domenica 23 agosto 2015

IL CONDANNATO A MORTE

racconto inserito in 'Testamento' - JD 00 Aa 345 (archivio personale) 

Aveva pianto, almeno i primi giorni. Era disperato, com'è ovvio, per la sua miserevole situazione. Erano amare, oh se erano amare quelle lacrime: bruciavano come acido man mano che scendevano lungo le guance. Non c'era stato molto da fare, però, e anche lui se n'era reso conto. Aveva avuto contro di lui qualcuno di potente e le cose vanno sempre così. Il debole soccombe. Il forte è tale. Ma c'era comunque un senso di ingiustizia, non solo per l'orribile pena, ma anche solo per il fatto di essere stato giudicato colpevole! Perché avevano scelto lui? Era un ragazzo e nient'altro. Quasi non aveva sfiorato ancora i piaceri della vita, appena uscito dalla più tenera età; e già si avvicinava alla morte, all'ultimo, fatidico istante in cui avrebbe consegnato la sua anima alle mani indifferenti del boia. Dicono che appena prima di morire tutta la vita ti scorre dinanzi agli occhi, tutti gli istanti dell'esistenza. Per lui sarebbe stato un breve spettacolo. Che cosa avrebbe ricordato? Se lo chiedeva tra una lacrima e l'altra. C'era il volto severo di sua madre, alla quale aveva sempre guardato con timore; c'erano le ore di gioco nel grande prato poco fuori città; c'era l'odore del mercato del sabato, quando l'aria è impregnata di grida da mercante e di scherzi da furfanti. Tutto si presentava ai suoi occhi avvolto dall'umida coltre di lacrime.
Poi il buio lo aveva accarezzato con costanza e allora s'era arreso. Il pianto aveva lasciato il posto allo sporco della cella, l'indifferenza rassegnata aveva soffocato la disperazione.
Le giornate passavano così, senza parole, senza gesti. Il cibo se lo ritrovava calato dall'alto quando riapriva gli occhi dopo un breve sonno senza sogni. Nemmeno poteva contare i giorni che passavano senza di lui, perché tutto era buio. Non sapeva cosa lo circondava, vedeva solo le tenebre. A volte si confondeva a tal punto che non riusciva a distinguere il sonno dalla veglia.
S'accartocciava in un angolino, chiudendosi in se stesso, in posizione fetale, alla ricerca, nella propria immaginazione, di un tocco gentile che potesse coccolarlo. Non aveva freddo, ma aveva bisogno comunque di un abbraccio caldo, di una stretta affettuosa che lo avvolgesse e lo stringesse saldamente. Non c'era un qualcosa a cui aggrapparsi, qualcosa che lo traesse fuori da quell'oscena sensazione di solitudine? Anche la sua fantasia, man mano che il tempo nella cella passava, diventava sempre più incapace di sorreggerlo. A poco a poco le speranze si sciolsero, i sogni evaporarono e presto il suo animo fu sgombro.
Vennero a prenderlo in due, senza troppi complimenti. Lo alzarono - era uno scheletro senza alcuna forza - e lo portarono fuori. Era libero: il giudice aveva rivalutato il caso e non c'era assolutamente ragione per ritenerlo colpevole. Era libero, libero di andare e di tornare a vivere.

Lo trovarono morto, a pochi passi dal Tribunale che lo aveva giudicato, in un angolo della strada che non si vede nemmeno dall'alto di una carrozza. S'era lasciato morire di fame. Il corpo aveva finalmente raggiunto l'anima.

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