giovedì 2 luglio 2015

ASPETTANDO

L'attesa è uno degli atteggiamenti tipici della vita del cristiano, attesa è la Quaresima, attesa è l'Avvento, attesa è la disposizione dell'animo che si crea praticando una religione che ci proietta all'Eterno, verso una dimensione divina, straordinaria e perfetta. Ma l'attesa è anche una caratteristica tipica di qualsiasi uomo, anche non cristiano. Spesso troviamo nell'attesa un piacere immenso, oppure è nell'attesa che sorgono le preoccupazioni e l'angoscia; e si aspetta un figlio, si aspetta un compleanno, si aspettano le vacanze estive, si aspetta un po' tutto, quasi che l'uomo fosse sempre proiettato verso qualcos'altro solo perché è insoddisfatto di ciò che ha nella contingenza dei momenti presenti, solo perché è deluso da ciò che l'attimo odierno gli ha concesso. In questo senso, allora, l'attesa pare quasi un'esperienza negativa, sintomo di un carattere dell'uomo per nulla apprezzabile. Ma questa apparenza, fortunatamente, può essere bene squarciata, dimenticata  e seppellita a favore di un significato differente che dovremmo attribuire all'attesa.
Il segreto, forse, sta nel provare a non imporre una relazione di comparazione tra ciò che è e ciò che deve venire, bisogna, cioè, andare oltre quell'idea secondo cui ciò che viene è meglio, poiché davvero ogni attimo può essere vissuto in perfezione ed armonia: la necessità che sente l'uomo di 'aspettare qualcosa di meglio' proviene ragionevolmente dal fatto che l'animo più profondo, l'anima dell'uomo stesso si accorge che ciò che sta vivendo non è vita piena, non è vita vera, non è bene. Solo in una simile ottica assume un grande valore l'attesa: quando l'attendere diventa uno stimolo ad attuare ciò cui aspiriamo, quando, cioè, puntiamo a rendere migliore anche il presente, così da far sì che quel futuro in cui intravediamo e speriamo il meglio si faccia oggi, si faccia ora, si faccia attualità, non più sogno.
Questa, in particolare, è come dovremmo intendere l'attesa noi cristiani. Quando 'attendiamo' il Natale, quando ci prepariamo alla Santissima Pasqua, in effetti non desideriamo - o almeno dovremmo desiderare - di essere pronti, di essere nella giusta disposizione, perfettamente preparati a ricevere quel mistero che tanto aspettiamo: non si tratta di festeggiare il Natale il sei dicembre invece che il venticinque, non si tratta di anticipare praticamente l'evento; piuttosto si tratta di proiettare davvero noi stessi verso quell'attimo straordinario, non tanto sognando quel momento, ma facendo di tutto perché già da subito noi siamo pronti a vivere quell'istante, anche giorni e giorni prima della data del calendario.
L'attesa è un ennesimo mistero, una disposizione dell'animo che ci protende verso un obiettivo, spingendoci in un tensione, in allungamento, desiderosi di afferrare quell'istante, oppure una disposizione che ci opprime, ci soffoca e ci spaventa, perché sentiamo che quello che si avvicina non è un momento di felicità, ma un momento di giudizio, di critica, di conclusioni. Questo fa sì che l'attesa sia un'esperienza interessantissima, perché ognuno la può vivere in una maniera diversa ogni volta, scoprendo, di volta in volta, un aspetto differente, forse curioso. La cosa straordinaria, poi, è che per quanto il fine di un'attesa possa essere più volte lo stesso (come il Natale e la Pasqua nell'Avvento e nella Quaresima), l'atteggiamento dell'attesa può essere estremamente diverso; quindi non solo l'attesa ogni volta può essere vissuta in modi nuovi, ma anche ogni attesa rivolta ad uno stesso obiettivo, vissuta da una stessa persona, può sorprendere con esperienze decisamente particolari. Parrà forse un'ovvietà, poiché la vita è sempre varia e mai ripetitiva, poiché ogni attimo, ogni istante è unico, assoluto e inimitabile, tuttavia nell'attendere tale unicità dell'esistenza si manifesta con ancor più evidenza e forza: ci si sente estranei da sé, a volte, proprio perché in altre situazioni, molto simili, forse praticamente identiche, erano successe altre cose e ora, invece, dinnanzi a quell'ennesima attesa, si compie in noi qualcosa di nuovo e, in un certo qual modo, strabiliante. Domande, dubbi, emozioni, gioia, perplessità, stupore, euforia, rabbia, paura.

E io attendo il 28 giugno, oggi attendo il 28 giugno perché è il giorno in cui inizierà una nuova avventura, un'altra avventura legata al mio spirito e alla mia anima di persona che ha bisogno di provare a credere in un Dio che non sia solo 'la proiezione delle paure e delle preoccupazioni in un qualcosa di altro da me', come vorrebbero i nietzschiani e simili; una persona che non ha ancora avuto la forza di cedersi tutto a questo Dio; una persona che, d'altra parte, nutra delle perplessità dentro di sé perché in fondo sa di dover trovare ancora grandi risposte che concilino questo bisogno di fede e di Dio e questa omosessualità che pare, in qualche modo, comprovata.
Attendo di partire, cercando di capire perché non c'è nessuna sensazione particolare, quasi che mancasse persino la voglia di partire … ma poi penso che magari mi sto solo illudendo, penso che forse dentro, nel profondo del mio cuoricino, c'è solo una grande paura, la paura di trovare qualche risposta vera. Risposte che potrebbero sconvolgere tutto, ribaltare ogni cosa e rovinare quegli equilibri precari, forse fallaci, che mi ero costruiti con tanta fatica.

Attendo. In un certo senso aspetto l'attesa … dovunque mi porterà questa attesa, comunque vivrò questa attesa, qualunque sia la meta vera di questa attesa, aspetto quest'attesa. So, nel cuore, di averne bisogno.

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