martedì 5 gennaio 2016

STORIA DI DICEMBRE

- 26 dicembre 2015
Immancabilmente freddo, a dicembre. Sì, dicono che fa più caldo, che non fa più freddo come una volta, ma di sicuro in città non c'erano più di sei gradi. Non meno quattro, è vero, ma neanche un bel ventitré tranquillo e sereno. La nebbia quella mattina era particolarissima. Di solito quando alzo la tapparella mi ritrovo davanti una parete bianca, pesante, uniforme. Quando è poca intravedo a malapena il garage, in fondo al giardino, e l'albero di noci. Quel giorno, invece, c'era una nebbia rosa, qualcosa di strano: la coltre solita era ammassata insensatamente verso il noce, dimenticandosi di coprire anche i due pini nani vicino alle finestre della sala. Il colore era diffuso, ma la solita luminosità che lanciava il sole dal suo nascondiglio oltre la nebbia era scomparsa, e tutto appariva sbiadito, slavato, spento. Era mattina e come ogni mattina dovetti fermarmi a guardare fuori, perché prima di incominciare a correre c'è sempre quel momento in cui devi prendere fiato, in cui riempi i polmoni per poi buttarti, e quando ti tuffi sai che poi per un po' non potrai più prendere fiato. Io la mattina prendo fiato per un tuffo: respiro il 'paesaggio' su cui si affaccia camera mia e poi … Quel giorno rimasi più del solito, invaso da perplessità che non comprendevo nemmeno. Qualcosa mi lasciava la bocca asciutta, il sapore di amaro sul palato, l'insoddisfazione giù nella gola.
Mi voltai, finalmente, e mi accorsi di avere freddo: il termosifone s'era acceso, ma ero stato fermo molto a lungo, dormendo, e adesso ero a piedi scalzi su un pavimento quasi gelido. Saltellai fino al letto e mi ci rilanciai sopra, per dar tregua ai miei piedini gelati. Cercai di non muovere troppo il materasso e le coperte: dormiva ancora. Non s'era mosso nemmeno quando avevo tirato su le coperte. Era tutto imbacuccato, nascosto sotto il piumone, infreddolito forse, o magari immerso in un qualche dolce sogno di carezze e coccole. Aveva la bocca un pochino aperta e respirava piano, senza quasi fare rumore, fatta eccezione per un piccolo soffio che, ogni tanto, era accompagnato da un sibilo detto sottovoce. Il suo solito naso!
Non occorreva la luce accesa, quindi mi allungai verso il comodino, cercando di scavalcarlo, per prendere i miei calzini. Forse lo sfiorai e lui, senza svegliarsi, ebbe un lievissimo tremito: affondò ancora un pochino la fronte nel cuscino e poi si arrese di nuovo. Stava per svegliarsi: qualcosa lo aveva turbato? C'era una minuscola ruga nuova sulla sua fronte liscia.
Rimasi sul letto, infilandomi, piano, le calze. Spostai di nuovo lo sguardo verso la finestra e osservai che la nebbia s'era un po' spostata. Senza dire niente a nessuno aveva fatto qualche passo indietro, sciogliendo l'abbraccio che la teneva stretta al tronco spoglio. Mentre la guardavo non mi sembrava che si muovesse. Distolsi lo sguardo per qualche secondo con l'intenzione di fare un esperimento. Di scatto riosservai la nuvola rosata e ecco che era di nuovo arretrata. E adesso era immobile! Mi prendeva in giro? Stavamo forse giocando? Una stranissima manche a un-due-tre-stella! cui non avevo mai partecipato prima. Sorrisi: avevo avuto la mia dose di bellezza mattutina contro le brutture di una corsa quotidiana.
Non giocai per molto tempo: quando le dita dei piedi tornarono caldi infilai le pantofole e, senza far troppo rumore, me ne uscii dalla camera chiudendomi dietro la porta. C'era silenzio nel resto della casa. Mia sorella era già in cucina che aspettava che salisse il caffè. I miei erano partiti per una settimana. Mi infilai in bagno per lavarmi la faccia. Aprii l'acqua e scoprii con sorpresa che scendeva calda: stavolta era toccato a mia sorella di attendere che l'acqua gelata nella notte tornasse a scorrere tiepida. Mi sciacquai il viso e riscoprii quel piacere insensato di sentirsi crollare di dosso la bellezza della notte. Sì, perché è bello dormire, ma è altrettanto bello quando ti sei riposato e puoi prendere dell'acqua calda e carezzarti gli occhi e le labbra, la fronte e le guance, quando una goccia scivola dentro il colletto e bagna il pigiama da dentro.
Guardai nello specchio e riconobbi il solito personaggio strano.
«Non potevi svegliarmi? Da quando sei alzato?» mi chiese una voce sonnacchiosa da una fessura della porta.
«Buongiorno! Pensavo di lasciarti ancora un po' lì, anche io adesso mi sarei rimesso a letto: non abbiamo granché da fare …» sorrisi voltandomi verso di lui e spalancando la porta. Ovviamente era a piedi nudi e con un occhio ancora chiuso dal sonno. I capelli erano un disastro, tutti sconvolti in mille e mille rose diverse. Un braccio penzolava lungo il corpo, l'altro lo teneva nei pantaloni del pigiama, cercando di non perderli visto che l'elastico s'era lasciato andare ormai da tempo e rischiava ad ogni passo di dimenticarseli per strada.
«Torniamo di là» gli dissi.
«Perché hai tirato su le tapparelle?»
«Beh, non abbiamo niente da fare ma sai che odio stare a dormire!» rise, perché era vero: mi conosceva troppo bene.
«E allora cosa torniamo di là a fare?» mi chiese, continuando a sorridere e ridacchiare insieme.

«Niente, ma almeno faremo niente insieme»

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