martedì 15 luglio 2014

STORIA DI UN PICCOLO PRINCIPE

C'era una volta, tanto tempo fa, un bambino che sedeva immobile per terra, vestito di stracci, i piedi scalzi. Sedeva appoggiato a un cippo lasciato lì come monito per i carretti. Il sole ormai tramontava e l'enorme piazzale si andava pian piano svuotandosi. Il Palazzo era immenso davanti a lui, si innalzava glorioso e splendente; le pietre, enormi e color della terra, si stagliavano impassibili disposte ordinatamente da mani sapienti, e allora quale meraviglia erano quelle arcate e quelle finestre che apparivano così delicate! 
Ma il bambino era affascinato non solo dall'aspetto esteriore di quell'edificio, ma anche, e soprattutto, da quello che vi era custodito: quelle grandi porte avevano accolto e, in un certo senso, imprigionato migliaia e migliaia di straordinari artefatti. Tutti i giorni, o quando Mastro Pietro lo mandava a prendere il latte, o quando, non avendo nulla da fare, vagava per le strade della città, si soffermava a osservare il via vai di gente che entrava in quei portali così possenti, trasportando su carretti o statue, o tele, o tessuti pregiati, o qualsiasi altra cosa preziosa si potesse in qualche modo trasportare. Rimaneva abbagliato da quello sfarzo e ogni tanto, quando Lui in persona si mostrava ad accogliere un nuovo dipinto o un nuovo artista da accogliere nella sua cerchia, lo scrutava cercando di capirne il segreto, come se in quell'aspetto, così ricco, lussuoso, ci fosse il mistero di tutta quella ricchezza.
Quel giorno le porte già stavano chiudendosi - eccezion fatta per una che serviva da porta di servizio, nonostante qualsiasi re si sarebbe ritenuto onorato se fosse ci fosse passato attraverso.
Niccolò - questo il nome di quel bambino - si alzò e si incamminò per la via. Non stava andando a casa, in quel lettuccio sfondato che Mastro Pietro gli aveva preparato in solaio, tra i topi, infatti i suoi passi, e nemmeno lui avrebbe saputo spiegare perché, lo conducevano verso la porta della città e oltre, infatti arrivò alle mura e proseguì. 
Una volta fuori della città Niccolò continuò a camminare per la strada che a poco a poco veniva sempre di più inghiottita nella penombra della sera. I campi, gli alberi, i grandi cascinali della campagna toscana si profilavano su quelle colline e tra quelle vallate che ancora erano baciate dai dolci raggi del sole.
Niccolò pensava all'ultima volta che aveva visto Lui, e ricordava quanto fosse stato particolarmente affascinante in quel giorno, avvolto in un leggero mantello verde smeraldo, decorato da tante piccole pietre preziose trasparenti - non ricordava bene come si chiamassero, forse 'diminti'; era arrivata, dalla bottega di uno dei grandi pittori che in quel momento erano nelle Sue grazie, una nuova tavola che - questo glielo disse un passante - era particolarmente attesa a Palazzo poiché rappresentava uno dei temi più amati da Lui: la Primavera. E effettivamente Lui, anche agli occhi di un giovanissimo come Niccolò, appariva, mentre aspettava che il carretto fosse vicino al portone, come un bambino ansioso che osserva bramoso la mamma che, per Pasqua, ha fatto il pandolce; Niccolò ricordava quegli occhi così pieni di ansia e allo stesso tempo gioia e ancora meglio ricordava l'espressione che Lui aveva avuto quando il telo era stato rimosso - proprio lì, in mezzo alla piazza - da sopra quei tocchi così sapienti: la bocca era rimasta aperta, sbigottita, come se mandibola e mascella si fossero separate per sempre, lasciando una voragine in mezzo; la lingua era come ricaduta all'indietro, soffocando il padrone di casa e lasciandolo muto, dinnanzi a quello spettacolo; gli occhi, prima in attesa, si erano aperti, dilatati, come a raccogliere ogni piccolo dettaglio, perché nulla andasse perso di quella straordinaria opera. 
Niccolò mentre camminava rivedeva tutto questo e un po' si sentiva triste: anche Niccolò voleva essere come Lui.
Ormai la notte stava per calare definitivamente su quel giorno, ormai le ombre si allungavano per i prati e si confondevano con l'oscurità di un cielo stellato, ormai Niccolò era stanco di quella giornata e allora decise di fermarsi: uscì dalla strada, fece qualche passò nel prato e sedette sotto un'albero, protetto dal vento notturno. Si addormentò.
Si risvegliò in un letto: un materasso di piume soffici, una coperta leggera gli copriva il corpo, che non era più magro e affaticato, ma vigoroso e grassottello, ben pasciuto; attorno a lui l'oscurità, ma non le tenebre del solaio, no!, né la notte d'estate, no!: Niccolò si era risvegliato in un letto con un baldacchino e le tende erano tirate. Scese dal letto, ma, mentre apriva la tenda per mettere fuori la prima gambetta, la luce del sole lo colpì agli occhi e per qualche attimo non fu in grado di vedere. Poi capì: era ormai giorno! 
D'istinto, quasi come se fosse un movimento naturale, allungò il braccio, serrò la manina attorno a una cordicella e tirò. Un campanello squillò e subito entrarono due giovani signorine che, senza dire una parola, lo vestirono e lo lavarono. Uscite le signorine, entrò un giovane uomo con la colazione: meraviglia delle meraviglie! Pandolce, miele, latte caldo e marmellate, uova sode e carne fredda!
Mangiò e fu ben sazio, come mai prima d'ora - e infatti quella colazione era più abbondante di qualsiasi pasto avesse mai fatto in vita sua.
Niccolò poi, e non avrebbe saputo dire nemmeno lui perché e per come, si ritrovò in un'altra stanza, con soffitti altissimi e immense finestre che davano su un rigoglioso giardino. Seduto a un tavolo, circondato da carte e scartoffie, si trovava un uomo possente e barbuto, con un cappello rosso in testa da notaio.
«Caro il mio piccolino» iniziò l'uomo «oggi è un giorno importante lo sai, no?»
«Sì» disse Niccolò rispettosamente, chinando un poco il capo.
«Oggi è il giorno di Pasqua, bisogna andare a messa»
E di nuovo inspiegabilmente Niccolò si ritrovò in un altro luogo, ma questa volta non era una sala, bensì la superba aula del duomo, e sedeva poco lontano dallo zio, qualche banco più indietro. Era il momento della comunione. Ma non fu il sangue di Cristo a essere offerto, perché degli uomini presero a colpire i suoi cugini e molti caddero, poi qualcuno lo prese per il collo e pugnalò anche il piccolo Niccolò.
Il sogno era finito, ma mentre Niccolò sognava quel tragico evento che gli era stato raccontato da qualcuno tempo prima, di quella tragica congiura attuata da viscidi nel segreto della sagrestia di una cattedrale, lo stesso Niccolò, che per una notte, per una volta, anche se solo in sogno, era stato finalmente come Lui, moriva: degli ubriaconi, convinti che un bambino con i piedi scalzi e vestito di stracci potesse proteggere un tesoro, uccisero il giovanissimo Niccolò. Questi, però, morì felice: per quella volta era stato vicino a Lorenzo, a Lui; per una volta, almeno, era stato ricco, aveva mangiato, aveva dormito comodamente, aveva camminato sotto i soffitti di Palazzo Pitti, tra le opere amate dal Magnifico; per una volta era stato come un piccolo principe.

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