19 luglio ----
Caro G.
Semplicemente
oggi ti scrivo perché avevo assolutamente bisogno di scriverti di nuovo, di
pensare che queste mie parole raggiungano te e nessun altro, solo te che mi sei
stato vicino in questi anni e che hai fatto quello che potevi per me.
Le vacanze sono
iniziate e finalmente mi sono preso qualche attimo per rimanere solo con me
stesso, per sentirmi abbandonato anche da me stesso in un certo senso, per
perdermi in una stanza che mi sembra vuota, ma che risuona di troppe voci
diverse.
Ultima estate
prima della fine della scuola.
Ultima estate
prima di iniziare una nuova fase della mia vita, perché in effetti, se tutto
andrà bene, dopo quest’anno io dovrò abbandonare quelle aule, quei professori,
quei quaderni, quei compagni, e incamminarmi in una nuova ‘avventura’. In
questi giorni ho avuto modo, in questa mia prigionia auto-forzata, di fermarmi
un attimo, in mezzo alla stanza, con la porta chiusa e il sole che entrava
dalla finestra con le tendine ricamate, i piedi senza scarpe sulle fredde
piastrelle. Mi siedo qui e aspetto, non posso far altro che aspettare e non
aspetto un arrivo, una novità, un cambiamento: aspetto che il tempo passi.
La mia mente,
mentre il respiro si fa più regolare e sereno, inizia ad agitarsi, a scuotersi
convulsamente ed è allora un susseguirsi di immagini l’una assolutamente
scollegata da quella che segue, in una montagna di voli pindarici da qui fin
là, da una cosa a tutt’altra. Mi ritrovo a pensare a quello che farò, a quello
che devo decidermi a fare, a cosa vivrò dopo e come dovrei poi, in una certa
prospettiva, prepararmi. Mi ritrovo a sognare di calcare finalmente quel
parquet scuro baciato dai fari multicolori, con la voce forse e sicura, che
attraversa tutto l’ambiente, ma poi eccomi in una stanza bassa e con la luce al
neon, in piedi dinnanzi a ragazzetti acneici che non vorrebbero essere lì ad
ascoltarmi perché la play è molto più interessante delle mie monotone parole!
Ma ancora tutto non finisce, perché proprio questo schermo mi appare davanti
agli occhi e su una pagina di testo si rincorrono, apparendo a poco a poco, le
lettere di un nuovo testo, di una nuova storia, eppure anche questa immagine
svanisce immediatamente,è questione di pochi istanti e di nuovo sono le parole
di una canzone che opprimono il mio cervello alla ricerca di una risposta
definitiva. Ma ecco che in quella musica le parole sono come cambiate, il testo
è diverso da come lo ricordavo e in effetti quelle parole non sono che le
parole di mia madre quando mi disse: studia prima all’università, per solo una
laurea breve, poi vedrai!
Ma adesso il mio
respiro non è più rilassato e all’agitazione della mente segue l’ansia nel
cuore: sento che i battiti si fanno più concitati, si susseguono
precipitosamente e spaventosamente mi sento girare la testa, in un vortice di
nuove immagini, che ho già visto, ma si ripresentano a me, chiare e terribili, non perché paurose
di per sé ma perché accostate come in una sorta di album spaventevole!
Ora che ti
scrivo, ti scrivo che ti voglio bene, che avrei voglia di vederti e di
abbracciarti, di poter passare con te un pomeriggio, sotto l’ombra di un albero
seduti su una panchina, che vorrei poterti parlare faccia a faccia, mentre tu
annuisci e mi guardi fissamente, come fai sempre tu. Vorrei che tu sapessi che
consigli darmi, e vorrei non essere così ottuso – come in effetti sono – da non
riuscire ad attuarli. Vorrei vorrei vorrei! So solo che vorrei fortemente che
tu ci fossi, che non fossi solo un’immagine lontana e che ancora mi parlassi
dal vero, mi potessi guardare diritto in volto e mi potessi sorridere, con il
tuo vecchio sorriso.
Tutti credono
che ci sia dell’altro, che io mi sia in un certo senso innamorato, ma
semplicemente io ti voglio bene, mi sono reso conto troppo tardi di avere una
persona diversa che però mi comprendeva, che mi capiva e mi accettava, che non
aveva alcun problema di farsi abbracciare da me: non un abbraccio rigido,
formale, ma i nostri abbracci sinceri, che succedono per strada quelle
rarissime volte che ti vedo, quando io metto il mio mento sulla appoggiato alla
tua spalla e tu chini la testa sulla mia, quando io mi prendo da solo le
braccia dietro la tua schiena e tu inizi – e questo succede sempre, sempre,
anche quando, separati, ti sto a fianco e parliamo qualche secondo – a farmi
una sorta di grattino sotto la scapola, sulla schiena, quasi una carezza.
Solo questo.
In questa mia
solitudine.
In questa mia
confusione da adolescente ridicolo e sentimentale.
In questa
assurda preoccupazione per un domani che in realtà io stesso penso sia molto
lontano.
In tutti questo
io vorrei averti vicino per un pomeriggio, per un pranzo, a prendere un caffè
al fresco.
Vorrei ancora
parlarti di quello che mi accade, delle decisioni che – sebbene misere e
superflue – ho preso in questi ultimi mesi.
Vorrei non doverti
scrivere per una volta.
Vorrei che più
spesso i nostri occhi si incontrassero, che le nostre parole fossero ascoltate
direttamente.
Mi manchi
davvero tanto G.
Nella chiusura e
come saluto immagina uno dei nostri abbracci. Ti stringo davvero forte.
Ti voglio bene.
Il tuo amico, J.
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