martedì 29 luglio 2014

2^ LETTERA A G.

19 luglio ----
Caro G.
Semplicemente oggi ti scrivo perché avevo assolutamente bisogno di scriverti di nuovo, di pensare che queste mie parole raggiungano te e nessun altro, solo te che mi sei stato vicino in questi anni e che hai fatto quello che potevi per me.
Le vacanze sono iniziate e finalmente mi sono preso qualche attimo per rimanere solo con me stesso, per sentirmi abbandonato anche da me stesso in un certo senso, per perdermi in una stanza che mi sembra vuota, ma che risuona di troppe voci diverse.
Ultima estate prima della fine della scuola.
Ultima estate prima di iniziare una nuova fase della mia vita, perché in effetti, se tutto andrà bene, dopo quest’anno io dovrò abbandonare quelle aule, quei professori, quei quaderni, quei compagni, e incamminarmi in una nuova ‘avventura’. In questi giorni ho avuto modo, in questa mia prigionia auto-forzata, di fermarmi un attimo, in mezzo alla stanza, con la porta chiusa e il sole che entrava dalla finestra con le tendine ricamate, i piedi senza scarpe sulle fredde piastrelle. Mi siedo qui e aspetto, non posso far altro che aspettare e non aspetto un arrivo, una novità, un cambiamento: aspetto che il tempo passi.
La mia mente, mentre il respiro si fa più regolare e sereno, inizia ad agitarsi, a scuotersi convulsamente ed è allora un susseguirsi di immagini l’una assolutamente scollegata da quella che segue, in una montagna di voli pindarici da qui fin là, da una cosa a tutt’altra. Mi ritrovo a pensare a quello che farò, a quello che devo decidermi a fare, a cosa vivrò dopo e come dovrei poi, in una certa prospettiva, prepararmi. Mi ritrovo a sognare di calcare finalmente quel parquet scuro baciato dai fari multicolori, con la voce forse e sicura, che attraversa tutto l’ambiente, ma poi eccomi in una stanza bassa e con la luce al neon, in piedi dinnanzi a ragazzetti acneici che non vorrebbero essere lì ad ascoltarmi perché la play è molto più interessante delle mie monotone parole! Ma ancora tutto non finisce, perché proprio questo schermo mi appare davanti agli occhi e su una pagina di testo si rincorrono, apparendo a poco a poco, le lettere di un nuovo testo, di una nuova storia, eppure anche questa immagine svanisce immediatamente,è questione di pochi istanti e di nuovo sono le parole di una canzone che opprimono il mio cervello alla ricerca di una risposta definitiva. Ma ecco che in quella musica le parole sono come cambiate, il testo è diverso da come lo ricordavo e in effetti quelle parole non sono che le parole di mia madre quando mi disse: studia prima all’università, per solo una laurea breve, poi vedrai!
Ma adesso il mio respiro non è più rilassato e all’agitazione della mente segue l’ansia nel cuore: sento che i battiti si fanno più concitati, si susseguono precipitosamente e spaventosamente mi sento girare la testa, in un vortice di nuove immagini, che ho già visto, ma si ripresentano  a me, chiare e terribili, non perché paurose di per sé ma perché accostate come in una sorta di album spaventevole!
Ora che ti scrivo, ti scrivo che ti voglio bene, che avrei voglia di vederti e di abbracciarti, di poter passare con te un pomeriggio, sotto l’ombra di un albero seduti su una panchina, che vorrei poterti parlare faccia a faccia, mentre tu annuisci e mi guardi fissamente, come fai sempre tu. Vorrei che tu sapessi che consigli darmi, e vorrei non essere così ottuso – come in effetti sono – da non riuscire ad attuarli. Vorrei vorrei vorrei! So solo che vorrei fortemente che tu ci fossi, che non fossi solo un’immagine lontana e che ancora mi parlassi dal vero, mi potessi guardare diritto in volto e mi potessi sorridere, con il tuo vecchio sorriso.
Tutti credono che ci sia dell’altro, che io mi sia in un certo senso innamorato, ma semplicemente io ti voglio bene, mi sono reso conto troppo tardi di avere una persona diversa che però mi comprendeva, che mi capiva e mi accettava, che non aveva alcun problema di farsi abbracciare da me: non un abbraccio rigido, formale, ma i nostri abbracci sinceri, che succedono per strada quelle rarissime volte che ti vedo, quando io metto il mio mento sulla appoggiato alla tua spalla e tu chini la testa sulla mia, quando io mi prendo da solo le braccia dietro la tua schiena e tu inizi – e questo succede sempre, sempre, anche quando, separati, ti sto a fianco e parliamo qualche secondo – a farmi una sorta di grattino sotto la scapola, sulla schiena, quasi una carezza.
Solo questo.
In questa mia solitudine.
In questa mia confusione da adolescente ridicolo e sentimentale.
In questa assurda preoccupazione per un domani che in realtà io stesso penso sia molto lontano.
In tutti questo io vorrei averti vicino per un pomeriggio, per un pranzo, a prendere un caffè al fresco.
Vorrei ancora parlarti di quello che mi accade, delle decisioni che – sebbene misere e superflue – ho preso in questi ultimi mesi.
Vorrei non doverti scrivere per una volta.
Vorrei che più spesso i nostri occhi si incontrassero, che le nostre parole fossero ascoltate direttamente.
Mi manchi davvero tanto G.
Nella chiusura e come saluto immagina uno dei nostri abbracci. Ti stringo davvero forte.
Ti voglio bene.

Il tuo amico, J.

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