Stava lì,
immobile. La vita piena di sorrisi e parole aveva ormai abbandonato quell’uomo
e quel corpo morto stava lì, abbandonato alle sue membra. Qualcuno lo aveva
adagiato lì, su quel blocco di pietra e una donna aveva gentilmente offerto un
piccolo cuscino scolorito. Il telo bianco lo isolava dalla roccia fredda,
sebbene ormai lui fosse più freddo della pietra stessa. Un secondo lenzuolo era
stato poggiato sul pube e sulle gambe, gli lasciva scoperti i piedi.
Il suo corpo era
esangue, bianco come il marmo, ma gli aloni della decomposizione, quelle ombre
giallognole, comparivano qua e là su tutto il corpo.
Il capo era
leggermente reclinato a sinistra e la sua corta barba era incrostata di sporco,
i capelli unti, riccioli, erano sparsi sotto quella testa ormai lontana dal
mondo. Il suo volto, tirato, era spento e in quiete, le palpebre, che così
pesantemente erano calate sul mondo quando era morto, erano serrate e quasi
sigillate, privando tutti di quello sguardo così pacifico e luminoso che in
vita aveva così tante volte ammaliato i molti. Due donne erano disperate,
accanto a quel corpo morto. Che spettacolo straziante! L’una si asciugava le
lacrime che incessantemente colavano dagli occhi, l’altra, anch’essa scossa dai
tremiti del pianto, pregava a mani giunte, osservando quei lineamenti che
ancora le ricordavano vita, ma che orami erano solo morte e vuoto. Una signora,
qualche attimo prima, aveva dato loro un unguento profumato, un olio per
trattare il suo misero corpo e le due lo avevano appoggiato momentaneamente
sulla roccia, a fianco della testa del cadavere. Il cadavere.
Il lenzuolo
segnava così bene quei muscoli poderosi delle cosce che sembrava che l’uomo
fosse pronto a rimettersi in piedi e affrontare una nuova camminata. Le sue
mani giacevano contratte e i buchi sui palmi erano un triste ricordo delle sue
sofferente. Anche i piedi erano attraversati da due voragini enormi.
C’era una terza
donna, abbandonata inginocchio ai piedi del ‘tavolo’ di pietra. Osservava il
cadavere, ma non riusciva a piangere, no!, lei lo osservava fissamente, quasi
in maniera distaccata, quasi fosse insensibile a quello spettacolo atroce.
Apparenza! Il suo cuore era immobile nel suo petto, il mondo per lei si era
fermato e osservava quel corpo sconcertata: come era possibile che quell’uomo,
che tanto bene aveva fatto e a tanti, fosse ora lì, immobile, esanime, morto?
Ricordava le sue parole che in moltissimi avevano udito; ricordava le sue mani,
ora attraversate da ferite terrificanti, mentre carezzavano malati e bambini, mentre
aiutavano qualche povero pescatore a tirare in barca le reti o mentre
semplicemente portavano il cibo alla bocca; ricordava quei piedi che a lungo
avevano calpestato le polveri del deserto, instancabili, come mossi da una
forza sovraumana; ricordava i suoi sorrisi pacifici, i suoi sorrisi affettuosi
e sinceri, innocenti; ricordava i suoi occhi che così tante volte lei aveva
paragonato – solo nella sua mente di donna sciocca – a quelli di un bambino.
Ora era lì, le
lacrime non le sgorgavano dagli occhi e non solcavano le sue guance
impolverate, ma il suo cuore, la sua anima, nel so intimo, piangevano, si
disperavano e gridavano. Un pianto amaro nell’animo di una donna comune che
aveva conosciuto un uomo straordinario.
Andrea Mantegna,
Cristo morto
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