martedì 5 agosto 2014

3^ LETTERA A G.

20 luglio ----
Troppo distante G.
dopo nemmeno ventiquattro ore sono di nuovo qui con la penna in mano e indirizzo queste pagine a te. Scrivo di nuovo solo perché purtroppo non mi è possibile impedire che tu legga tutto ciò che ti ho scritto nella precedente lettera. In effetti vorrei che tutte quelle parole non te le abbia mai spedite! Non perché dicano il falso, né perché io tema ciò che io ho affidato a quei segni neri, ma solamente e semplicemente perché non mi sembra giusto caricarti di tutti quei miei pensieri: io penso di averti finora sfruttato, abusato, ritenendoti un amico io ti abbia sovraccaricato di miei sfoghi spesso infantili. E questo mi dispiace. Semplicemente mi fa sorgere un pianto intimo, nel cuore e mi dispiace.
Ma ora sto, nel tentativo di cancellare i precedenti pesi, aggiungendo ancora carico su di te e – nonostante sia poco sopra – ti prego di dimenticarti di tutto e di pensare che io sto bene, di immaginarmi sereno e in pace, stravaccato sul letto a leggere qualcosa o spaparanzato al sole montano.
Mi piacerebbe sapere come vanno a te queste vacanze.
Ho appena immaginato come tu ti stia divertendo in qualche spiaggia con i tuoi amici e come la sera vi trasportiate di discoteca in discoteca a bere e divertirsi, a sentir remix di ogni genere e a farvi qualche bella ragazza che probabilmente non rivedrete mai più. AHAHAH! Vedo già: tu con il tuo cappellino scemo e gli occhiali da sole anche se ormai la notte è scesa da un pezzo! AHAHAH!

Ma io, anche dopo questa breve parentesi leggera, non riesco a non tornare il solito smielato e proprio questa tua immagine mi stupisce e mi sconvolge: come è mai possibile che io veda in te una persona a me così vicina e cara? Tu sei diverso da me, in tutto e per tutto, non c’è nulla di me che si possa ritrovare in te, nulla che ci possa accomunare, che ci possa unire, eppure …
Eppure so che sei l’unico cui io abbia detto certe cose, l’unico cui io abbia confidato certi pensieri, l’unico cui io abbia affidato certi miei segreti. E le nostre conversazioni, seppure rare, non sono mai, inspiegabilmente, su una ragazza o il tempo, no!, perché se anche il discorso inizi da lì poi si finisce sempre su altro, su i massimi sistemi, su questioni enormi, giganti, ‘filosofiche’ – come possono essere ‘filosofi’ dei ragazzi ancora troppo acerbi forse, come noi –
Le nostre parole non rimangono mai infime e vuote, discorsi banali e monotoni, ma in qualche modo – e lo dico con un certo orgoglio di me e di te – le nostre parole si elevano sempre. Ma questo è anche triste un poco. Sì, perché ogni nostra conversazione si compone di domande complesse e intime, e queste, spesso, non appena vengono pronunciate, diventano dolorose; non so come spiegarmi ma credo che tu abbia capito cosa intendevo dire: ogni volta che parliamo in un qualche modo, nel consolarci – soprattutto tu a consolare me –, ci rattristiamo, ma questa tristezza, una volta sopraggiunta, inspiegabilmente non ha bisogno di una seconda consolazione, una nuova comprensione, no!, rimane di per sé già consolata e anche – non so se è giusto dirlo, ma mi viene in mente solo questo modo – soddisfatta.

Ora mi impegno e torno ‘frivolo’, ritorno a occuparmi non giù di questioni elevate, ma di fatti più ‘terreni’.
Non so se ti dissi già, qualche altra volta, del mio desiderio, un giorno, di riuscire a comporre un libro. Questo è un altro dei miei più remoti desideri e quindi ho iniziato a scrivere, proprio qualche giorno fa, una sorta di racconto lungo, di romanzo breve.
Ho immaginato – poiché qualcuno disse che i giovani  scrivono solo di quello che conoscono direttamente – una storia d’amore tra due ragazzi che nasce in un liceo.
Ora che ci penso in realtà questo non è affatto qualcosa che conosco, visto che non ho mai ‘avuto una storia’ con qualcuno, ma tralasciamo.
Dicevo.
Una storia d’amore. L’idea mi è venuta – chissà poi perché – mentre ascoltavo una canzone e a poco a poco le immagini di questa storia si sono presentate da sole: ‘jeans aderenti’. Questo il titolo. So che molti consigliano di mettere il titolo alla fine dell’elaborazione – lo dicono anche per i temi – ma io credo – e lo faccio anche nei temi a scuola – che, se uno mette prima un titolo, poi sa di cosa vuole parlare e non rischia di perdersi immediatamente in storie secondarie e assolutamente incoerenti! Certo, se dal progetto si ‘disvia’, ma alla fine ci si accorge di aver creato qualcosa di notevole e non assurdo, be’ allora si torna all’inizio e si cancella il primo titolo; ma perché devo farmi problemi se è nato prima il titolo del racconto?!
Comunque.
In questi giorni sto lavorandoci su, ma penso che sarà un duro lavoro soprattutto perché ho ancora da dedicare parecchio tempo a fare compiti su compiti!
Ma sono determinato: la storia mi piace e mi ispira, è quello che in un certo senso ho sognato anche io e quindi forse riuscirò anche a concludere qualcosa, per una volta!
Ma ti farò di certo sapere come procede la stesura e appena potrò ti invierò qualcosa.
Ti abbraccio.

J.

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