20 luglio ----
Troppo distante
G.
dopo nemmeno
ventiquattro ore sono di nuovo qui con la penna in mano e indirizzo queste
pagine a te. Scrivo di nuovo solo perché purtroppo non mi è possibile impedire
che tu legga tutto ciò che ti ho scritto nella precedente lettera. In effetti
vorrei che tutte quelle parole non te le abbia mai spedite! Non perché dicano
il falso, né perché io tema ciò che io ho affidato a quei segni neri, ma
solamente e semplicemente perché non mi sembra giusto caricarti di tutti quei
miei pensieri: io penso di averti finora sfruttato, abusato, ritenendoti un
amico io ti abbia sovraccaricato di miei sfoghi spesso infantili. E questo mi
dispiace. Semplicemente mi fa sorgere un pianto intimo, nel cuore e mi
dispiace.
Ma ora sto, nel
tentativo di cancellare i precedenti pesi, aggiungendo ancora carico su di te e
– nonostante sia poco sopra – ti prego di dimenticarti di tutto e di pensare
che io sto bene, di immaginarmi sereno e in pace, stravaccato sul letto a
leggere qualcosa o spaparanzato al sole montano.
Mi piacerebbe
sapere come vanno a te queste vacanze.
Ho appena
immaginato come tu ti stia divertendo in qualche spiaggia con i tuoi amici e
come la sera vi trasportiate di discoteca in discoteca a bere e divertirsi, a sentir
remix di ogni genere e a farvi qualche bella ragazza che probabilmente non
rivedrete mai più. AHAHAH! Vedo già: tu con il tuo cappellino scemo e gli
occhiali da sole anche se ormai la notte è scesa da un pezzo! AHAHAH!
Ma io, anche
dopo questa breve parentesi leggera, non riesco a non tornare il solito
smielato e proprio questa tua immagine mi stupisce e mi sconvolge: come è mai
possibile che io veda in te una persona a me così vicina e cara? Tu sei diverso
da me, in tutto e per tutto, non c’è nulla di me che si possa ritrovare in te,
nulla che ci possa accomunare, che ci possa unire, eppure …
Eppure so che
sei l’unico cui io abbia detto certe cose, l’unico cui io abbia confidato certi
pensieri, l’unico cui io abbia affidato certi miei segreti. E le nostre
conversazioni, seppure rare, non sono mai, inspiegabilmente, su una ragazza o
il tempo, no!, perché se anche il discorso inizi da lì poi si finisce sempre su
altro, su i massimi sistemi, su questioni enormi, giganti, ‘filosofiche’ – come
possono essere ‘filosofi’ dei ragazzi ancora troppo acerbi forse, come noi –
Le nostre parole
non rimangono mai infime e vuote, discorsi banali e monotoni, ma in qualche
modo – e lo dico con un certo orgoglio di me e di te – le nostre parole si
elevano sempre. Ma questo è anche triste un poco. Sì, perché ogni nostra
conversazione si compone di domande complesse e intime, e queste, spesso, non
appena vengono pronunciate, diventano dolorose; non so come spiegarmi ma credo
che tu abbia capito cosa intendevo dire: ogni volta che parliamo in un qualche
modo, nel consolarci – soprattutto tu a consolare me –, ci rattristiamo, ma
questa tristezza, una volta sopraggiunta, inspiegabilmente non ha bisogno di
una seconda consolazione, una nuova comprensione, no!, rimane di per sé già
consolata e anche – non so se è giusto dirlo, ma mi viene in mente solo questo
modo – soddisfatta.
Ora mi impegno e
torno ‘frivolo’, ritorno a occuparmi non giù di questioni elevate, ma di fatti
più ‘terreni’.
Non so se ti
dissi già, qualche altra volta, del mio desiderio, un giorno, di riuscire a
comporre un libro. Questo è un altro dei miei più remoti desideri e quindi ho
iniziato a scrivere, proprio qualche giorno fa, una sorta di racconto lungo, di
romanzo breve.
Ho immaginato –
poiché qualcuno disse che i giovani
scrivono solo di quello che conoscono direttamente – una storia d’amore
tra due ragazzi che nasce in un liceo.
Ora che ci penso
in realtà questo non è affatto qualcosa che conosco, visto che non ho mai
‘avuto una storia’ con qualcuno, ma tralasciamo.
Dicevo.
Una storia
d’amore. L’idea mi è venuta – chissà poi perché – mentre ascoltavo una canzone
e a poco a poco le immagini di questa storia si sono presentate da sole: ‘jeans
aderenti’. Questo il titolo. So che molti consigliano di mettere il titolo alla
fine dell’elaborazione – lo dicono anche per i temi – ma io credo – e lo faccio
anche nei temi a scuola – che, se uno mette prima un titolo, poi sa di cosa
vuole parlare e non rischia di perdersi immediatamente in storie secondarie e
assolutamente incoerenti! Certo, se dal progetto si ‘disvia’, ma alla fine ci
si accorge di aver creato qualcosa di notevole e non assurdo, be’ allora si
torna all’inizio e si cancella il primo titolo; ma perché devo farmi problemi
se è nato prima il titolo del racconto?!
Comunque.
In questi giorni
sto lavorandoci su, ma penso che sarà un duro lavoro soprattutto perché ho
ancora da dedicare parecchio tempo a fare compiti su compiti!
Ma sono
determinato: la storia mi piace e mi ispira, è quello che in un certo senso ho
sognato anche io e quindi forse riuscirò anche a concludere qualcosa, per una
volta!
Ma ti farò di
certo sapere come procede la stesura e appena potrò ti invierò qualcosa.
Ti abbraccio.
J.
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