martedì 29 dicembre 2015

STORIA CON UN POCHINO D'INVIDIA

- 26 dicembre 2015
Qualcosa mi diceva che dovevo farlo. Ormai era davvero tanto, tanto tempo. Ora che tutto è passato mi chiedo che cosa mi impedisse di essere completamente sincero; in fondo, tutti sapevano già tutto. Mancava solo quel momento in cui ci si ferma un secondo e si dicono le cose così come stanno, senza parentesi, senza troppe divagazioni, quel momento in cui non si usano sinonimi, ma si chiamano le cose con il loro nome. Eppure qualcosa mi bloccava, qualcosa che oggi provo a chiamare paura. Ma paura di cosa? Be', quello lo so per certo: paura degli altri. Oh, quanto è dannatamente importante il giudizio altrui, quanto è fondamentale nella nostra vita ciò che gli altri vedono e pensano di conseguenza. Gli altri. Gli altri possono vivere in una menzogna, anche quando sono consci del fatto che non sia altro che una bugia, ma difficilmente, a volte, riescono a resistere alla verità, o meglio, alla sincerità. Avevo paura degli altri. Ancora adesso ne ho un pochino, ma allora provavo il terrore sotto la pelle, lungo la schiena, tra un muscolo e l'altro. Sì, perché gli altri sono troppo importanti, sono ciò che possiamo chiamare vita, solo grazie a qualcuno possiamo esistere davvero. Se non c'è nessuno che mi conosca, mi veda, mi ascolti o mi ignori, chi sono io? Esisto? No, mi annullo in un'indifferenza che non è nemmeno degna di questo nome, perché è la nullità, il vuoto. Avevo tremendamente paura, una paura folle che mi paralizzava. Le parole, ah sì, quando si usano le parole tutto è diverso: si dice troppo spesso che è più facile dire le cose che farle, ma in certe cose … in certe cose è il contrario: è così facile vivere la propria vita, ma quando bisogna ammettere ciò che si fa, ciò che si è, chi si è ... lì le cose cambiano. Le cose cambiano e io, penso adesso, volevo che cambiassero, quel giorno, quando mi accorsi che non si poteva continuare troppo a lungo con questa sciocchezza, che bisognava aprire la bocca ed essere completamente sinceri, semplicemente. Ero stanco. Non ero stanco per questo "segreto", certo che no, perché c'erano ben altre cose a preoccupare le mie notti, altre faccende che reclamavano la mia attenzione, però questo cosiddetto "segreto" era un sassolino nella scarpa, qualcosa che mi impediva di stare saldo sui miei piedi per sorreggere il peso aggrappato sulle spalle. Oh, che bella metafora! Chissà quanti l'hanno già sognata, ma stavolta m'è uscita proprio bene, non c'è che dire!
Ero stanco, ero esageratamente stanco, e speravo, speravo che scrollandomi quella briciola di dosso qualcosa potesse cambiare. Chissà cosa, poi? Non ricordo precisamente cosa sperassi.
Mi alzai, mi alzai e presi il telefono. Non ho mai avuto una lista di preferiti sul cellulare, ma quella volta questo strano aggeggio capì perfettamente di chi avessi bisogno: digitai la sola iniziale e capitò subito il suo nome. Telefonai.
«Pronto?»
«Pronto, sono io. Non parlare e non dire niente! Ascoltami e basta perché non so se questo coraggio che ho adesso durerà ancora a lungo. Ascoltami e taci. Dunque che cosa mi sta prendendo? Non lo so, so solo che ho deciso di fare qualcosa che da tempo non faccio: lo dirò a tutti. Sì, tutti lo sanno, ma dirlo è un'altra cosa: sarà a tutti chiaro, non ci saranno dubbi, domandi, curiosità, tentativi. Sarò sincero. Potrò commentare senza problemi una foto in cui c'è un bel ragazzo senza dovermi preoccupare che mia sorella possa leggere quel commento su Facebook rimanendone scandalizzata. Al più non mi parlerà più e mi eliminerà dalle amicizie, nonché dalla sua stessa vita! Voglio farlo. Ho vent'anni quasi e so che è il momento, so che ho aspettato fin troppo. Dopotutto, quest'anno sono cambiate così tante cose quest'anno che se aggiungessi anche questa piccola informazione non succederebbe niente di che. Sì, insomma, devo farlo, no?! Potrei scrivere un post su Facebook, una cosa così, persa tra le migliaia di post che si affollano ogni minuto. Così, e voglio vedere chi se lo filerebbe … ma almeno lo avrei fatto, almeno … E poi … e poi niente, non mi viene in mente nient'altro da dire, se non che, adesso che ho finito di dirti il mio piano confuso, inizio ad avere paura. Inizio a pensare che non lo farò perché ho tremendamente paura di ciò che potrebbe succedere. I commenti, le frasi e tutto il resto. Ci sono, anche se sono poche, persone che non ne hanno minimamente idea. Cosa direbbero? Cosa succederebbe? Ok, ecco, adesso sono il solito, sono tornato normale e, come ti avevo detto, la foga iniziale sta virando alla solitissima codardia!»
«Posso?»
«Sì … scusa»
«Non ti permetterò di non farlo: se ti mancherà il coraggio … ti sarò a fianco. D'accordo, lo scriveremo su Facebook: domani vengo a prenderti e usciamo, stiamo in giro e fanculo tutti. Scrivi quelle quattro parole che servono e niente. Venga ciò che venga. Hai ragione, forse non è il tuo più grande problema, visto che in fondo lo sanno tutti, ma … ma proprio perché non è il tuo più grande problema lo devi fare. Ti sarò a fianco»
Non so perché, ma non mi aspettavo una simile reazione: mentre raccontavo il mio piano folle mi cresceva dentro la consapevolezza di quante idiozie stessi dicendo tutte in una volta, e invece lui era riuscito a stroncare anche quella consapevolezza - intuii proprio allora che cosa potesse significare essere amico di qualcuno.

Quel qualcosa che mi diceva che dovevo essere completamente sincero si era un attimino zittito e mi aveva lasciato con l'ansia di che cosa sarebbe successo dopo, ma quelle parole che mi sostenevano, che sostenevano quel qualcosa iniziale, beh mi risollevarono, ridiedero forza e vigore alla sensazione di aver bisogno di farlo, di dirlo al mondo senza troppi problemi, di constatare una verità banale, ma sempre sottintesa, quasi che non meritasse di essere nominata: che cosa sarebbe successo non mi interessava più di tanto; sì, avevo ancora molte ansie, ma 1) ero sicuro di essere gay, 2) avevo scoperto di avere un amico.

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