domenica 1 marzo 2015

LUI (6)

Pensai a lungo se muovermi o se era meglio rimanere lì, fermo, ad aspettare: cosa potevo fare?
Il suo corpo era così bello, lo intravedevo tra le foglie del cespuglio, loro giocavano e scherzavano, qualcuno ogni tanto spariva, inghiottito dall'acqua fresca del lago, poi riemergeva e con non troppa delicatezza si issava sul piccolo molo, scaricando sul legno una gran quantità di acqua.
Ridevano tutti, felici e contenti di quei giochi semplici: ci si buttava, ci si spingeva, si fingeva di annegarsi a vicenda, ci si tuffava e si risaliva, tutti bagnati, tutti scottati dal sole dell'estate.
Qualcuno faceva il diverso, seduto tranquillamente sul pontile cercando di evitare gli schizzi, quasi come se l'acqua fosse acido corrosivo!
Lui ovviamente era tra i più euforici: era un continuo buttarsi e bagnare gli altri, ri-inzuppare quelli che avevano deciso di iniziare ad asciugarsi, tuffarsi in modi sempre più strani, sempre più assurdi, ovviamente sempre più pericolosi. Il suo petto magro scintillava ricoperto da migliaia e migliaia di goccioline minuscole, i capelli bagnati si appiccicavano alla testa, il costume zuppo si attaccava alle gambe.
Rideva, rideva di gusto e realmente felice, giocava, come giocano i bambini, lui, quasi uomo, giovane ma ormai cresciuto, aveva in volto quella serenità ch'io ritrovavo solo nei pargoli: gli altri ridevano e si divertivano, ma - chissà poi perché - mantenevano, o pretendevano di mantenere, quell'aria superiore e un po' strafottente, quell'aria che li faceva sentire adulti, più grandi di quanto fossero in realtà. Lui no! Lui tornava bambino, era bambino! Non perché fosse infantile, bambinesco, ma perché aveva quegli occhi belli, quegli occhi luminosi e curiosi, allegri, che non conoscono altro se non il gioco …
Rimasi a lungo nascosto dietro quel cespuglio, ad aspettare.
Vedevo quei sorrisi e quelle risate: animi giovani grati di un sole caldo, di un'acqua fantastica; li vedevo e li invidiavo, li osservavo e cresceva in me la gelosia … ma non li odiai, né allora né mai: vederli mi faceva nascere un gran desiderio di essere anche io come loro e vedendo lui questo desiderio sembrava trovare una via per realizzarsi. Sapevo che in lui stava la risposta a tutti i miei dubbi, a molte delle mie preoccupazioni.
Ad un certo punto sparì: non mi accorsi dove fosse scomparso. Prima era lì che scherzava, poi qualcuno aveva urlato alla sinistra e mi ero voltato verso il grido: lui non c'era più.
«Che fai qua? Non vieni con noi? Dai vieni con me a fare il bagno»
Tremai, mi spaventai e mi vergognai come un cane. Sentivo la vergogna come un caldo soffocante e insieme come un gelo pungente attraverso tutto il corpo: come avrei potuto guardare ancora quel volto, il suo corpo magro, come avrei osato parlargli.
«S..sì … arrivo, avevo soltanto bisogno di stare un po' solo …»
Mi guardava con quella sua aria spensierata, quell'aria che precedeva sempre una battuta, sempre tranne che con me: quando sul suo viso ritrovavo quell'espressione potevo essere certo che presto mi avrebbe preso per mano, accolto al suo fianco, che mi sarei sentito vicino a lui, mi sarei sentito da lui apprezzato e accettato.
Mi prese la mano, come un bimbo prende la mamma del babbo per portarlo a fargli vedere che bella torta di fango ha preparato in giardino.
Corremmo insieme sul molo, scansando tutti, urlando perché ci facessero strada e infine ci tuffammo insieme, mano nella mano, giù nell'acqua fresca, giù nel lago, insieme.
Furono ore felici, passate a giocare come bambini, trascorse a sorridere e ridere. A poco a poco a poco il sole tramontava nel pomeriggio avanzato e le persone attorno a noi sparivano, ci lasciavano, noi entravamo in un nostro mondo, fatto di sguardi e schizzi d'acqua , di prese in giro e battutacce.
Tutti continuavano il loro pomeriggio, qualcuno cercava di coinvolgerci in qualche nuovo scherzo, ma ora noi lasciavamo il gruppo per una nuotata fino alla boa laggiù, ora salivamo in casa, tutti zuppi, per prendere un goccio di acqua, per far finta di asciugarsi, ora, se tutti avevano deciso di sedersi al sole e non bagnarsi più, noi ci rigettavamo in acqua, soli, noi due soli.
Fu davvero un pomeriggio straordinario, meraviglioso: le sue braccia esili scintillavano al sole arancione e quelle braccia a volte le vedevo afferrarmi mentre a stento ci mantenevamo a galla, le vedevo stringermi a lui, poi inspiravamo e ci buttavamo di lato sott'acqua: i nostri occhi si inseguivano attraverso quella coltre liquida che deformava ogni forma, io cercavo quello sguardo che tanto amavo all'asciutto e ritrovavo quel sorriso, ma accompagnato da innumerevoli bolle.
Il tempo perse ogni significato, le dita ci divennero molli e la pelle tutta grinze, tutta bianca e sfatta. Non importava. La felicità era la medicina per quella stanchezza, il motivo per mantenersi a galla nonostante i muscoli fossero stremati.
Tutto svaniva e rimaneva solo l'acqua, il pontile, il sole e lui: come sentivo l'acqua scivolarmi via sulla pelle del corpo, come percepivo il calore del sole che calava a poco a poco dietro i monti, come calpestavo il legno bagnato del molo, così sentivo la sua pelle, le sue dita, il suo corpo; come se anche lui fosse un elemento, sentivo che stavo toccando le membra di un essere straordinario.

In quel pomeriggio ritrovai un giorno mai vissuto della mia giovinezza, mi sentii bambino, non perché sciocco e ignorante, ma perché finalmente libero e sereno.

Nessun commento:

Posta un commento