martedì 4 agosto 2015

PIANTO

Stava lì, immobile. La vita piena di sorrisi e parole aveva ormai abbandonato quell’uomo e quel corpo morto stava lì, abbandonato alle sue membra. Qualcuno lo aveva adagiato lì, su quel blocco di pietra e una donna aveva gentilmente offerto un piccolo cuscino scolorito. Il telo bianco lo isolava dalla roccia fredda, sebbene ormai lui fosse più freddo della pietra stessa. Un secondo lenzuolo era stato poggiato sul pube e sulle gambe, gli lasciva scoperti i piedi.
Il suo corpo era esangue, bianco come il marmo, ma gli aloni della decomposizione, quelle ombre giallognole, comparivano qua e là su tutto il corpo.
Il capo era leggermente reclinato a sinistra e la sua corta barba era incrostata di sporco, i capelli unti, riccioli, erano sparsi sotto quella testa ormai lontana dal mondo. Il suo volto, tirato, era spento e in quiete, le palpebre, che così pesantemente erano calate sul mondo quando era morto, erano serrate e quasi sigillate, privando tutti di quello sguardo così pacifico e luminoso che in vita aveva così tante volte ammaliato i molti. Due donne erano disperate, accanto a quel corpo morto. Che spettacolo straziante! L’una si asciugava le lacrime che incessantemente colavano dagli occhi, l’altra, anch’essa scossa dai tremiti del pianto, pregava a mani giunte, osservando quei lineamenti che ancora le ricordavano vita, ma che orami erano solo morte e vuoto. Una signora, qualche attimo prima, aveva dato loro un unguento profumato, un olio per trattare il suo misero corpo e le due lo avevano appoggiato momentaneamente sulla roccia, a fianco della testa del cadavere. Il cadavere.
Il lenzuolo segnava così bene quei muscoli poderosi delle cosce che sembrava che l’uomo fosse pronto a rimettersi in piedi e affrontare una nuova camminata. Le sue mani giacevano contratte e i buchi sui palmi erano un triste ricordo delle sue sofferente. Anche i piedi erano attraversati da due voragini enormi.
C’era una terza donna, abbandonata inginocchio ai piedi del ‘tavolo’ di pietra. Osservava il cadavere, ma non riusciva a piangere, no!, lei lo osservava fissamente, quasi in maniera distaccata, quasi fosse insensibile a quello spettacolo atroce. Apparenza! Il suo cuore era immobile nel suo petto, il mondo per lei si era fermato e osservava quel corpo sconcertata: come era possibile che quell’uomo, che tanto bene aveva fatto e a tanti, fosse ora lì, immobile, esanime, morto? Ricordava le sue parole che in moltissimi avevano udito; ricordava le sue mani, ora attraversate da ferite terrificanti, mentre carezzavano malati e bambini, mentre aiutavano qualche povero pescatore a tirare in barca le reti o mentre semplicemente portavano il cibo alla bocca; ricordava quei piedi che a lungo avevano calpestato le polveri del deserto, instancabili, come mossi da una forza sovraumana; ricordava i suoi sorrisi pacifici, i suoi sorrisi affettuosi e sinceri, innocenti; ricordava i suoi occhi che così tante volte lei aveva paragonato – solo nella sua mente di donna sciocca – a quelli di un bambino.
Ora era lì, le lacrime non le sgorgavano dagli occhi e non solcavano le sue guance impolverate, ma il suo cuore, la sua anima, nel so intimo, piangevano, si disperavano e gridavano. Un pianto amaro nell’animo di una donna comune che aveva conosciuto un uomo straordinario.

Andrea Mantegna, Cristo morto

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