Lui sedeva là, da solo. Dimenticato dal mondo per sua stessa
volontà. Non ce la faceva più, almeno non in quel momento. Per ora s'era dovuto
arrendere. Cosa avrebbe potuto fare? Lo vedevo, lo vedevo sconfitto e inerme.
Io pure, ormai, ero incapace, inutile. Dinnanzi a lui perdevo ogni possibilità.
Mi avvicinai: non sarebbe nemmeno venuto nessuno a disturbare, visto che era
un'ora buca.
Sedetti accanto a lui e per un attimo non feci altro che guardare
diritto avanti a me, verso gli altri, verso quell'orducola di gente un po'
troppo casinara. Qualcuno voleva studiare, portarsi avanti, ripassare; ma
qualcuno, e direi la maggior parte, voleva solo godersi quel momento di
libertà. Spostai il mio sguardo sul suo volto; perso, vuoto. La bellezza sua
solita e poi quell'alone orrendo, quella terrificante patina di resa, di
sconfitta, di un niente troppo profondo e troppo radicato.
Mi sporsi vicino a lui. Aveva gli occhi un pochino lucidi.
- Sono qui
Non rispose. Ancora era là, smarrito chissà dove, privato della
sua anima, abbandonato alla stupidità dell'assenza. Non rispose, non riusciva,
non poteva. Non rispose e lì crebbe, crebbe l'immenso dolore nel mio cuore, nel mio spirito, nella mia
anima. Ero parte di lui, in quel momento.
- G.!!! - mi chiamò qualcuno da lontano - Mi dai una mano con
latino?!
Non risposi, ero là, smarrito, chissà dove, privato della mia
anima, abbandonato alla bellezza orrenda della condivisione con l'unica
creatura che riuscivo ad abbracciare con imbarazzo, perché quando lo facevo mi
sentivo un profanatore, un empio che osa avvicinarsi alla santa reliquia.
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