martedì 30 giugno 2015

LUI (16)

Tremavo sotto le sue dita, i brividi mi scuotevano tutto, mi attraversavano come un'onda delicata che si allarga infinita verso l'orizzonte. Tenevo gli occhi chiusi e aspettavo, rimanevo lì in balia delle sue dita sottili, leggere: giravano con calma, mi sfioravano disegnando piccole ellissi sul mio petto, in quel piccolissimo spazio che la mia maglietta lasciava libero sotto al collo. Era sdraiato e m'ero abbandonato al suo fianco, mentre lui leggeva i suoi soliti libri. Poi aveva allungato la mano verso di me e mi aveva carezzato i capelli. Mollemente aveva mosso le sue dita sopra il mio viso e lungo il mio collo, fino a quando non era finalmente arrivato alla maglietta che gl'impediva di proseguire il suo cammino.
Leggeva e pareva non curarsi di me, pareva assorto e immerso completamente nella propria lettura, eppure quella sua mano non mi sfiorava distrattamente: con dolcezza le sue dita magre carezzavano il mio petto stanco e ogni tocco era per me sia una consolazione delle mie fatiche sia il motivo per una nuova agitazione, un'agitazione tutta piacevole, un'agitazione emozionata, un'agitazione 'ragazzina', che sorride imbarazzata …
La mia giornata era stata davvero triste, davvero faticosa: avevo ancora, come ogni giorno, affrontato un mondo che mi voleva sveglio e agile, pimpante e svelto, avevo rinunciato per tutte quelle ore a concedermi d'essere davvero felice, e, cosa ancora peggiore, avevo rinunciato ai miei momenti di sconforto e di abbattimento, trascinato com'ero dalla velocità di tutti quelli che mi stavano attorno. Avrei voluto per tutto il tempo rifugiarmi in silenzio, in solitudine, in un angolino, rannicchiato e con gli occhi chiusi, e invece no, m'ero lasciato sbatacchiare di qui e di là, come un lenzuolo al vento.
Poi ero tornato a casa e lì mi aveva raggiunto lui, camminando tranquillo per la strada: mi aveva avvisato che era all'edicola e allora ero corso alla finestra ad aspettarlo. Lì lo avevo visto, avanzare bello e tranquillo, sereno e spensierato. Scriveva un messaggio, a un suo compagno o a sua madre, non m'importa. Sapevo che stava venendo da me e solo per me, sapevo che non gli pesava uscire di casa e camminare per mezza città solo per passare un po' di tempo con me. Io per lui non lo facevo spesso e a volte, per questo, mi sentivo in debito, ma lui mi rispondeva che non dovevo preoccuparmi, che non era questo che contava …
Quando aveva suonato io ero appena arrivato al citofono e gli aprii immediatamente.
Ci salutammo e ci raccontammo le nostre giornate fino a quel momento, poi lui si sedette sul mio letto, a leggere, mentre io, alla scrivania, facevo dei compiti.
Sollevavo spesso lo sguardo e sbirciavo cosa stesse facendo, se si fosse distratto dal libro, se si fosse addormentato, ma niente: rimaneva lì. Poi mi ero avvicinato, stufo, arcistufo di compiti e scuola.
Mi coccolava con la sua solita perfezione.
Come sempre era lui che si prendeva cura di me.
"Cosa dovrei fare per dimostrargli che io lo amo? Lui lo fa continuamente, ogni suo respiro lui lo dedica a me, io invece … io mi sento quasi un verme: a volte mi accorgo che sembra quasi che lo ignori o, peggio, che lo dia per scontato! Ma io davvero vorrei dimostrarti cosa provo, davvero farei tutto, se solo sapessi cosa significhi questo tutto!"
«Cos'hai?» disse con il sorriso sul viso, guardandomi dall'alto dopo aver chiuso, senza che me ne accorgessi, il suo libro.
Non risposi.
«Ehi ..?! Cos'hai? Sei strano» ripeté con affetto.
«No, nulla - feci io - sono solo stufo della scuola … sono stanco»
«Eh beh, pensa a me che devo fare ancora due anni! Tu almeno hai finito»
Aveva assolutamente ragione.
«Hai ragione, ma ora che è quasi finita vorrei solo che finisse il più in fretta possibile, sai? Sono davvero stufo: darei qualsiasi cosa per poter finire già domani, e non me ne frega niente delle cose che non so!»
Sorrise ancora, divertito da quella mia isteria.
«Volevo farti una sorpresa, ma visto che sei così abbattuto mi sa che è meglio che ti dica adesso cosa avevo in mente, così magari hai una cosa bella a cui pensare …»
Non capivo e lo fissai, dal basso, con aria interrogativa. Continuava a carezzarmi i capelli e a grattare leggermente dietro le orecchie.
«Beh, pensavo che subito dopo l'orale io e te usciamo da scuola e andiamo in gelateria: ti ricordi cosa abbiamo fatto al mio compleanno?! Compriamo una vaschetta di gelato (e i gusti li scegli tu!) e ne mangiamo a cucchiaiate!»

Mi rallegrò. Mi allietò quegli ultimi giorni di ansia … anche la sua presenza, da sola, sarebbe bastata. Glielo dissi. Mi baciò.

domenica 28 giugno 2015

OGGI COME ALLORA, PURTROPPO


Allora te lo chiesero in tanti,
rimanesti silente, lontano, in alto.
Oggi te lo chiediamo in tanti,
di nuovo,
nuove voci, vecchie preghiere.
Cambiano molte cose,
tante cose si evolvono,
crescono, camminano.
Noi sembriamo immutabili,
perennemente e completamente
idioti.
L'uomo ama tanto la morte
degli altri …



il 26 giugno 2015

giovedì 25 giugno 2015

LA DEFINIZIONE DELLA PAROLA 'ARTE'

La definizione della parola 'arte'


Davvero è importante cercare di limitare il concetto troppo vasto di arte: ogni attività umana, in fondo, si risolve in qualcosa di favolosamente artistico, ma ciò che chiamiamo arte deve essere limitato, in qualche modo, altrimenti tutto subirebbe l'atroce condanna di essere ridotto a un unico nome collettivo, espropriando ogni oggetto, ogni creazione dell'intelletto umano di quel nome che faticosamente l'ha differenziata dal resto.
Quindi non cercheremo una definizione statica ed immutabile, assoluta: possiamo andare alla ricerca di una discriminante, un qualcosa che di poco distingua ciò che è creazione, mera tecnica, evoluzione scientifica di strumenti, da ciò che è arte.
Ovviamente, e qui mi ripeto, ogni tecnica pare, anche per una questione etimologica[1], essere costretta ad una radice artistica, quasi che sia proprio la sensibilità artistica a muovere l'ingegno dell'uomo, tuttavia quando la scintilla d'ispirazione creatrice produce dell'arte che però conosce una troppo stretta connessione con l'utilità, ecco che allora l'arte inizia la sua degradazione in tecnica.
Da qui si procede come in una climax discendente, dall'arte si scivola giù nella tecnica: non si perde valore, ma il valore cambia la sua natura, si muta, si rinnova in un valore diverso, non meno significativo.
Ed è in questo percorso discendente che potremmo identificare una sorta di scala delle arti, in cui nessuna arte è al vertice, ma in cui ogni arte è disposta su gradini via via più vicini al pianerottolo della tecnica, lontano dalla porta d'ingresso dell'arte: l'architettura, per esempio, non può essere esclusa dall'elenco delle tecniche, tuttavia nessuno dovrebbe avere il coraggio di disconoscerle il titolo alto di arte; certo, gli edifici, le cattedrali, i ponti, sono opere superbe, sono creazioni soggette al fatidico giudizio critico del bello, dell'estetica, ma sono, indubbiamente, anche soggetti a critiche e a giudizi di puro carattere utilitario. In fondo un ponte è un bel ponte se è decorato, proporzionato, inserito mirabilmente nell'ambiente; ma un ponte, per essere un ponte, deve collegare qualcosa efficientemente.
E quindi non esiste una distinzione netta tra arte e tecnica, però a un certo punto una creazione umana si diparte talmente dallo spirito emozionale del creatore, si fa pura macchina, strumento arido, perde il collegamento con l'estetica, con l'emozione, con il sentimento, con la persona dell'artista e del fruitore, e diviene pura tecnica, pura standardizzazione, oggetto freddo e inutile all'anima quanto utilissimo al corpo.
L'arte è solo quella tecnica che continua a legarsi all'animo di chi l'ammira, la vive: come i suoni se sono riuniti da un'anima divengono musica, e se sono lasciati a loro stessi sono puri suoni, se non rumori, così ogni altra materia, se saldamente intrecciata con lo spirito, merita l'altissimo appellativo di arte.
Quando l'oggetto, la creazione non rimane fredda, distante e asettica quando muove, in qualche modo, qualsiasi modo, l'animo umano, quando lo stuzzica, ecco sì!, lo stuzzica, stuzzica questo spirito insoddisfatto, indeciso e dolente dell'uomo, quando stuzzica la serenità dell'animo più nascosto dell'individualità umana, allora è arte, allora s'avvicina alla grande porta dell'arte.



[1] La parola greca 'tecne' indicava l'arte

martedì 23 giugno 2015

CONSIDERAZIONI GENERALI SULLA LETTERATURA

Considerazioni generali sulla letteratura



In questi anni posso affermare di aver sviluppato una vera e propria passione per una di quelle forme d'arte assolutamente particolari, un'arte che crea qualcosa che riesce ad insinuarsi come un fluido in tutta la nostra anima: le parole sono in grado di fluire tra le membra e ogni parola s'afferra ad ogni organo, ad ogni lembo di carne. Un'altra arte, come la pittura, la scultura, la musica, crea impressioni che ci si imprimono nell'anima, ma, per così dire, tali solo impressioni, sono ricordi che la nostra mente deve per l'appunto ricordare. Le parole fanno qualcosa di più particolare.
La musica, quando ascolto della buona musica, musica che mi piace, arriva a me e le mie orecchie l'accolgono, le vibrazioni vivono dentro di me e la mia memoria le abbraccia nel suo vasto ventre. Ecco che mi ricordo le musiche e ogni musica è ricordata attraverso l'idea, l'impressione, l'emozione cui io - o qualcosa dentro di me - l'ho associata!
Un dipinto, una scultura li adoro osservandone ogni dettaglio. Ancora accolgo dentro di me ogni colore, ogni forma, ogni pennellata, ogni levigatura, ogni luce, ogni riflesso. Tutto si lega ad un qualcosa che la mia mente v'ha trovato nascosto, che il mio cervello ha liberamente associato a ciò che ho visto.
Un libro, invece, lo bevo attraverso gli occhi e l'udito insieme: anche quando leggo nella mia mente, nella mia testa la mia voce risuona ed è come se la mia bocca emettesse davvero tutti quei suoni. Le parole non mi arrivano e si legano a qualcosa di mio, ma entrano e pretendono di entrare! Subito saranno rincorse da una mia impressione, dalle mie emozioni, da qualche mia idea, ma sarà, appunto, un rincorrersi, perché davvero le parole scapperanno e risuoneranno ovunque e da nessuna parte nella lettura, evocando immagini fulminee, eppure sempre in ritardo, causando brividi, eppure sempre quando il brivido sarà già passato da sotto il mio sguardo di lettore … Le parole si attaccheranno dentro e diverranno parassiti graditi, quasi come la flora batterica dell'apparato digerente!
Davvero mi riesce difficile chiarire con parole migliori, ma, sebbene io ami sinceramente praticamente tutte le forme d'arte e sebbene io preferisca non fare paragoni tra 'cose' che non sono assolutamente paragonabili, alla letteratura debbo riconoscere un merito tutto particolare, per la sua natura assolutamente straordinaria. Si pensi anche solo ala sua natura: la letteratura è quell'arte che gioca con l'unica cosa che è solo dell'uomo, la parola.
La pittura, la scultura giocano sui colori, sulle forme, su qualcosa che almeno in parte trova le sue radici nella natura. Allo stesso modo la musica è 'l'evoluzione' dei rumori - anche se questa definizione fa inorridire me e spero faccia inorridire chiunque!. La letteratura - che qui vuole avere un significato estremamente ampio e comprendere praticamente tutta la produzione basata sui caratteri di un alfabeto - al contrario viene proprio solo dall'uomo, viene da una delle sue facoltà particolari e discriminanti, da una capacità che fin dall'antichità era ritenuta un miracolo divino: la parola.
Concedo pure che gli animali di una stessa specie possano sviluppare un 'linguaggio' fatto di suoni e gesti, di posizioni e atteggiamenti, tuttavia il linguaggio umano non dovrebbe nemmeno lontanamente essere paragonato a queste 'facoltà' animali: la parola umana è qualcosa che va al di là del mero istinto, dell'utilità materiale per la lotta e la sopravvivenza; nella parola umana sta un mistero che va oltre alla comunicazione di necessità, sta il segreto di un essere, l'uomo, che anche attraverso la parola ha plasmato il mondo e la storia.
Ma sto forse deviando dal titoletto che ho preposto a queste parole, dunque tenterò di riportarmi sulla giusta strada che mi ero imposto d'intraprendere.
Non ho sicuramente la più vasta conoscenza letteraria che un uomo possa sperare di raggiungere in una vita intera, tuttavia trovo giusto che anche io possa provare a esprimere cosa questi anni mi hanno insegnato riguardo alla letteratura e alla produzione letteraria in generale.
Nelle mie modeste letture ho trovato che la letteratura è lo strumento più indiretto per consegnare un messaggio: se una cosa scritta potrebbe sembrarci il modo più oggettivo e rapido per trasmettere una particolare idea, io trovo, piuttosto, che le cose scritte - proprio perché scritte, proprio perché hanno un effetto 'in ritardo', come descritto pocanzi - siano il modo migliore per nascondere qualcosa …
In una pagina di letteratura, sotto i caratteri e gli spazi, sotto le parole e la punteggiatura sta qualcosa che ognuno deve cercare autonomamente: le analisi sono utili per una comprensione strutturale, complessiva, ma per capire un testo bisogna scavarci dentro e, allo stesso tempo bisogna che lasciarsi scavare da tale testo, bisogna permettere che ogni parola proceda nella nostra intimità e bisogna fare propria ogni virgola, ogni puntino!
Nella letteratura, nella lettera, nella parola il mistero dell'arte mi pare più complicato, e anche completo, che in ogni altra forma d'arte: se nella musica si nasconde il sottile mistero dell'aria e del suono, dell'emozione eterea e diafana che penetra l'anima, se la figura conserva un mistero di pulsazioni e di contrasti visivi, di palpitazioni di colore, la parola cela un segreto umano, tutto frutto della magia della ragione umana.

La letteratura mi pare dunque, e questo parere si ritiene modesto e assolutamente soggettivo, una forma d'arte degna di particolare attenzione e cura: per la sua discendenza solo umana essa sembra una creatura delicata e fragile, soggetta, più che le sue sorelle, all'azione brutale di un certo tipo di progresso che mira ad annullare le arti. In un mondo che aspira alla rapidità e all'immediatezza, la letteratura ha poche armi, poche speranze di sopravvivere: la musica potrebbe essere utilizzata come stimolo, come ritmo, come pungolo; le arti d'immagine, com'anche l'architettura, potrebbero essere sfruttate per il loro impatto istantaneo e repentino; ma la letteratura, quest'arte che richiede tempo per 'l'assimilazione', ebbene la letteratura s'impoverisce, si smarrisce e svanisce in una realtà che non si ferma a leggere un buon articolo di giornale, a meditare su una buona pagina di letteratura russa, a dubitare davanti a un buon estratto filosofico novecentesco, a tremare dinanzi alla leggerezza di una poesia romantica, di fronte a un poema epico antico. Il mondo non ha tempo per tutto questo, va troppo veloce, troppo speditamente procede. E allora rimangono quelle nicchie, quei circoli - che circoli non sono affatto - di nostalgici; sorgono nuove idee di letteratura che non deve più far anche riflettere, ma che mira all'intrattenimento - spesso - più gretto e scarso qualitativamente. Ciò è semplicemente, assolutamente triste.
 James Doreh



Estratto da La luce del sole - la 'poetica' dorea [1]

[1] Tale aggettivo è un neologismo di mia invenzione, nato dal nome con cui decisi di firmare il 'Diario del trionfo', ovvero James Doreh.

domenica 21 giugno 2015

EDERA

Mille dita s'arrampicano,
aggrappate all'intonaco secco.
Il vento carezza quelle mani,
si scontrano leggere:
un flebilissimo rumore.
Strappare è inutile,
verrebbe via tutto,
tutto si rovinerebbe:
quelle dita hanno artigli?
Ma perché strappare?

Un taglio alla base, 
un solo colpo,
una piccola lama sottile
e tutto secca.
Il verde vira al giallo,
la via secca nelle foglie:
prova a strappare adesso.

sabato 20 giugno 2015

PIOVE

Piove,
le nuvole pesanti precipitano,
piove,
gli ombrelli sfilano veloci,
piove,

ci sono gocce e … e gocce.

venerdì 19 giugno 2015

L'EDICOLA AL BIVIO SUL SENTIERO

Sono qui,
arrivo qui e mi fermo.
Il sole, alto, picchia sul collo,
l'erba si muove sinuosa
- un alito di vento -
osservo attraverso il ferro:
la ruggine è cresciuta,
s'è moltiplicata e sale.
Le figure si nascondono,
spariscono sotto la polvere,
scivolano via,
scrostate.
I giorni,
le notti,
la neve,
la pioggia,
ormai i santi crollano,
precipitano su fiori di plastica,
tante briciole secche.

Le immagini scompaiono,
rimane un lieve ricordo.

Tu sei scomparsa,

rimane un lieve ricordo.

giovedì 18 giugno 2015

ILLUSIONE

Non so cosa pensare.
Allora non penso:
penso di non pensare,

quindi penso.

mercoledì 17 giugno 2015

ORTA-SAN GIULIO

Speranze di pianti infantili
abbandonate giù dalle scale.
La salita porta a poche stanze,
sempre le stesse,
poche compagne,
sempre le stesse.
Quando sali non sei più di laggiù,
cambi …

Donna, ricordi quando giocavi?
Giocavate a fare la famiglia,
tu facevi sempre la mamma,
immaginavi di avere una casa,
un marito, un lavoro …
figli …

Ora cosa sei?
Non giochi più …

e sei madre.

martedì 16 giugno 2015

PROFUMO

PROFUMO [1]

Rigo un foglio,
sono solo parole a casa;
sfoglio un libro,
vedo segni, non un senso.
Mi scosto i capelli
- non ho davvero voglia -
e …
mi sfiori, delicato,
parliamo con gli altri,
siamo tutti insieme,
si ride, allegri:
siamo così vicini.

Ritorno al foglio,
rivedo il libro.

Mi rimani ancora un po',
un pezzetto di te,
sulla mia mano,
tra le dita,
il tuo profumo.





[1] Davvero mi rimane il profumo di quel suo corpo così bello, così giovane. Ma ovviamente sto immaginando tutto, è tutto nella mia mente, ma è così tanto straordinaria la sensazione che mi è stata concessa.
Un giorno dovrò ammettere al mondo tutto ciò, ma per ora mi concedo di goderne, anche se oltre al piacere, alla gioia, all'emozione mi soffocano anche altre orribili sensazioni: è tutto alquanto ambiguo, tutto mischiato, sia le emozioni buone, sia le emozioni negative …
Ma basta: ringrazio che esista quella creatura tanto soave e, finché dura, mi godo il profumo che mi è rimasto addosso.

SENSAZIONE

Potrei parlarti del ragazzo di cui mi sono innamorato, descrivere il suo bellissimo viso, i suoi modi gentili e la sua simpatia; potrei ricordare quei bei momenti passati insieme, raccontarti una delle tante giornate che abbiamo passato assieme. Mi vengono in mente tante piccole cose, tanti gesti che i molti non notano. Ma non posso. Non posso proprio parlarti di questo ragazzo, perché parlandone gli farei del male, gli farei un torto che non merita - l'amore mio!
Quindi di che cosa posso parlarti? Ti posso parlare di una sensazione …
Ancora non mi ero innamorato, ancora la mia mente non era tutta presa dalle dolci sciocchezze dell'amore ragazzino e il mio cuore non aveva trovato la sua amata ossessione. Passavo i miei giorni nella muffa, a non far niente, a perdere tempo ascoltando musica, guardando qualche film, e spesso ignoravo i miei doveri di studente: la mente non voleva concentrarsi su nulla, solo vagare, indecisa, confusa e stordita.
Certe volte mi perdevo anche in qualche riflessione profonda - ch scemo! - e alla fine mi sentivo un po' come devono sentirsi i filosofi quando completano la loro opera … certe volte mi sedevo e immaginavo altre vite, altre esperienze che avrei potuto, che avrei dovuto vivere e che invece m'ero lasciato indietro, che invece avevo evitato, perduto … certe volte i sogni erano talmente tanto grandiosi che scoppiavo addirittura a ridere per la mia scemenza!
Spesso i momenti da filosofo e quelli da sognatore s'incontravano e si sovrapponevano e nascevano speranze …
Fu in uno di quei momenti. Ero seduto sul letto, stanco per una lunga giornata, ancor più stanco al pensiero di dover passare la serata con la famiglia - era un qualche anniversario dei miei. In casa c'ero solo io e, non so perché - non ricordo nemmeno a cosa stessi pensando nel mio momento da filosofo -, mi accorsi di sentire qualcosa … non era il mio cuore ad aspirare a qualcosa, non era la mia mente a bramare, ma la mia pancia, la mia carne. Dentro di me sentivo questa voglia, una voglia tutta bestiale, tutta fisica.
Avevo bisogno sentire tutto il mio corpo, di sentirmi toccato e di toccare: le mie dita fremevano sopra un corpo che non c'era, il mio petto tremava per un respiro sul collo che mancava e la mente era annebbiata, era come andata in corto circuito: infinite informazioni  e infiniti pensieri s'affollavano, ma ognuno sconnesso, ognuno assurdo, ognuno inutile! Il mio cuore taceva, non osava palpitare nel petto, come se il sangue si muovesse nel corpo da solo, senza che lui facesse più sforzi.
In bocca la saliva aumentava e m'imbastava la lingua; avevo bisogno baciare una bocca che non s'avvicinava alle mie labbra, che non poteva farlo perché non esisteva …
E la pancia spingeva quella voglia, quella voglia si faceva sempre più violenta, sempre più prepotente, sempre più crudele.
Non so quanto durò, ma durò troppo …
Alla fine il mio cuore riprese a battere e la mia mente ricominciò a pensare. La pancia era di nuovo muta … Il respiro tornò piano ad essere calmo.
Ed eccola! La sensazione!
In gola saliva un gusto strano, un sapore nauseante, vomitevole. Le labbra si piegavano in una smorfia e il petto doleva per la contrazione di tutti i muscoli.
Lo schifo.
Mi sentivo lurido, putrido, schifoso, immerdato della sporcizia più orribile, una carogna in decomposizione che nemmeno gli avvoltoi hanno il coraggio di avvicinare. Saliva dalla gola quella sensazione, riempiva la bocca ed era … schifo …
Cosa avevo fatto? Quale orribile azione? Di che colpa m'ero macchiato?
Lo schifo.


Oggi quella sensazione non c'è più …

lunedì 15 giugno 2015

CARO AMICO

È un dono il silenzio,
quando i pensieri tacciono,
quando le preoccupazioni si dimenticano.
È nel silenzio, 
nella solitudine
quando gli altri si allontanano:
qualcosa emerge,
qualcosa di nuovo,
una voce? Un consiglio!
Parla con affetto,
ma è difficile da ascoltare,
dice cose troppo scomode,
e il consiglio si fa pesante, 
ingombrante e sgradito.
Cosa fare?

Troppo spesso tornano i pensieri,
si ripresentano le preoccupazioni;
il rumore soffoca il consiglio,
vivi come vivevi ....
ma vivi?

domenica 14 giugno 2015

IL TUO SORRISO

Il sole era sempre sul tuo viso,
un sorriso,
ecco quel che sei per tutti,
un sorriso,
la gioia di darti,
di ascoltare,
di aiutare,
di pensare,
ecco cosa sei,
ecco cosa sei stato.

Oggi hai un bel sorriso,
ma cos'hai?
Ecco cosa sei,
ora
un sorriso,
non la gioia di vivere,
non la gioia di incontrare,
non la gioia di prima,
ecco cosa sei,
ecco che non sei più.

Non hai che dubbi,
non hai che lacrime,
non hai che domande.
Hai conferme,
hai sorrisi e fazzoletti,
hai risposte
per gli altri.
Nessuno ti vede,
nessuno ti vede davvero,
vedono il tuo sorriso.

Io vedo quel sorriso,
ancora non vedo altro.
Forse un'ombra,
forse una sbavatura leggera,
forse una piccola macchiolina,
ma ancora non vedo altro.
Solo quel dannatissimo,
maledettissimo,
inconcepibile
sorriso.

Cosa ho visto?
Cosa vedevo?
Io quel sorriso lo vedevo,
non m'ingannavo.
E adesso non ho nulla,
non dico nulla,
non c'è nulla da dire.
Cerco una minima,
miserrima parola da dirti.
Perché?

Per rivedere il tuo sorriso.

Sarai ancora quel sorriso,
tornerà il sole,
ecco quel che sarai ancora,
quel sorriso,
senza ombre,
la gioia di darti.
Ecco cosa sei stato,
ecco cosa tonerai ad essere:
troverò una parola,
la troverò!

sabato 13 giugno 2015

IO CI CREDO

Sento parole
disperate:
amici piangono,
muoiono dentro,
sorridono,
urlano il loro dolore,
mentre sussurrano
parole tremanti.

Cercano parole
buone:
un consiglio,
qualcuno che li guidi,
qualcuno che li aiuti
- togliere questo peso,
finalmente! -
Ma cosa posso dire?

Sembra un disastro,
cosa potrebbe esserci,
cosa possiamo aspettarci,
perché dovrei consolarli?
Prima s'accorgono
prima li abbraccerà
la rassegnazione.

Cosa dici?
Dico sciocchezze,
davvero,
non può essere così!
Cosa posso dire?!
Dico che qualcosa c'è,
per loro,
foss'anche solo il mio sorriso.

Io ci credo
(a volte).

mercoledì 10 giugno 2015

SCRITTE L'8 GIUGNO

Comunità

Concentrati in un buco,
costretti l'uno sull'altro,
pigiati insieme,
mille elefanti in uno sgabuzzino
- e come briciole nel vuoto.

(Senza titolo)

Andiamo?
No,
io andrò,
vedrò e ricorderò;
tu continua,
non venire:
ormai che senso avrebbe?

martedì 9 giugno 2015

CONSACRAZIONE NELLA NOTTE - incipit (?)

Inspirò profondamente osservando la tela, socchiudendo gli occhi, come se da un momento all'altro potesse scoppiare in lacrime: inspirò ancora per tranquillizzarsi, per rilassarsi; tentava di donare al suo animo un po' di pace, un po' di serenità. Quella sottile linea di occhio bianca si faceva molla e umidiccia, le lacrime premevano, scongiuravano di poter uscire, di poter scendere in un solo istante lungo la guancia, solcare la pelle delicata fino a staccarsene per precipitare nel vuoto e perdersi, perdersi sul maglioncino, o arrivare fino a terra, chissà.
Inspirò. Tutti coloro che tentano di controllare il pianto inspirano, e aprono i loro polmoni, li espandono e pensano che quel po' d'aria in più del solito li possa salvare, li possa aiutare, ma poi si espira, si vomita al mondo tutta l'aria faticosamente raccolta, e forse ci si illude di star spingendo fuori di sé tutto il proprio veleno, tutto il proprio male, tutte le proprie ansie: tutto rimane dentro, tutto non cambia, tutto è come sempre.
Osò riaprire gli occhi, sollevare le palpebre e concedersi ancora quella vista: subito non vide nulla, solo una macchia sfocata di colori indefiniti, filtrati attraverso lacrime 'inesplose', osservati attraverso una lente liquida instabile e precaria.
Strizzò gli occhi e spinse via le lacrime, come fosse un tergicristallo dotato di una delicatezza tutta nuova, tutta straordinaria: ecco le forme, ecco i colori con un senso, ecco le pennellate, ecco l'artista che emerge nel dipinto con la sua personalità, con quello che ha di più intimo, di più segreto; è qualcosa che va oltre il privato, che si spinge in profondità …
«Tutto ok?» domandò una voce dietro di lui, una voce gentile ed educata. Si asciugò gli occhi con il dorso delle mani, in un gesto di ordinaria semplicità, tentando di non farsi notare da chiunque fosse dietro di lui e gli stesse parlando. Aveva parlato un uomo, una voce calda e rassicurante: sembrò scortese non rispondere.
«Sì … Ehm, certo! Grazie! Molto gentile» disse voltandosi: si spalmò un sorriso cortese - troppo cortese - fingendosi sereno.
«Ah bene» gli rispondeva un sorriso allegro, sincero. Era un uomo comune: alto come una qualsiasi persona normale, robusto come una qualsiasi persona normale, vestito come una qualsiasi persona normale, gentile come una quals.. no, gentile e basta.
«Arrivederci!» tagliò corto Gabriele cercando una via per allontanarsi con la testa bassa, cercando di nascondere il proprio volto.
«Arrivederci!» continuò a sorridere l'altro, scostandosi per lasciar passare il povero imbarazzato, senza mai smettere di sorridere.
Corse in fretta fuori, in cerca di aria, di libertà.
Che sollievo il gelo d'inverno, l'atmosfera ghiacciata che ti abbraccia, che ti invade ad ogni respiro, che ti entra dentro, e ti scava i polmoni, ti congela tutto ciò che hai dentro, solo per un attimo - ovviamente - ma in quell'attimo c'è tutto un mondo di sensazioni, sensazioni meravigliose e straordinarie, sublimi …
"Uh … meglio … Ah, che fatica: non cedere, non cedere, non cedere! Cosa dice Agata quando c'ha l'ansia?! 'Respira' … Sì! Fanculo! Come porca miseria faccio a respirare se riesco a malapena a reggermi in piedi, se a stento riesco a controllare il mio equilibrio, posso sapere dove dovrei trovare la forza per impormi di respirare?! Che consigli del cavolo! Uh … ma va meglio adesso: forse ti dicono 'respira' solo perché  così uno si incazza e trova il modo per sfogarsi attraverso questa incazzatura! … Uh … com'è bella questa serata! Ma non ho salutato Erica: mica che poi s'offende; meglio rientrare almeno per dirle che me ne vado"

Fece per muoversi, ma poi si fermò: il lampione vicino a lui all'improvviso si spense e lasciò nell'oscurità quell'angolo di marciapiede: ora si vedeva tutta la strada, tutta la processione di lampioni tutti uguali, tutti con la stessa luce arancione, tutti con lo stesso circolo luminoso ai propri piedi; sul marciapiede qui e là una cartaccia consumata dai giorni all'aria aperta  ogni tanto si trascinava dall'aria spostata da una macchina solitaria con le luci spente.

domenica 7 giugno 2015

MARE, SOTTO LE STELLE

La notte è luminosa,
splende con le sue tenebre,
le sorelle vegliano dall'alto.
Si piange, tra le acque,
si versano lacrime di madre e fratello,
soffre il ricordo di un orrore passato
soffre il dolore di mille fatiche
soffre la speranza, sottile …

Odore di carne, feci e brezza,
pura e leggera, fredda e ghiacciata,
amica e nemica.
Dove andiamo? Non c'è via,
mille vie, mille e mille morti,
alcuni dicono fortuna, altri
Dio, la provvidenza.
Bisbigli una preghiera,
un'ultima speranza:

lanciala alle stelle.

PAROLE SUL BELLO - l'arte

OSSERVA DALL'ALTO
È eterna,
con i giorni
con i mesi
con gli anni
attraverso i secoli
scorre con il tempo
osserva dall'alto
le vite degli uomini passano
rovinano e corrompono:
sono in grado di interrompere l'eternità.

GIU' DALL'ELICONA
Pregammo più e più volte,
invocammo il loro nome.
Giunsero sagge e innamorate.

Si alza con la sua bellezza,
si staglia contro un cielo sereno,
il sole carezza delicato -
ha capito ch'è fragile -
sguardi ammirati,
voci confuse,
emozioni antiche,
sempre loro,
sempre le stesse,
ora come allora.

E POI?
C'è così tanto da dire
tante belle parole,
e poi?

CONTRADDIZIONE[1]
Non c'è un senso,
non è qualcosa di chiaro,
qualcuno trova le leggi,
ricercano i numeri,
altri non sanno ch'esistano,
eppure è così,
è bellezza,
perfezione,
pace e tragedia.
Il senso allora c'è,
no, non c'è:
un senso insensato.



[1] Questa è l'esperienza dell'arte in generale, il senso di contraddizione e di mancanza di senso. Quell'aspetto così particolare che troppo spesso ci convince a dire che l'arte è sia perfezione di calcolo, sia impeto insensato. Personalmente non credo che l'arte sia questa e l'altra cosa, piuttosto l'arte non è nessuna delle due: l'arte è superiore alle definizioni della ragione umana, scavalca, però, anche le comuni emozioni, riesce ad oltrepassare entrambi i confini producendo nell'uomo alcune delle sensazioni più importanti e significative nella vita di chiunque.

martedì 2 giugno 2015

ATTRAVERSARE (1)

Nelle giornate che precedono l'inizio della primavera il sole, quando c'è, è ben caldo ed è davvero un piacere accogliere i vivificanti raggi di luce sulle guance pallide; al contrario non si riesce a sopravvivere all'ombra senza un buon maglioncino pesante sulle spalle. Diventa, allora, estremamente noioso dover uscire di casa sapendo che presto bisognerà un tira e molla con i vestiti, metti su, togli qui, infila il maglione, sfila la sciarpa, eccetera, ma non si può fare altrimenti: ogni tanto vedi per strada quelli coraggiosi che camminano in maniche corte, incuranti del gelo che domina all'ombra, o i folli, che si ostinano a spostarsi avvolti in pesantissimi giacconi invernali, con il pelo lungo il cappuccio e la fodera di pile. Ma, grazie a Dio, la stragrande maggioranza della gente è piuttosto sana di mente, almeno per quanto riguarda questo: si va in giro con una pesante felpa e un giubottino leggero e si fa un continuo gioco di mettere e togliere incessantemente.
Anna era una di queste persone 'normali', che si accorgono della follia del tempo e che scelgono di assecondarlo, visto che, d'altra parte, non si può pretendere che sia lui a cambiare in base al nostro abbigliamento!
Mentre camminava lungo il parco si godeva il tepore del tardo pomeriggio: il selciato iniziava a rilasciare il calore che s'era accumulato dalla mattina e i colori del cielo cominciavano a virare verso i toni aranciati del tramonto; talvolta un alito di vento gelido si scostava dalle mura del castello e si spostava per il viale tra gli alberi pronti a fiorire. Allora un brivido piacevolissimo le carezzava la nuca e la scoteva tutta, lasciandole una goduriosa sensazione lungo le braccia e la schiena.
Qualche bambino si rincorreva giù dal bastione nel parchetto e le sue grida si levavano alte tra le fronde dei pini e i rami ingemmati; talvolta s'udiva anche il richiamo severo di una madre, o di una nonna, che reclamava il ritorno all'ordine perché ormai era ora di tornare a casa. Da oltre il castello arrivava, di lontano, il rumore delle macchine che curvavano attorno alla grande piazza invasa d'automobili parcheggiate; un rumore davvero remoto, quasi il rumore del mare quando ci si sveglia la mattina in vacanza e le veneziane sono chiuse nascondendo la vista della vasta distesa azzurra.
Ad Anna piaceva camminare così, senza preoccupazioni di alcun tipo, immersa nella semplice contemplazione di ciò che la circondava. Era meraviglioso osservare i rami che iniziavano a prepararsi ad accogliere il trionfo di colore che cova nelle gemme, meraviglioso allungare un po' il passo, quasi fare un piccolo saltello per evitare di calpestare la prima 'autostrada' di formichine che hanno il coraggio di ricominciare la loro ricerca, meraviglioso dover passare da una parte all'altra del viale per evitare di scontrarsi contro le altre persone che magari stanno portando a spasso il cane, che tornano a casa o da una commissione in centro-città. Era in quei piccoli quadretti di vita normale, monotona che Anna trovava la bellezza, l'emozione: non erano le stranezze, le curiosità, le particolarità a farle battere il cuore, ma quella routine anonima e cui la maggior parte della gente è indifferente. Non l'unicità di un fatto straorinario e irripetibile, ma lo schema con cui i sampietrini si dispongono ordinatamente, creando come tante scaglie, lungo il largo viale del parco. Anna non chiedeva che questo, e camminando non pensava, osservava soltanto e godeva, si rasserenava, si tranquillizzava, trovava un po' di pace.
«Pronto? - rispose al telefono - Sì, sono io, dica pure … ah ecco, sì sono io che ho chiamato: grazie! Se passassi adesso? Sono al castello e in cinque minuti al massimo dovrei essere lì! … Perfetto, allora arrivo: a tra poco!»
Riponendo il cellulare in tasca, s'avviò verso una delle uscite dal parco, una di quelle 'rampe' che scendono dai bastioni. Il suo passo era ora meno rilassato di prima, ma non era, sicuramente teso: era felice. Allegramente, con un sorriso stampato in viso - forse un po' folle! - camminava giù dalle mura  e s'infilava tra alti palazzi costruiti una ventina d'anni prima. Alla pace del 'paesaggio' del parco era seguita ora l'euforia per un momento piacevole che s'avvicinava, un altro di quei piccoli piaceri che coltivava in segreto - e in effetti era ben consapevole del fatto che qualcuno avrebbe trovato modo di prenderla in giro per quelle sue passioni innocenti, quelle sue passioni tanto semplici da apparire assurde ad un mondo che insegna solo a perseguire la stranezza più manifesta, costringendo poi ad emarginare persone che non hanno affatto nulla di eccentrico nei loro modi!
In quelle vie di macchine ne passavano ben poche e anche le persone sembravano non passare troppo spesso sopra quei marciapiedi. Una vecchietta era immobile dietro una finestra e osservava la via con uno sguardo vuoto e fisso. I capelli erano un groviglio di fil di ferro, bianchi e sottili come paglia; le rughe le cascavano come pelle morta, svuotata, molla come gelatina, quasi del gorgonzola lasciato fuori troppo a lungo che inizia a disfarsi verso il piatto; gli occhi facevano capolino sotto occhiali spessi e pesati che le gravavano sul naso affilato.
"Povera donna …" pensò Anna accorgendosi di quella vecchietta, rinunciando al suo sorriso eccitato. Ogni volta che vedeva qualcuno diverso, qualcuno isolato, un abbandonato, un inetto, un solo il suo cuore le si stringeva nel petto e provava un sincero senso di delusione: non era un'ipocrita, ma nel vedere quella desolazione la opprimeva davvero una sensazione di inadeguatezza, quasi d'inutilità. S'accorgeva che davanti a quelle cose non faceva nulla, rimaneva immobile e inattiva, si limitava ad osservare e dispiacersi, ma non reagiva.
Il suo passo allora rallentò e presto si fermò in mezzo al marciapiede deserto, all'ombra di un alto condominio. Lo sguardo lo aveva fissato, sconvolto, su un sassolino minuscolo incastrato nell'asfalto del marciapiede e la mente s'era paralizzata contemporaneamente al corpo. Non v'era pensiero in quel momento che l'attraversasse. Era persa. Shoccata. Silente.
Il cellulare riprese a squillare nella tasca e Anna ci mise molto tempo per accorgersi di quella fastidiosa musichetta elettronica. Quando finalmente le note artificiali la distolsero dalla sua immobilità rispose al telefono: «Pron - disse con voce strozzata - pro-nto? - scandì dopo essersi schiarita la voce - Sì, ciao! Scusa, sto andando in libreria a ritirare il libro che avevo ordinato … sì … sì … poi passo, sta' tranquilla: tra una mezzoretta passo da te. A dopo! Ciao»

Riprese a camminare, non ricordandosi più perché aveva smesso di farlo.