martedì 30 giugno 2015

LUI (16)

Tremavo sotto le sue dita, i brividi mi scuotevano tutto, mi attraversavano come un'onda delicata che si allarga infinita verso l'orizzonte. Tenevo gli occhi chiusi e aspettavo, rimanevo lì in balia delle sue dita sottili, leggere: giravano con calma, mi sfioravano disegnando piccole ellissi sul mio petto, in quel piccolissimo spazio che la mia maglietta lasciava libero sotto al collo. Era sdraiato e m'ero abbandonato al suo fianco, mentre lui leggeva i suoi soliti libri. Poi aveva allungato la mano verso di me e mi aveva carezzato i capelli. Mollemente aveva mosso le sue dita sopra il mio viso e lungo il mio collo, fino a quando non era finalmente arrivato alla maglietta che gl'impediva di proseguire il suo cammino.
Leggeva e pareva non curarsi di me, pareva assorto e immerso completamente nella propria lettura, eppure quella sua mano non mi sfiorava distrattamente: con dolcezza le sue dita magre carezzavano il mio petto stanco e ogni tocco era per me sia una consolazione delle mie fatiche sia il motivo per una nuova agitazione, un'agitazione tutta piacevole, un'agitazione emozionata, un'agitazione 'ragazzina', che sorride imbarazzata …
La mia giornata era stata davvero triste, davvero faticosa: avevo ancora, come ogni giorno, affrontato un mondo che mi voleva sveglio e agile, pimpante e svelto, avevo rinunciato per tutte quelle ore a concedermi d'essere davvero felice, e, cosa ancora peggiore, avevo rinunciato ai miei momenti di sconforto e di abbattimento, trascinato com'ero dalla velocità di tutti quelli che mi stavano attorno. Avrei voluto per tutto il tempo rifugiarmi in silenzio, in solitudine, in un angolino, rannicchiato e con gli occhi chiusi, e invece no, m'ero lasciato sbatacchiare di qui e di là, come un lenzuolo al vento.
Poi ero tornato a casa e lì mi aveva raggiunto lui, camminando tranquillo per la strada: mi aveva avvisato che era all'edicola e allora ero corso alla finestra ad aspettarlo. Lì lo avevo visto, avanzare bello e tranquillo, sereno e spensierato. Scriveva un messaggio, a un suo compagno o a sua madre, non m'importa. Sapevo che stava venendo da me e solo per me, sapevo che non gli pesava uscire di casa e camminare per mezza città solo per passare un po' di tempo con me. Io per lui non lo facevo spesso e a volte, per questo, mi sentivo in debito, ma lui mi rispondeva che non dovevo preoccuparmi, che non era questo che contava …
Quando aveva suonato io ero appena arrivato al citofono e gli aprii immediatamente.
Ci salutammo e ci raccontammo le nostre giornate fino a quel momento, poi lui si sedette sul mio letto, a leggere, mentre io, alla scrivania, facevo dei compiti.
Sollevavo spesso lo sguardo e sbirciavo cosa stesse facendo, se si fosse distratto dal libro, se si fosse addormentato, ma niente: rimaneva lì. Poi mi ero avvicinato, stufo, arcistufo di compiti e scuola.
Mi coccolava con la sua solita perfezione.
Come sempre era lui che si prendeva cura di me.
"Cosa dovrei fare per dimostrargli che io lo amo? Lui lo fa continuamente, ogni suo respiro lui lo dedica a me, io invece … io mi sento quasi un verme: a volte mi accorgo che sembra quasi che lo ignori o, peggio, che lo dia per scontato! Ma io davvero vorrei dimostrarti cosa provo, davvero farei tutto, se solo sapessi cosa significhi questo tutto!"
«Cos'hai?» disse con il sorriso sul viso, guardandomi dall'alto dopo aver chiuso, senza che me ne accorgessi, il suo libro.
Non risposi.
«Ehi ..?! Cos'hai? Sei strano» ripeté con affetto.
«No, nulla - feci io - sono solo stufo della scuola … sono stanco»
«Eh beh, pensa a me che devo fare ancora due anni! Tu almeno hai finito»
Aveva assolutamente ragione.
«Hai ragione, ma ora che è quasi finita vorrei solo che finisse il più in fretta possibile, sai? Sono davvero stufo: darei qualsiasi cosa per poter finire già domani, e non me ne frega niente delle cose che non so!»
Sorrise ancora, divertito da quella mia isteria.
«Volevo farti una sorpresa, ma visto che sei così abbattuto mi sa che è meglio che ti dica adesso cosa avevo in mente, così magari hai una cosa bella a cui pensare …»
Non capivo e lo fissai, dal basso, con aria interrogativa. Continuava a carezzarmi i capelli e a grattare leggermente dietro le orecchie.
«Beh, pensavo che subito dopo l'orale io e te usciamo da scuola e andiamo in gelateria: ti ricordi cosa abbiamo fatto al mio compleanno?! Compriamo una vaschetta di gelato (e i gusti li scegli tu!) e ne mangiamo a cucchiaiate!»

Mi rallegrò. Mi allietò quegli ultimi giorni di ansia … anche la sua presenza, da sola, sarebbe bastata. Glielo dissi. Mi baciò.

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