domenica 25 gennaio 2015

LUI (1)

Ho conosciuto qualcuno che mi dà qualcosa non rendendosene nemmeno conto: è giovane, m'insegna cose che nemmeno sa di conoscere.

All'alba guardammo verso oriente e ci godemmo lo spettacolo del sole nascente, che s'alza da oltre l'orizzonte e pare gonfiarsi, prendendo a poco a poco la sua forma, prima schiacciato e poi sempre più tondo, sempre più luminoso, sempre più caldo. E quando i suoi raggi ci toccarono le guance il fresco della notte ci lasciò, il calore pungeva come uno spillo, lasciando quella sensazione tra il dolore e il piacere, facendoci invocare che il corso della giornata s'interrompesse perché quel momento potesse non finire!
Mi teneva vicino, con il suo corpo giovane e magro, alto, slanciato  e atletico: la sua pelle l'avevo sempre amata, fin dalla prima volta in cui avevo potuto sfiorare quelle membra. Seduti uno a fianco dell'altro, lasciavamo penzolare le nostre gambe giù dal tavolo della terrazza, io dondolavo le gambe incrociate, mentre nascondevo le mie mani sotto le cosce; lui stava a gambe divaricate, penzoloni nel vuoto, appoggiandosi mollemente indietro sul tavolo.
Con i nostri occhi stanchi scrutavamo lo spettacolo: sorridevo un poco, forse troppo innocente in quel momento. Lui era serio e i suoi occhi erano fissi e attenti, quasi severi nell'assaporare ogni attimo.
Il sole sorse nel silenzio, iniziò a prendere velocità attraverso il cielo via via più chiaro, a poco a poco sempre meno roseo.
Udimmo un gabbiano gridare per la rena e quel suono mi svegliò, mi distolse dalla mi contemplazione. Mi voltai a guardarlo e mi sentii ancora più vicino a lui quando vidi i suoi capelli lisci, il suo ciuffo biondo scuro accarezzato dal sole, quando mi persi nel suo volto e mi incantai davanti ai suoi occhi, smarrito in quello sguardo così consapevole e insieme ingenuo, così maturo e insieme così giovane e fanciullo. Non mi guardava, ancora preso a osservare il sole prima che questo diventasse troppo violento perché lo si potesse guardare.
Il suo corpo magro, ma forte, fremeva sotto quella bianca maglietta a maniche corte, e all'inizio credei fosse vento a muoverla, ma minuto dopo minuto cresceva dentro di me la convinzione che quel muovere era proprio lui a causarlo, con la sua vita agile e allegra, pronta ad affrontare ogni giorno con una forza che a me mancava da anni, una forza che riscoprivo un poco solo quando ero con lui, solo quando mi era concesso di averlo tutto per me …
«Ehi! … Hai visto che bello?» si era accorto di me, che lo stavo guardando; sorrideva anche lui, più giovane di me, con quel sorriso che qualcuno definisce 'paterno', pieno di quell'affetto che ti circonda e ti abbraccia, come una coperta in una sera d'inverno, come quella sensazione che si ha quando, con i piedi gelati, si entra in un letto al caldo …
Non risposi: guardavo quel volto così strano, che non mi era mai parso 'bello', ma che mi aveva sempre attratto, sempre chiamato a sé con quella forza strana e innaturale. C'era qualcosa di davvero strano, di davvero particolare in quel viso: non erano i miei occhi a dirmelo, ma un'altra parte di me, un'altra mia facoltà, cui non so dare un nome, cui non saprei dare una definizione; so solo che guardavo quel volto magro ma delicato, quel naso, quella bocca, quel mento, quegli occhi e non potevo non continuare a farlo, non potevo non gioire di quella visione, non potevo fare nulla se non quello che facevo. Non risposi.
«Ehi! … ?» ripeté lui: con crescente curiosità la sua espressione si era mutata in un interrogativo affettuoso e, per così dire, preoccupato. Il sorriso rimaneva impresso su quel volto, ma nello sguardo cresceva l'attenzione a me, cresceva la dolcezza e la delicatezza con cui mi porgeva quel saluto.
«È bellissimo!» mi disse ancora, cercando di trovare il modo di distogliermi da quel mio stato che forse non comprendeva. In lui, nella sua voce c'era gioia e pace, quel sentimento tutto particolare che è il segreto della giovinezza, ché se tutti conoscessero si rimarrebbe eternamente fanciulli, a dispetto delle rughe e del tempo.
«È vero …  - ebbi finalmente la forza di dire - è bellissimo: è bellissimo vedere l'alba da quassù, bellissimo aver passato una notte serena a ridere e scherzare, a parlare di cose sceme e di cose che ora sono lontane, di persone che ora sono lontane, bellissimo è aver cenato con una bella pastasciutta cucinata grazie a un miracolo (visto che non so come sia stato possibile scolare la pasta senza scolapasta e solo due forchette di plastica!), è bellissima questa nostra 'vacanza' che ci siamo concessi, senza dire nulla a nessuno, scegliendo semplicemente di salire in macchina e dire agli altri che stavamo andando a trovare amici, è bellissimo essere con te, qui, da soli, seduti vicini, con la tua gamba magra che sfiora il mio ginocchio, con la tua maglietta leggera troppo grande per te, con i miei capelli troppo lunghi che ancora non decido di tagliare … è bellissimo»

Nel suo sguardo continuava quel sorriso affettuoso, come se labbra e occhi fossero solo parti di un insieme, come se quell'insieme fosse l'amore fatto carne. Mi ascoltava, lui giovane: non importava tutto quello che c'era stato prima, quello che sarebbe venuto dopo, quello che proprio in quel momento accadeva a casa, che dicevano gli amici, che pensavano le famiglie, tutto si concentrava in quel terrazzino baciato da un sole ormai sorto, tutto si realizzava in noi due, seduti vicini, felici per il solo fatto di essere lì, per il solo fatto che anche quel giorno avesse avuto la sua alba.

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