racconto
inserito in 'Testamento' - JD 00 Aa 345 (archivio personale)
Aveva pianto, almeno i primi giorni. Era disperato,
com'è ovvio, per la sua miserevole situazione. Erano amare, oh se erano amare
quelle lacrime: bruciavano come acido man mano che scendevano lungo le guance.
Non c'era stato molto da fare, però, e anche lui se n'era reso conto. Aveva
avuto contro di lui qualcuno di potente e le cose vanno sempre così. Il debole
soccombe. Il forte è tale. Ma c'era comunque un senso di ingiustizia, non solo
per l'orribile pena, ma anche solo per il fatto di essere stato giudicato
colpevole! Perché avevano scelto lui? Era un ragazzo e nient'altro. Quasi non
aveva sfiorato ancora i piaceri della vita, appena uscito dalla più tenera età;
e già si avvicinava alla morte, all'ultimo, fatidico istante in cui avrebbe
consegnato la sua anima alle mani indifferenti del boia. Dicono che appena
prima di morire tutta la vita ti scorre dinanzi agli occhi, tutti gli istanti
dell'esistenza. Per lui sarebbe stato un breve spettacolo. Che cosa avrebbe
ricordato? Se lo chiedeva tra una lacrima e l'altra. C'era il volto severo di
sua madre, alla quale aveva sempre guardato con timore; c'erano le ore di gioco
nel grande prato poco fuori città; c'era l'odore del mercato del sabato, quando
l'aria è impregnata di grida da mercante e di scherzi da furfanti. Tutto si
presentava ai suoi occhi avvolto dall'umida coltre di lacrime.
Poi il buio lo aveva accarezzato con costanza e
allora s'era arreso. Il pianto aveva lasciato il posto allo sporco della cella,
l'indifferenza rassegnata aveva soffocato la disperazione.
Le giornate passavano così, senza parole, senza
gesti. Il cibo se lo ritrovava calato dall'alto quando riapriva gli occhi dopo
un breve sonno senza sogni. Nemmeno poteva contare i giorni che passavano senza
di lui, perché tutto era buio. Non sapeva cosa lo circondava, vedeva solo le
tenebre. A volte si confondeva a tal punto che non riusciva a distinguere il
sonno dalla veglia.
S'accartocciava in un angolino, chiudendosi in se
stesso, in posizione fetale, alla ricerca, nella propria immaginazione, di un
tocco gentile che potesse coccolarlo. Non aveva freddo, ma aveva bisogno
comunque di un abbraccio caldo, di una stretta affettuosa che lo avvolgesse e
lo stringesse saldamente. Non c'era un qualcosa a cui aggrapparsi, qualcosa che
lo traesse fuori da quell'oscena sensazione di solitudine? Anche la sua
fantasia, man mano che il tempo nella cella passava, diventava sempre più
incapace di sorreggerlo. A poco a poco le speranze si sciolsero, i sogni
evaporarono e presto il suo animo fu sgombro.
…
Vennero a prenderlo in due, senza troppi
complimenti. Lo alzarono - era uno scheletro senza alcuna forza - e lo
portarono fuori. Era libero: il giudice aveva rivalutato il caso e non c'era
assolutamente ragione per ritenerlo colpevole. Era libero, libero di andare e
di tornare a vivere.
…
Lo trovarono morto, a pochi passi dal Tribunale che
lo aveva giudicato, in un angolo della strada che non si vede nemmeno dall'alto
di una carrozza. S'era lasciato morire di fame. Il corpo aveva finalmente
raggiunto l'anima.
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