giovedì 11 settembre 2014

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Sarò la causa della mia rovina. Mentre tento di decidermi ad abbandonare i miei sogni mi coccolo in essi, accendo le casse e ascolto, cantando, tutte le canzoni, tutti gli intermezzi, mi recito interi spettacoli, e gioisco, mi compiaccio di me, mi immergo in questi miei piaceri, consapevole di rendermi soltanto più triste! Più mi concedo questi piccoli piaceri (che invero sono immensi e immani!) e più mi riuscirà difficile dire stop a tutto questo, più mi riuscirà difficile abbandonare i sogni dolci di spettacolo.
Eppure il richiamo del palcoscenico – anche per la mia personale gloria – è troppo forte, violento! Io voglio la fama, ma voglio anche offrirmi come un agnello sacrificale per il benessere di tutti: voglio essere la visione catartica del teatro di cui parlava Aristotele, voglio che le persone vedendomi si emozionino, riflettano in qualche modo, si divertano anche (perché no?!).
E allora proseguo in queste mie recite malate, queste mie esibizioni private, questi miei spettacoli intimi, ma proseguo nell’aggravare la mia condizione: come una persona che soffre per genetica di colesterolo alto e non cessi di concedersi i salumi, il burro, eccetera!
Sto diventando un monomaniaco, un ossessionato, un pazzo!
Cosa faro? Come posso guarire io da questa patologia? Come posso affrontare io questi sintomi così evidenti?
E dovrei parlarne, forse, sicuramente. Ma io non ho con chi parlare, non perché non conosca nessuno, ma perché è impossibile parlarne: sogno di parlare davanti a centinaia di persone e non riesco a parlare a una. Strano?! No!
Io parlerei di un me diverso, sarei qualcun altro, nessuno dovrebbe più accorgersi di chi è dentro quel costume! Io parlerei al mondo di un me estraneo a me, di un me che io ho SCELTO di accogliere dentro di me solo per la durata della messa in scena.
Oh, deliro!
È delirio o realtà?
Mi sembra di avere letto queste ultime quattro parole in Dostoevskij … sì le ho lette lì, più o meno sono queste. Ma anche se non sono le esatte parole sono l’esatto stato in cui mi ritrovo!
Ah!
Oh!
Voglio solo essere in grado di spegnere le riproduzioni che mi impongo come tortura; vorrei essere in grado di chiudermi nel silenzio assoluto. Invece, quando riesco a spegnere la musica, ecco che i miei silenzi si riempiono improvvisamente da soli di altra musica, direttamente, mia: la mia voce si ricorda cosa ha ascoltato e le parole delle canzoni paiono sempre perfette al mio stato d’animo.
‘Cieco e indifferente persi tutto!’ ‘Dio ma quanto è ingiusto il mondo! Zero a noi e tanto a loro!’
Mi sorgono spontanee e mi obbligano a soggiacere ancora al fascino della musica, dello spettacolo, dell’emozione.
Ah!
Oh!
Ecco che mi ritrovo ad avere scritto un’altra pagina di lamentele e tristi invocazioni, ma queste lamentele sono le uniche cose che mi rimangono, sono le uniche parole che sono ancora in grado di esprimere riguardo la mia intimità!
Ah!

Oh!
Delirio!

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