Finalmente arrivammo
in piazza, nel sole del tardo pomeriggio d'inizio estate.
Tutti si muovevano nei
loro pantaloncini di jeans, nei loro bermuda colorati; le ragazzine coi loro
shorts ciarlavano con le loro voci acute e strillanti; giovani uomini sciabattavano
in giro per il porfido cittadino, come se fossero in piscina - grazie a Dio
nessuno aveva avuto la sfacciataggine di togliersi anche la canottiera!
Il calore era
soffocante, terribilmente soffocante, ma il sole ormai iniziava il suo declino
e quindi tutti si era diventati coraggiosi, pronti ad affrontare l'afa per
girare a vuoto tra le strade del centro.
I gelatai erano
contenti, ovviamente, nel vedere frotte di clienti entrare e uscire dai loro
negozi, nel vedere tutta quella gente alleggerita di qualche moneta e
appesantita da qualche fresca caloria al limone, o alla fragola.
Tanti negozi, quelli
'tipici', quelli che non sono 'grandi marchi' erano chiusi e un cartello
salutava i passanti con l'augurio di una buona vacanza e l'invito a rivedersi
alla prossima riapertura, dopo le ferie.
Orde di persone si
rintanavano in quei negozi luminosi, tutti belli freschi per l'aria
condizionata, fingendosi in giro per compere, in verità alla ricerca solo di un
po' di tregua dall'afa.
Noi camminavamo
insieme, sotto i portici che corrono davanti al duomo cittadino: il sole
tagliava di traverso da fuori e le arcate si dipingono sulla pavimentazione con
ombre chiare, con contorni definiti ma delicati.
Poco più lontano si
avvicinava un gruppo di ragazzi di qualche anno in meno di noi, tutti urlanti e
strepitanti: gridavano senza cura per gli altri, perché solo loro erano i
padroni del mondo, solo loro camminavano sotto quel portico e nessun altro
esisteva in tutto il centro città.
Erano sia femmine che
maschi: due di loro si tengono abbracciati e camminano attaccati, con i corpi
vicini nonostante il caldo soffocante. Tutti loro ciccano fastidiosamente, quel
rumore terrificante e snervante, massimo sintomo della maleducazione assoluta.
Ci passarono a fianco,
ridendo e sbraitando. Quasi ci investirono sotto le loro espadrillas e
infradito.
Ma anche a noi
importava poco la gente, anche noi ci curavamo poco delle persone che ci
stavano attorno: badavamo a non scontrarci con nessuno, a non disturbare
nessuno. La differenza tra noi due e quei ragazzi era che noi ce ne fregavamo
in silenzio del mondo, preoccupandoci solo del nostro essere insieme, loro,
invece, pensavano di dover apparire diversi e provocatori, perché
'l'adolescenza è ribellione' …
A noi la ribellione
non interessava davvero.
A me bastava essere lì
vicino a lui, poter camminare e girarmi ogni tanto a osservare la persona che
mi stava accanto, la sua pelle bruciata e abbronzata, quella pelle che
solitamente vedevo sempre chiara e luminosissima, mi bastava poter tentare di
intravedere sotto quella magliettina leggera bianca la sua forma, il suo fisico
spigoloso e magro, quelle spalle aguzze e pericolose, quell'addome svuotato ma
muscoloso.
Non mi interessava chi
mi stava intorno e non mi interessava disturbare: a me serviva quella
tranquillità per godermi la persona che mi accompagnava, per appagarmi della
vista di quella creatura meravigliosa.
Le sue gambe lunghe e
sottili si muovevano veloci, agili sulla pietra del porticato e per ore sarei
rimasto a fissare quel continuo cambiare gamba per camminare, quel continuo
avanti indietro, per giorni mi sarei fermato a studiare quel passo così
rilassato e pacifico, tranquillo.
Ogni suo movimento,
ogni sua parte, tutto avrei contemplato per l'eternità.
E continuavamo a camminare,
all'ombra e al 'fresco' dei portici, passando davanti a negozi che vomitavano
aria gelata, attraversando piccole folle al riparo dal sole.
Là in fondo un paio di
signore si avvicinavano con le loro biciclette sotto mano. Erano vestite con
quei soliti vestiti da nonna fatti di un tessuto leggero, stampato con improbabili
motivi che paiono attrarre solo il gusto di vecchie signore in carne, che poi
si portano in giro tutte sudate mentre traballano sulle loro anziane gambe.
Parlottavano in
dialetto, urlando perché sorde. Una parlava con l'altra, ma l'altra non parlava
non lei e due discorsi diversi, ma contemporanei, risuonavano tra il vocio
diffuso del centro.
Quando passammo vicino
a queste donne i loro discorsi confusi s'interruppero ed entrambe si fissarono
su di noi, creando non poco fastidio a tutti coloro che cercavano di passare.
Altri vedendoci si
fermarono, magari solo con lo sguardo, magari solo per un attimo, un istante,
ma tutti vollero osservarci …
In quegli attimi mi
voltavo verso di lui e ritrovavo la mia sicurezza: mi guardava con quel suo
sorriso sereno, con quegli occhi scintillanti e vivi, occhi felici che paiono
ridere.
Tutti ci guardavano:
io e lui ce ne andavamo insieme, per mano.
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