martedì 17 marzo 2015

LUI (10)

«Ho paura»
«Non temere … ci sono io … ti fa ancora male?»
«Un po' meno di prima …»
«D'ora in poi starò sempre con te, ti porterò da casa a scuola, da scuola a casa: dovunque! Perché sorridi?! Sono serio! Sarò la tua guardia del corpo, terrò sotto controllo tutto io. Potrei anche chiedere a Giorgio e a Mattia di aiutarmi: devo solo compare quegli auricolari con il filo arrotolato!»
«Sei veramente un cretino» gli risposi con dolcezza, con affetto, grato nel profondo per avermi fatto sorridere.
«Ma sul serio! Non ti lascerò mai, non succederà mai più!» diceva con quella sua voce dolce, sussurrando piano nel mio orecchio, tenendomi vicino.
Sedevamo per terra, appoggiati al muro dell'oratorio, sul cemento abituato a vedere le risate dei bambini, piuttosto che i pianti di un ragazzo. La sera orami era scesa e dominava tutto. Il silenzio era interrotto solo da qualche macchina che correva in lontananza.
«Vuoi andare a casa?»
«No! Ho paura: non voglio farmi vedere dai miei così»
«Ma domani dovranno vederti per forza»
«Ti prego» lo supplicai.
«D'accordo, è un problema che ci porremo domani: stanotte la passi da me, ché intanto i miei sono andati in montagna»
«Grazie …»
«Di nulla …» e nella sua voce non c'era più traccia della sua scherzosità. Mi era vicino, non solo con il suo corpo: sentivo la sua anima vibrare accanto al mio dolore, sentivo questo mio dolore causare dolore nel suo cuore, ogni attimo che passava lì, a guardarmi e stringermi tra le sue braccia sapevo che soffriva, che la sua sofferenza cresceva e che a stento riusciva a trattenere le sue lacrime.
«No davvero: grazie. Non tutti avrebbero …»
«Non parlarmi dei cretini che ci sono in giro! Non devi ringraziarmi: l'ho fatto perché dovevo, non per altro, ma perché ti voglio bene …»
Gli avrei risposto ancora grazie, ma sapevo che non era quello che si meritava: sollevai il mio sguardo, i miei occhi pieni di lacrime e gli feci un sorriso, non forzato, ma uno di quei sorrisi che sorgono quando ci si sente finalmente amati.
«Dai, andiamo»
Si alzò e mi aiutò ad alzare il mio corpo stanco e abbattuto: c'era forza in quelle braccia magroline, ma mi sfioravano con delicatezza, preoccupate di non provocare il minimo dolore.
C'incamminammo piano, io un po' traballante, a lui mi attaccavo gettandogli un braccio attorno al collo. La testa mi doleva e ogni tanto la vista mi si annebbiava un poco.
Le lacrime non scendevano più e mentre camminavamo piano non scambiammo una parola.
Oramai mancava davvero poco perché arrivassimo a casa sua, ma io fui preso da un giramento e dovetti obbligarlo a fermarci: mi fece appoggiare a un panettone. Mi teneva la mano sulla spalla, accovacciato davanti a me mi osservava dal basso. I suoi occhi pieni di dolore mi dispiacquero quasi come quello che era successo: quegli occhi sempre sereni, sempre sorridenti ora erano cupi e addolorati, attraversati da un desiderio di piangere che i tratteneva solo per dare forza a me.
«Ce la fai?»
«Sì … credo … mi gira ancora un po' la testa …»
«Allora non c'è fretta: prenditi tutto il tempo che vuoi … io sono qui e rimarrò qui»
«Scusami se ho chiamato te invece che chiedere aiuto a …»
«Scusa?! Secondo te mi è dispiaciuto aiutarti?! A me dispiace quello che ti è successo, non quello che hai fatto tu: tu non hai fatto nulla per cui dovresti scusarti …»
«Quelli là …»
«Quelli là lasciali perdere! Tu sei una persona meravigliosa, sempre disponibile, sempre pronta, sempre capace di mettersi in gioco, una persona cui si può far conto, una persona che spesso è, a dispetto delle apparenze, debole e bisognosa di aiuto … be' eccomi: non ho intenzione di lasciarti più da solo, forse mi sarà impossibile essere sempre al tuo fianco, ma non sarai mai più solo, mai più!»
Di nuovo avrei voluto ringraziare quegli occhi commossi, quel viso preoccupato per me.
Tacqui e mi rialzai.
Si rialzò anche lui.
Lo abbracciai e mi sentii abbracciato: mi stringeva con forza, questa volta quasi violenza, e io pure, lo stringevo con ogni mia energia, il mio viso affondato nel suo collo liscio. Piansi sulla sua spalla a lungo, e non più lacrime di dolore, ma lacrime di disperazione: tutta la paura, tutto l'odio, tutta la rabbia, tutta l'ingiustizia che mi dominava la riversai in quelle mie lacrime sulla sua spalla.
Non so dire quanto passò.
Sollevai il capo e lo fissai: anche lui aveva pianto.

Salimmo da lui e anche quella notte mi stette vicino.

Nessun commento:

Posta un commento