a tutti.

martedì 9 dicembre 2014

LE SPIAGGE DI BARGEN

Il momento più bello in assoluto è quando il cielo è nuvoloso e il giorno inizia a virare verso la notte scura: qualche raggio ha il coraggio e la forza di penetrare la coltre pesante di nubi scure e pesanti, la luce scintilla sulla superficie calma, quasi immobile, dell’acqua, e anche la spiaggia, segnata qua e là da una pozza di liquido salato, luccica un pochino, di un luccichio delicato e affascinante, incantevole. Tutto: cielo, sabbia, acqua è attraversato da pennellate bianche di luce pura.
Alejah se poteva si incamminava piano dalla rocca e procedeva sulla rena umida, dopo aver abbandonato i suoi stivali alla torre alla base della Rupe. Inspirava l’aria iodata, pura e fresca. La sabbia sottile si insinuava tra le dita e la sensazione di freddo sotto il piede gli dava un senso di sicurezza e stabilità.
La veste grigia di lana si scuoteva mossa dalla brezza che saliva dal mare, il gran medaglione di bronzo veniva, di tanto in tanto, sballottato sul petto, tintinnava con i mille anelli che lo tenevano appeso al collo stanco. Il cappuccio, tirato su per coprire il capo dalle goccioline che talvolta arrivavano trasportate dal vento, lasciava scoperto il volto anziano e barbuto di Alejah: procedeva chiudendo gli occhi ogni tre o quattro passi, cercando di liberare la sua mente da ogni preoccupazione, da ogni pensiero.
Procedeva senza fretta alcuna, prendendosi molto tempo per ogni movimento, anche il più semplice, godendosi ogni attimo di quella pace.
Un giorno Alejah camminava come suo solito, i piedi nudi affondati nella sabbia; lontano, sul mare, le nubi cominciavano a caricarsi di pioggia e presto quelle gocce avrebbero raggiunto le spiagge e la Rupe. In molti avevano tentato di dissuadere Alejah dal compiere quella passeggiata quel giorno, ma l’anziano era ostinato e cocciuto ed era riuscito  a ottenere che lo lasciassero andare, ma con una condizione: sarebbe stato accompagnato da uno dei soldati della guardia.
Il soldato camminava tre passi dietro a Alejah e si muoveva solo in relazione ai movimenti dell’anziano: nel loro incedere c’era qualcosa di affascinante; l’uno rigido, addestrato e controllato, figlio di addestramenti severi; l’altro piegato un po’ in avanti, rigido anch’egli ma per la vecchiaia, assorto in infinite disquisizioni intime e personali.
«Qual è il tuo nome, soldato?» disse improvvisamente fermandosi, ritto dinnanzi al mare, senza voltarsi a guardare la sua scorta.
«Romir, signore, figlio di Damian e Alessa» rispose il soldato, dopo qualche attimo di incertezza.
«Un nome importante ti hanno impartito i tuoi genitori» e riprese a camminare sulla sabbia umida.
«Certo, signore»
«Dimmi: da quando sei soldato qui a Bargen?»
«Faccio parte della guardia da pochi mesi, signore, dopo un addestramento durato sette anni alla fortezza di Schiele»
«Capisco, capisco … qualcuno ti ha raccontato della storia della fortezza?»
«La storia di Bargen la conosco fin da piccolo, signore»
«Bene, bene, mi fa piacere che ti abbiano istruito con la storia di questi luoghi … come hai deciso di diventare soldato? Una vita così dura, così faticosa e pericolosa, cosa ti ha spinto a scegliere una via tanto ardua?»
«Fin da piccolo sognavo …»
«Come tutti i bambini! È davvero un’aspirazione comune a moltissimi fanciulli quella della battaglia e della gloria che si può ottenere da essa, ma tu … come hai preso una simile decisione da adulto, con il giudizio che una persona adulta dovrebbe avere? Perché scegliere la guerra?»
«Io … io … non so … non lo so davvero: non ci ho mai pensato, signore, perdonatemi … »
«Io?! Perdonarti!? Per quale ragione dovrei perdonarti? Insomma: quale torto mi avresti fatto?!»
«Io … non so che dirvi, signore …»
«Conosci la storia di Bargen hai detto?»
«S … sì, mio signore»
«Raccontamela, te ne prego»
«Mmmmm, sì … Circa seicento anni fa queste terre erano controllate dal popolo Merg, i signori del mare, capaci come nessun altro di grandiose imprese sul mare, fondatori di città in ogni regione del Mare del Sole, tra i pochi a conoscere le rotte commerciali degli elfi di Grande Mir. Avevano fondato una grande città poco lontano da queste spiagge, una città che in pochissimo tempo era divenuta una dei più grandi centri commerciali dell’intero continente per la sua posizione particolarmente favorevole: in una costa di alte scogliere, precedute solamente da piatte spiagge insidiose,  solo in un punto la roccia ruvida scendeva in una piccola valle, che si incontrava, infine, con il mare, qui scorreva un rivo d’acqua dolce e qui il mare la costa era un poco riparata da delle rocce che, lontano, immerse nel blu scuro dell’acqua, trattenevano la forza furiosa delle onde. La città era mira di molti popoli che avevano abitato, prima dell’arrivo dei Merg, questa regione e ben presto dei cacciatori nomadi si radunarono in una sorta di esercito – decisamente male assortito – composto da uomini e donne, giovani e vecchi, tutti decisi a espugnare una città giù bell’e’fatta.
A quel tempo il popolo Merg che aveva fondato la città aveva anche deciso di darsi un governo di tipo monarchico, scegliendo un re da una delle famiglie fondatrici: dopo la morte del re si sarebbero svolte nuove elezioni e un nuovo re, sempre scelto tra le famiglie fondatrici, avrebbe preso le redini della ricca città. Poco prima che la guerra infuriasse nella regione tra cittadini e nomadi delle foreste, l’anziano re morì strozzato da un ossicino di pollo rimastogli incastrato in gola durante uno dei suoi innumerevoli pasti giornalieri. Mentre il cadavere veniva fatto rotolare via dalla sala del trono – perdonate se vi pare stupido, ma così mi hanno raccontato la storia – le famiglie fondatrici venivano già radunate per l’elezione del nuovo sovrano. Già la voce di un possibile attacco girava per la città ed era giunta fino alle orecchie del monarca, ma il defunto non se ne era preoccupato, forse pensando (e non a torto) che oramai la sua fine era vicina e che sarebbe stato qualcun altro a occuparsi della faccenda. Un nuovo sovrano venne eletto e si scelse un giovane gagliardo, ben addestrato all’uso delle armi e poco incline alla conoscenza e al sapere. A guerra scoppiò e fu una carneficina di nomadi e di cittadini: gli uni, i primi, erano meno preparati e svantaggiati dalla loro posizione di attaccanti, ma anche erano molto più numerosi, tanto da parere che ogni volta che uno veniva ucciso altri due prendessero il suo posto; gli altri, invece, erano avvantaggiati dal trovarsi dietro un muro solido e approvvigionati da un porto ricco e fiorente, ma anche si trovavano ad essere pochi e miseri, la maggior parte abituata dalla ricchezza al buon cibo e al riposo, al sollazzo e alla gola. Si continuava a morire e si continuava a combattere, si continuava a combattere e si continuava a morire. Il giovane re, che alle famiglie doveva essere apparso l’unica speranza di vincere una guerra, giorno dopo giorno diveniva sempre più miserevole agli occhi dei molti, evidentemente incapace di portare la parola fine al conflitto. Si racconta che il suo stesso padre fu l’ideatore della congiura che avrebbe portato la fine del suo regno: le famiglie erano pronte, si erano preparate un piano per eliminare lo sciocco bellicoso, buono a nulla, e per nominare un nuovo sovrano, più sagace e che, forse, si sarebbe rivelato un miglior stratego. Ma il giovane re ‘bellicoso e stupido’ non era cieco: scoprì di essere in pericolo e la congiura fu sventata. Però la congiura, sebbene non compiuta e sebbene non secondo le aspettative dei congiurati, ebbe i suoi frutti: la guerra sarebbe di lì a poco finita. Il giovane re, infatti, rifletté in seguito al suo tentato omicidio e si scoprì a considerare un altro modo per finire la guerra che non fosse il soffocare nel sangue i nemici. In un giorno nuvoloso, poco prima del tramonto – in un giorno come questo in effetti – incontrò una sorta di ‘delegazione’ nemica e discusse con loro un trattato. La parole fu l’arma più efficace: parlarono a lungo e non si sa cosa si dissero, tuttavia si sa cosa si ottenne: la città venne abbandonata e ricostruita qualche miglio più a sud, i popoli nomadi non entrarono nella città e continuarono a vivere spostandosi un po’ più a nord; insieme, Merg e nomadi, costruirono la Rocca di Bargen, in cima alla Rupe, cui unico scopo sarebbe stato quello di preservare il sapere, luogo di incontro pacifico per ogni individuo dal mondo.»
L’anziano Alejah aveva ascoltato, sempre voltato di spalle, il racconto e poi, finito che fu il racconto, si voltò con un sorriso amorevole e paterno:

«Se sai così bene la storia di questo luogo, perché sei diventato soldato?»

lunedì 1 dicembre 2014

PAROLE SUL BELLO - il sole

ALBA
Mi sedetti quella mattina, 
avrei dovuto sbrigarmi,
ma non potevo non sedermi:
lui sorse e io stavo lì,
come al cinema 
mi godetti lo spettacolo, 
ma poi giunse la fine.
Ringraziai.

PRE-SENTIMENTO
In quelle giornate
in cui l'aria è impregnata
di un odore di acqua,
ma il vento racconta già
di un cielo sereno,
allora guardo su,
osservo silenzioso e penso.
Che bello!

SOLE
Eppure è una delle cose più belle e più misteriose. 
Sicuramente è meraviglioso, 
ma ... io non l'ho mai ... visto.
Non sappiamo come sia se non attraverso lenti e filtri ...
Eppure è una delle cose più belle e più misteriose.

#3
Una nube pesante davanti
come fosse una veste da strappare
desideravo stracciarla per vedere
osservare oltre.
Ma anche lui mi voleva
e sottili raggi passavano a fianco
la nube non può sconfiggerlo!