martedì 10 marzo 2015

DUE STORIE BREVISSIME

... Non ti ho dato, Adamo, né un posto determinato, né un aspetto tuo proprio, né alcuna prerogativa tua, perché quel posto, quell'aspetto, quelle prerogative che tu desidererai, tutto appunto, secondo il tuo voto e il tuo consiglio, tu ottenga e conservi [...] Non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché di te stesso quasi libero e sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che tu avessi prescelto. Tu potrai degenerare nelle cose inferiori, che sono i bruti; tu potrai rigenerarti, secondo il tuo volere, nelle cose superiori che sono divine ...
Oratio de hominis dignitate, Pico della Mirandola

Ci sono due storie che mi raccontò un giorno un prete, un bel pomeriggio d’estate, mentre si aspettavano i pullman per ripartire e tornare a casa. La prima era una storia antica, la seconda recente. La prima inizia davvero tanti anni fa.
“Fu tanto tempo fa, quando la gente non sapeva nemmeno che la Terra gira attorno al Sole, quando la Chiesa Romana non era altro che un sistema politico, quando centinaia di migliaia di anime vagavano solitarie e nel limbo perché guidate da un pastore cieco e menefreghista.
Allora le città non conoscevano la luce elettrica, non conoscevano i riscaldamenti né autonomi né altro, non erano circondate da un anello di ciminiere e fumi, ma solo da campi o risaie, foreste o colline di viti. La vita trascorreva con i predicatori che vagavano per ogni contrada, con le guerre per il potere dei grandi, per la prevaricazione, e i contadini intanto subivano, impassibili, ignorati.
A quel tempo l’arte conosceva quasi esclusivamente la nostra religione in Occidente: chiese e manoscritti, statue e affreschi, tutto era per la gloria di nostro Signore.
Le eminenze benedivano a destra e assolvevano a manca, costruivano grandi edifici perché il loro nome superasse i secoli e i millenni, perché sulla terra tutti potessero ricordare il vescovo tale di cincischiopoli, o il priore talaltro da chissadovepoli. Non dico che non ci fossero anime sante, non dico che non ci fossero devoti reali, non dico questo, tuttavia quelli, se anche non li si vuole più chiamare ‘bui’ perché è una definizione spregiativa e limitata, per la nostra Santa Madre Chiesa furono anni durissimi, attraversati da alcuni tra i più vomitevoli scandali di sempre.
Oh, mi sto dilungando: questa è solo l’introduzione. Tuttavia la storia è davvero breve quindi non temere.
Allora, a Milano, in uno di quei secoli particolari, viveva un ragazzo di è pochi anni più di te, al massimo una ventina. Lavorava come garzone in una specie di locanda incastrata in un viottolo senza uscita. Ormai era un ubriacone, disposto a lavorare solo per avere un po’ di vino ogni giorno, senza il desiderio di nient’altro se non la sua ciotola di pane zuppo di vino. A vent’anni era decisamente perduto, irrecuperabile, sempre stravaccato davanti alla porta per tenere i cavalli dei clienti (se avevano i cavalli e – soprattutto – se arrivavano dei clienti!) in cambio di qualche spicciolo.
Un giorno pioveva e, come sempre, la stradina di fronte la locanda si allagava  e il fango diventava un attentato alla vita di chiunque. In quei casi era suo compito sbattere a terra delle lunghe tavole di legna che potessero permettere (in qualche modo) il passaggio. Proprio mentre spostava una di queste scorse per terra un luccichio: una moneta! Abbastanza per prendere una brocca di vino di grado scadente, ma pur sempre vino!
Felice, con la sua felicità ebete e ubriaca, sbatté anche le altre due tavole di legno.
L’ultima doveva essere messa proprio all’imbocco del vicolo: lanciatala senti un suono sordo, non di fango, ma di qualcosa di pieno e solido.
- Ahi! – una voce debole e inferma.
- Che ci fai qui?
- Piove: c’è una tettoia!
- Va’ via bestia! Puzzi e tieni lontano i clienti!
Non rispondeva e il nostro ventenne iniziava ad arrabbiarsi.
- Muoviti! – ormai era davvero furioso e, in uno scatto, prese la figura per un braccio e l’issò in piedi: un volto rugoso e occhi serrati, terribilmente spaventati, piangevano.
Borbottò qualcosa, un ‘ti prego’ forse.
Il nostro ventenne prese la moneta e gliela mise in mano.
- Scusa”
“La seconda storia è avvenuta ai giorni nostri, nella stazione della nostra città.
Un ragazzo della tua età un giorno doveva andare a Milano perché doveva incontrare degli amici: tutti erano partiti la mattina ma lui aveva potuto liberarsi solo per il primo pomeriggio.
Sotto il sole caldo dell’estate era arrivato e tranquillamente si era fatto il biglietto alle macchinette.
Aveva fatto male i conti e il treno ci sarebbe stato solo di lì a mezzora, cioè mezzora in cui non sapeva minimamente cosa fare.
Si mise gli auricolari e alzò il volume al massimo, ignorando il messaggio che il suo affettuoso telefono gli mostrava riguardo al volume troppo alto nelle orecchie. Scendendo le scale del corridoio sotterraneo calpestò qualcosa, gli sembrò carta, però controllò per sicurezza: 10 euro!
Li raccolse soddisfatto e riguardandoseli camminò ancora più rapidamente verso il binario.
Risalendo le scale era così intento a godersi la banconota che per poco non calpestò un omino tutto rugoso e mogio, seduto sulle scale con la sua scorta di zaini stracolmi (probabilmente di cartacce).
Lo fissò irato ‘Che diavolo ci fa questo qui in mezzo alle palle!’, ma il vecchio non accennava a muoversi, guardava fisso davanti a sé, in basso, ai piedi delle scale, ignorando il ragazzino che per poco non l’aveva schiacciato.
Il ragazzo intanto …”

Proprio mente parlava, i pullman arrivarono e ci chiamarono per partire: mi sorrise e non seppi mai la fine della seconda storia.

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