Sarò la causa
della mia rovina. Mentre tento di decidermi ad abbandonare i miei sogni mi
coccolo in essi, accendo le casse e ascolto, cantando, tutte le canzoni, tutti
gli intermezzi, mi recito interi spettacoli, e gioisco, mi compiaccio di me, mi
immergo in questi miei piaceri, consapevole di rendermi soltanto più triste!
Più mi concedo questi piccoli piaceri (che invero sono immensi e immani!) e più
mi riuscirà difficile dire stop a tutto questo, più mi riuscirà difficile
abbandonare i sogni dolci di spettacolo.
Eppure il
richiamo del palcoscenico – anche per la mia personale gloria – è troppo forte,
violento! Io voglio la fama, ma voglio anche offrirmi come un agnello
sacrificale per il benessere di tutti: voglio essere la visione catartica del
teatro di cui parlava Aristotele, voglio che le persone vedendomi si
emozionino, riflettano in qualche modo, si divertano anche (perché no?!).
E allora
proseguo in queste mie recite malate, queste mie esibizioni private, questi
miei spettacoli intimi, ma proseguo nell’aggravare la mia condizione: come una
persona che soffre per genetica di colesterolo alto e non cessi di concedersi i
salumi, il burro, eccetera!
Sto diventando
un monomaniaco, un ossessionato, un pazzo!
Cosa faro? Come
posso guarire io da questa patologia? Come posso affrontare io questi sintomi
così evidenti?
E dovrei
parlarne, forse, sicuramente. Ma io non ho con chi parlare, non perché non
conosca nessuno, ma perché è impossibile parlarne: sogno di parlare davanti a
centinaia di persone e non riesco a parlare a una. Strano?! No!
Io parlerei di
un me diverso, sarei qualcun altro, nessuno dovrebbe più accorgersi di chi è
dentro quel costume! Io parlerei al mondo di un me estraneo a me, di un me che
io ho SCELTO di accogliere dentro di me solo per la durata della messa in
scena.
Oh, deliro!
È delirio o
realtà?
Mi sembra di
avere letto queste ultime quattro parole in Dostoevskij … sì le ho lette lì,
più o meno sono queste. Ma anche se non sono le esatte parole sono l’esatto
stato in cui mi ritrovo!
Ah!
Oh!
Voglio solo
essere in grado di spegnere le riproduzioni che mi impongo come tortura; vorrei
essere in grado di chiudermi nel silenzio assoluto. Invece, quando riesco a
spegnere la musica, ecco che i miei silenzi si riempiono improvvisamente da
soli di altra musica, direttamente, mia: la mia voce si ricorda cosa ha
ascoltato e le parole delle canzoni paiono sempre perfette al mio stato
d’animo.
‘Cieco e
indifferente persi tutto!’ ‘Dio ma quanto è ingiusto il mondo! Zero a noi e
tanto a loro!’
Mi sorgono
spontanee e mi obbligano a soggiacere ancora al fascino della musica, dello
spettacolo, dell’emozione.
Ah!
Oh!
Ecco che mi
ritrovo ad avere scritto un’altra pagina di lamentele e tristi invocazioni, ma
queste lamentele sono le uniche cose che mi rimangono, sono le uniche parole
che sono ancora in grado di esprimere riguardo la mia intimità!
Ah!
Oh!
Delirio!
Delirio!
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