domenica 22 marzo 2015

LUI (9)

Finalmente arrivammo in piazza, nel sole del tardo pomeriggio d'inizio estate.
Tutti si muovevano nei loro pantaloncini di jeans, nei loro bermuda colorati; le ragazzine coi loro shorts ciarlavano con le loro voci acute e strillanti; giovani uomini sciabattavano in giro per il porfido cittadino, come se fossero in piscina - grazie a Dio nessuno aveva avuto la sfacciataggine di togliersi anche la canottiera!
Il calore era soffocante, terribilmente soffocante, ma il sole ormai iniziava il suo declino e quindi tutti si era diventati coraggiosi, pronti ad affrontare l'afa per girare a vuoto tra le strade del centro.
I gelatai erano contenti, ovviamente, nel vedere frotte di clienti entrare e uscire dai loro negozi, nel vedere tutta quella gente alleggerita di qualche moneta e appesantita da qualche fresca caloria al limone, o alla fragola.
Tanti negozi, quelli 'tipici', quelli che non sono 'grandi marchi' erano chiusi e un cartello salutava i passanti con l'augurio di una buona vacanza e l'invito a rivedersi alla prossima riapertura, dopo le ferie.
Orde di persone si rintanavano in quei negozi luminosi, tutti belli freschi per l'aria condizionata, fingendosi in giro per compere, in verità alla ricerca solo di un po' di tregua dall'afa.
Noi camminavamo insieme, sotto i portici che corrono davanti al duomo cittadino: il sole tagliava di traverso da fuori e le arcate si dipingono sulla pavimentazione con ombre chiare, con contorni definiti ma delicati.
Poco più lontano si avvicinava un gruppo di ragazzi di qualche anno in meno di noi, tutti urlanti e strepitanti: gridavano senza cura per gli altri, perché solo loro erano i padroni del mondo, solo loro camminavano sotto quel portico e nessun altro esisteva in tutto il centro città.
Erano sia femmine che maschi: due di loro si tengono abbracciati e camminano attaccati, con i corpi vicini nonostante il caldo soffocante. Tutti loro ciccano fastidiosamente, quel rumore terrificante e snervante, massimo sintomo della maleducazione assoluta.
Ci passarono a fianco, ridendo e sbraitando. Quasi ci investirono sotto le loro espadrillas e infradito.
Ma anche a noi importava poco la gente, anche noi ci curavamo poco delle persone che ci stavano attorno: badavamo a non scontrarci con nessuno, a non disturbare nessuno. La differenza tra noi due e quei ragazzi era che noi ce ne fregavamo in silenzio del mondo, preoccupandoci solo del nostro essere insieme, loro, invece, pensavano di dover apparire diversi e provocatori, perché 'l'adolescenza è ribellione' …
A noi la ribellione non interessava davvero.
A me bastava essere lì vicino a lui, poter camminare e girarmi ogni tanto a osservare la persona che mi stava accanto, la sua pelle bruciata e abbronzata, quella pelle che solitamente vedevo sempre chiara e luminosissima, mi bastava poter tentare di intravedere sotto quella magliettina leggera bianca la sua forma, il suo fisico spigoloso e magro, quelle spalle aguzze e pericolose, quell'addome svuotato ma muscoloso.
Non mi interessava chi mi stava intorno e non mi interessava disturbare: a me serviva quella tranquillità per godermi la persona che mi accompagnava, per appagarmi della vista di quella creatura meravigliosa.
Le sue gambe lunghe e sottili si muovevano veloci, agili sulla pietra del porticato e per ore sarei rimasto a fissare quel continuo cambiare gamba per camminare, quel continuo avanti indietro, per giorni mi sarei fermato a studiare quel passo così rilassato e pacifico, tranquillo.
Ogni suo movimento, ogni sua parte, tutto avrei contemplato per l'eternità.
E continuavamo a camminare, all'ombra e al 'fresco' dei portici, passando davanti a negozi che vomitavano aria gelata, attraversando piccole folle al riparo dal sole.
Là in fondo un paio di signore si avvicinavano con le loro biciclette sotto mano. Erano vestite con quei soliti vestiti da nonna fatti di un tessuto leggero, stampato con improbabili motivi che paiono attrarre solo il gusto di vecchie signore in carne, che poi si portano in giro tutte sudate mentre traballano sulle loro anziane gambe.
Parlottavano in dialetto, urlando perché sorde. Una parlava con l'altra, ma l'altra non parlava non lei e due discorsi diversi, ma contemporanei, risuonavano tra il vocio diffuso del centro.
Quando passammo vicino a queste donne i loro discorsi confusi s'interruppero ed entrambe si fissarono su di noi, creando non poco fastidio a tutti coloro che cercavano di passare.
Altri vedendoci si fermarono, magari solo con lo sguardo, magari solo per un attimo, un istante, ma tutti vollero osservarci …
In quegli attimi mi voltavo verso di lui e ritrovavo la mia sicurezza: mi guardava con quel suo sorriso sereno, con quegli occhi scintillanti e vivi, occhi felici che paiono ridere.

Tutti ci guardavano: io e lui ce ne andavamo insieme, per mano.

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