martedì 8 luglio 2014

ORA ERA LA'. MORTA.

In anni e anni Marisa non aveva mai capito niente dell'amore. A scuola, circondata da decine e decine di coppiette innamorate, non aveva mai cercato di indagare quei rapporti, anzi si era, con il passare del tempo, resa del tutto indifferente a quelle relazioni. Marisa non aveva mai conosciuto il calore di un bacio appassionato, la forza di due braccia affettuose mentre si congiungono attorno a te. Marisa era sempre stata sola. Aveva avuto amiche, ma nessun ragazzo, nessuna piccola cotta. Marisa non ci faceva caso, non si poneva il problema della solitudine. Oramai era una donna, una giovane, anche piuttosto attraente, donna, immersa nello studio della letteratura in università, travolta dai suoi piccoli piaceri, come addormentarsi accoccolata nel letto con un buon libro, o bere un tè alle tre del pomeriggio, o sedersi nella doccia mentre l'acqua scorre costantemente dall'alto. 
Quel giorno camminava speditamente appena fuori della metropolitana, la borsa con dentro i libri e il PC le pendeva dalla spalla sinistra. Era sera. Tardi. La lezione era finita alle sei e lei aveva pensato di rimanere a Milano per cena. Quella sera faceva piuttosto freddo e ogni quattro o cinque passi Marisa si sistemava accuratamente la sciarpa di lana attorno al collo e sulle orecchie. Non mancava molto alla scala che l'avrebbe condotta al treno sotterraneo, ma il freddo era grande. Un piccolo bar, semivuoto. Marisa entrò in un piccolo locale quadrato, un piccolo bancone da un lato e due tavolini, con tre sedie ciascuno, dall'altro. Una cameriera, piuttosto attempata, e due uomini rudi. Bevve un caffè, in silenzio, da sola, senza zucchero.
Ormai stava diventando davvero tardi e sarebbe stata un ottima idea uscire di là e raggiungere la metropolitana e da lì la Stazione Centrale. Uscita dal bar fu invasa dal freddo ma, decisa, s'incamminò verso la scalinata.
Un vicolo. Due uomini, alti e poderosi l'afferrano e la trascinano nel vicolo buio, casa di gatti randagi e scatoloni ammuffiti, uno di loro le tiene una mano sulla bocca, l'altro si sta slacciando la cerniera dei pantaloni. Quest'ultimo la afferra, mentre anche l'altro si slaccia i calzoni. Il primo la sbatte a terra su un mucchio di scatole vecchie e rotte. Marisa ha rinunciato a urlare, è muta, è assente. I suoi occhi lacrimano, continuano a uscire lacrime, continua a piangere. Lei non aveva conosciuto mai l'amore, non aveva mai avuto un rapporto, non aveva mai ... Lei non aveva amato. I libri che amava le avevano raccontato un amore etereo, soave, idillico, celestiale. Attraverso i libri aveva conosciuto le pene d'amore, ma anche le gioie. Aveva, poche volte, ma qualcuna, sognato quell'emozione.
Ora era là. Morta.
Le sue membra appartenevano a quei due uomini che continuavano a stuprarla, a godere, a insultarla, a eccitarsi, a picchiarla, a inorgoglirsi. Quei due maschi - non erano uomini - continuarono a lungo. Marisa stette ferma, immobile. Morta.
Finirono, un ultimo pugno, un'ultima violenza e poi scapparono. Ridendo.

La trovarono due signore anziane, per caso, la mattina dopo. Chiamarono i soccorsi e fu portata in ospedale. Venne curata nel corpo. Ma nessuno curò il suo spirito. Lei non conobbe mai l'amore. Se prima non provava interesse per quel sentimento conosciuto solo sui libri, ora lo credeva una chimera.
Marisa non amò mai.
Marisa scoprì presto che uno di quelle bestie non solo l'aveva violata, ma l'aveva distrutta: Marisa era incinta, ma non riuscì a tenere il bambino. Marisa uccise quel bambino che non avrebbe mai potuto chiamare 'figlio'. Marisa ora era là. Morta. Passò su questo mondo come ogni altra persona, ma nessuno si ricordò di lei. Marisa pianse quella creatura, ma mai si sentì di piangere per un 'figlio'. E oggi è ancora là. Morta.

Nessun commento:

Posta un commento