«Ho paura»
«Non temere … ci sono
io … ti fa ancora male?»
«Un po' meno di prima
…»
«D'ora in poi starò
sempre con te, ti porterò da casa a scuola, da scuola a casa: dovunque! Perché
sorridi?! Sono serio! Sarò la tua guardia del corpo, terrò sotto controllo
tutto io. Potrei anche chiedere a Giorgio e a Mattia di aiutarmi: devo solo
compare quegli auricolari con il filo arrotolato!»
«Sei veramente un
cretino» gli risposi con dolcezza, con affetto, grato nel profondo per avermi
fatto sorridere.
«Ma sul serio! Non ti
lascerò mai, non succederà mai più!» diceva con quella sua voce dolce,
sussurrando piano nel mio orecchio, tenendomi vicino.
Sedevamo per terra,
appoggiati al muro dell'oratorio, sul cemento abituato a vedere le risate dei
bambini, piuttosto che i pianti di un ragazzo. La sera orami era scesa e
dominava tutto. Il silenzio era interrotto solo da qualche macchina che correva
in lontananza.
«Vuoi andare a casa?»
«No! Ho paura: non
voglio farmi vedere dai miei così»
«Ma domani dovranno
vederti per forza»
«Ti prego» lo
supplicai.
«D'accordo, è un
problema che ci porremo domani: stanotte la passi da me, ché intanto i miei
sono andati in montagna»
«Grazie …»
«Di nulla …» e nella
sua voce non c'era più traccia della sua scherzosità. Mi era vicino, non solo
con il suo corpo: sentivo la sua anima vibrare accanto al mio dolore, sentivo
questo mio dolore causare dolore nel suo cuore, ogni attimo che passava lì, a
guardarmi e stringermi tra le sue braccia sapevo che soffriva, che la sua
sofferenza cresceva e che a stento riusciva a trattenere le sue lacrime.
«No davvero: grazie.
Non tutti avrebbero …»
«Non parlarmi dei
cretini che ci sono in giro! Non devi ringraziarmi: l'ho fatto perché dovevo,
non per altro, ma perché ti voglio bene …»
Gli avrei risposto
ancora grazie, ma sapevo che non era quello che si meritava: sollevai il mio
sguardo, i miei occhi pieni di lacrime e gli feci un sorriso, non forzato, ma
uno di quei sorrisi che sorgono quando ci si sente finalmente amati.
«Dai, andiamo»
Si alzò e mi aiutò ad
alzare il mio corpo stanco e abbattuto: c'era forza in quelle braccia
magroline, ma mi sfioravano con delicatezza, preoccupate di non provocare il
minimo dolore.
C'incamminammo piano,
io un po' traballante, a lui mi attaccavo gettandogli un braccio attorno al collo.
La testa mi doleva e ogni tanto la vista mi si annebbiava un poco.
Le lacrime non
scendevano più e mentre camminavamo piano non scambiammo una parola.
Oramai mancava davvero
poco perché arrivassimo a casa sua, ma io fui preso da un giramento e dovetti
obbligarlo a fermarci: mi fece appoggiare a un panettone. Mi teneva la mano
sulla spalla, accovacciato davanti a me mi osservava dal basso. I suoi occhi
pieni di dolore mi dispiacquero quasi come quello che era successo: quegli
occhi sempre sereni, sempre sorridenti ora erano cupi e addolorati,
attraversati da un desiderio di piangere che i tratteneva solo per dare forza a
me.
«Ce la fai?»
«Sì … credo … mi gira
ancora un po' la testa …»
«Allora non c'è
fretta: prenditi tutto il tempo che vuoi … io sono qui e rimarrò qui»
«Scusami se ho
chiamato te invece che chiedere aiuto a …»
«Scusa?! Secondo te mi
è dispiaciuto aiutarti?! A me dispiace quello che ti è successo, non quello che
hai fatto tu: tu non hai fatto nulla per cui dovresti scusarti …»
«Quelli là …»
«Quelli là lasciali
perdere! Tu sei una persona meravigliosa, sempre disponibile, sempre pronta,
sempre capace di mettersi in gioco, una persona cui si può far conto, una
persona che spesso è, a dispetto delle apparenze, debole e bisognosa di aiuto …
be' eccomi: non ho intenzione di lasciarti più da solo, forse mi sarà
impossibile essere sempre al tuo fianco, ma non sarai mai più solo, mai più!»
Di nuovo avrei voluto
ringraziare quegli occhi commossi, quel viso preoccupato per me.
Tacqui e mi rialzai.
Si rialzò anche lui.
Lo abbracciai e mi
sentii abbracciato: mi stringeva con forza, questa volta quasi violenza, e io
pure, lo stringevo con ogni mia energia, il mio viso affondato nel suo collo
liscio. Piansi sulla sua spalla a lungo, e non più lacrime di dolore, ma
lacrime di disperazione: tutta la paura, tutto l'odio, tutta la rabbia, tutta
l'ingiustizia che mi dominava la riversai in quelle mie lacrime sulla sua
spalla.
Non so dire quanto
passò.
Sollevai il capo e lo
fissai: anche lui aveva pianto.
Salimmo da lui e anche
quella notte mi stette vicino.
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