martedì 23 settembre 2014

IL MONACO

Il monaco camminava mestamente all'ombra della pergola. Il glicine scendeva profumato, brillante  e profumato. Questo nostro monaco amava quella sorta di passeggiatina che si concedeva ogniqualvolta gli era possibile: se fuori non pioveva - e non aveva di che occuparsi - usciva sotto quella pergola e camminava per almeno una mezz'oretta, perdendosi nei suoi pensieri, come protetto da quella specie di impalcatura di pali e rami.
Quel giorno in particolare il nostro monaco pareva triste e abbattuto, sconfortato da qualcosa: la sua fronte, invece che aggrottata nel ragionare, era rilassata, fin troppo,  e pesava sulle sopracciglia che gravavano, a loro volta, sugli occhi semichiusi, lucidi, pronti al pianto più disperato, ma sottomessi al più allenato contegno di sempre. Le braccia, solitamente riunite sul davanti, pugno dentro mano aperta, erano spinte dietro la schiena, le mani serrate l'una nell'altra. La schiena, gobba non per malformazione ma per vecchiaia, era tesa e rigida, così come i suoi passi: lenti, affaticati e rigidi.
Ma cosa agitava l'animo di questo monaco?
ormai era arrivato alla fine del suo percorso - mancava davvero molto poco - dove il muro perimetrale gettava la sua fresca ombra. Il sole baciava i piedi, ben infilati nei sandali, e stuzzicava appena la vista del consacrato. Qui c'era, a fianco della pergola, un folto roseto che però, purtroppo, non dava più i suoi fiori, privando quell'angolo di giardino di un po' di profumo, di un po' di bellezza.
Le lacrime premevano a poco a poco sempre di più e trattenerle costava, ora, una fatica notevole: si portò le mani agli occhi, come fanno molti prima di piangere, poiché sperano che questo impedisca le lacrime.
Per pochi attimi la luce del giorno svanì, il sole splendente sopra le foglie tramontò improvvisamente, il glicine continuò a vivere solo per il suo odore e i sassolini del sentierino solo per lo scricchiolio continuo.
Tolse le mani.
Tutto inutile, le lacrime continuavano in modo via via più violento a pretendere che fosse concesso loro di scendere, di inondare gli occhi e rigare le guance.
Un giovane uccellino si posò davanti al monaco, proprio su quella che era la direzione dell'uomo, ma a poco a poco che questi si avvicinava, il volatile non pareva impaurito, anzi, più risoluto e deciso a rimanere immobile lì dov'era.
Il monaco camminava e le lacrime premevano, poi giunse all'uccellino, proprio lì, uno a pochi centimetri dall'altro: nonostante la disparità di dimensioni ovvia tra i due, era come se l'uomo, grande e alto, fosse lui al cospetto della creaturina.
In qualche modo si guardarono, come si guardano due amici per intendersi subito, si guardarono e - non saprei dire come - l'uccellino disse qualcosa: non dovette aprire il becco, semplicemente osservando l'animale il monaco intuì qualcosa, come se la vista del volatile avesse fornito la chiave di volta di tutti i suoi pensieri.
Be', allora l'uccellino prese il volo, scomparendo nella luce, allora il monaco si mise a correre, si precipitò dietro il roseto sterile di fiori, sedette al muro nell'ombra e lì, protetto dal mondo, causa dei suoi dolori, pianse. Pregò e pianse.

Nessun commento:

Posta un commento