L'attesa è uno degli atteggiamenti tipici della vita del cristiano,
attesa è la Quaresima, attesa è l'Avvento, attesa è la disposizione dell'animo
che si crea praticando una religione che ci proietta all'Eterno, verso una
dimensione divina, straordinaria e perfetta. Ma l'attesa è anche una
caratteristica tipica di qualsiasi uomo, anche non cristiano. Spesso troviamo
nell'attesa un piacere immenso, oppure è nell'attesa che sorgono le
preoccupazioni e l'angoscia; e si aspetta un figlio, si aspetta un compleanno,
si aspettano le vacanze estive, si aspetta un po' tutto, quasi che l'uomo fosse
sempre proiettato verso qualcos'altro solo perché è insoddisfatto di ciò che ha
nella contingenza dei momenti presenti, solo perché è deluso da ciò che l'attimo
odierno gli ha concesso. In questo senso, allora, l'attesa pare quasi
un'esperienza negativa, sintomo di un carattere dell'uomo per nulla
apprezzabile. Ma questa apparenza, fortunatamente, può essere bene squarciata,
dimenticata e seppellita a favore di un
significato differente che dovremmo attribuire all'attesa.
Il segreto, forse, sta nel provare a non imporre una relazione di
comparazione tra ciò che è e ciò che deve venire, bisogna, cioè, andare oltre
quell'idea secondo cui ciò che viene è meglio, poiché davvero ogni attimo può
essere vissuto in perfezione ed armonia: la necessità che sente l'uomo di
'aspettare qualcosa di meglio' proviene ragionevolmente dal fatto che l'animo
più profondo, l'anima dell'uomo stesso si accorge che ciò che sta vivendo non è
vita piena, non è vita vera, non è bene. Solo in una simile ottica assume un
grande valore l'attesa: quando l'attendere diventa uno stimolo ad attuare ciò
cui aspiriamo, quando, cioè, puntiamo a rendere migliore anche il presente,
così da far sì che quel futuro in cui intravediamo e speriamo il meglio si
faccia oggi, si faccia ora, si faccia attualità, non più sogno.
Questa, in particolare, è come dovremmo intendere l'attesa noi
cristiani. Quando 'attendiamo' il Natale, quando ci prepariamo alla Santissima
Pasqua, in effetti non desideriamo - o almeno dovremmo desiderare - di essere
pronti, di essere nella giusta disposizione, perfettamente preparati a ricevere
quel mistero che tanto aspettiamo: non si tratta di festeggiare il Natale il
sei dicembre invece che il venticinque, non si tratta di anticipare
praticamente l'evento; piuttosto si tratta di proiettare davvero noi stessi
verso quell'attimo straordinario, non tanto sognando quel momento, ma facendo
di tutto perché già da subito noi siamo pronti a vivere quell'istante, anche
giorni e giorni prima della data del calendario.
L'attesa è un ennesimo mistero, una disposizione dell'animo che ci
protende verso un obiettivo, spingendoci in un tensione, in allungamento,
desiderosi di afferrare quell'istante, oppure una disposizione che ci opprime,
ci soffoca e ci spaventa, perché sentiamo che quello che si avvicina non è un
momento di felicità, ma un momento di giudizio, di critica, di conclusioni.
Questo fa sì che l'attesa sia un'esperienza interessantissima, perché ognuno la
può vivere in una maniera diversa ogni volta, scoprendo, di volta in volta, un
aspetto differente, forse curioso. La cosa straordinaria, poi, è che per quanto
il fine di un'attesa possa essere più volte lo stesso (come il Natale e la Pasqua
nell'Avvento e nella Quaresima), l'atteggiamento dell'attesa può essere
estremamente diverso; quindi non solo l'attesa ogni volta può essere vissuta in
modi nuovi, ma anche ogni attesa rivolta ad uno stesso obiettivo, vissuta da
una stessa persona, può sorprendere con esperienze decisamente particolari.
Parrà forse un'ovvietà, poiché la vita è sempre varia e mai ripetitiva, poiché
ogni attimo, ogni istante è unico, assoluto e inimitabile, tuttavia
nell'attendere tale unicità dell'esistenza si manifesta con ancor più evidenza
e forza: ci si sente estranei da sé, a volte, proprio perché in altre
situazioni, molto simili, forse praticamente identiche, erano successe altre
cose e ora, invece, dinnanzi a quell'ennesima attesa, si compie in noi qualcosa
di nuovo e, in un certo qual modo, strabiliante. Domande, dubbi, emozioni,
gioia, perplessità, stupore, euforia, rabbia, paura.
E io attendo il 28 giugno, oggi attendo il 28 giugno perché è il
giorno in cui inizierà una nuova avventura, un'altra avventura legata al mio
spirito e alla mia anima di persona che ha bisogno di provare a credere in un
Dio che non sia solo 'la proiezione delle paure e delle preoccupazioni in un
qualcosa di altro da me', come vorrebbero i nietzschiani e simili; una persona
che non ha ancora avuto la forza di cedersi tutto a questo Dio; una persona
che, d'altra parte, nutra delle perplessità dentro di sé perché in fondo sa di
dover trovare ancora grandi risposte che concilino questo bisogno di fede e di
Dio e questa omosessualità che pare, in qualche modo, comprovata.
Attendo di partire, cercando di capire perché non c'è nessuna
sensazione particolare, quasi che mancasse persino la voglia di partire … ma
poi penso che magari mi sto solo illudendo, penso che forse dentro, nel
profondo del mio cuoricino, c'è solo una grande paura, la paura di trovare
qualche risposta vera. Risposte che potrebbero sconvolgere tutto, ribaltare
ogni cosa e rovinare quegli equilibri precari, forse fallaci, che mi ero
costruiti con tanta fatica.
Attendo. In un certo senso aspetto l'attesa … dovunque mi porterà
questa attesa, comunque vivrò questa attesa, qualunque sia la meta vera di
questa attesa, aspetto quest'attesa. So, nel cuore, di averne bisogno.
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