Colorando il suo disegno, chissà per quale ragione, un bambino
parlava, parlava senza che qualcuno potesse distinguere chiaramente una qualche
parola. I contorni erano un concetto ancora un po' fragile per la sua giovane
mente, ma la conversazione - se così possiamo definirla - era estremamente
vivace e, evidentemente, molto coinvolgente. Ascoltava la sua voce e si
rispondeva da sé, senza un'altra opinione, senza nessun altro interlocutore.
Colorava il suo disegno e intanto discuteva.
Mentre si tormentava i ditini grassottelli, ancora ben morbidi, quel
bimbetto teneva il musetto un po' imbronciato e si fissava le mani. Ogni tanto
faceva cadere la testa da una parte, poi dall'altra, poi di nuovo a destra,
sospendeva per un attimo quel suo vagare per crollare ancora con la testa a
sinistra. Teneva la boccuccia stretta tra le guance paffutelle e un pochino
s'intravedevano i finissimi denti da latte. Un ciuffettino ribelle spuntava
sulla nuca.
Era impossibile tenerlo fermo. Ciondolava sempre e lasciava andare in una
sfrenata corsa sospesa le sue gambette. Avvolto nel vestito della festa,
cercava di far passare quella noiosissima ora - manco sapeva che fosse un'ora!
Attorno a lui la gente sbuffava ogni tanto, quando i gridolini si facevano un
po' più forti e acuti, ma sempre di nascosto, sempre con un velo di amorevole
pazienza perché, in fondo, è solo un bambino. Qui e là interveniva la mamma -
la mamma! - e cercava di calmare il pargolo con un sonoro 'ssssss!': il
bimbetto guardava la facciona della mamma - che bella la mamma! - e rimaneva
perplesso per qualche minuto. Poi si ricominciava.
Riaccendeva e spegneva la luce, poi di nuovo, poi ancora, ancora e
ancora. Una magia, quel continuo andare e venire di tutta la stanza. Ora c'era,
ora non c'era più, eccola di nuovo, sparita un'altra volta. La nonna era in
cucina, nell'altra stanza insomma, e per stavolta s'era lasciato sfuggire
l'amatissimo nipotino. Questi, molto intelligentemente, s'era allontanato in
silenzio, senza fare troppo macello; s'era allungato sulla parete,
appiccicandosi al muro e lanciando in alto la manina, fino a raggiungere
l'interruttore. La stanza era lì, poi non c'era più: per farla ricomparire
bastava un ditino cicciottello.
Che bello, che bello dev'essere raccogliere i fiori per il semplice
gusto di farlo: non pensi a qualcuno, non c'è l'intenzione di farne dono a
qualcuno, no. Prendi i fiori e li avvicini l'uno con l'altro, poi ne aggiungi
un altro, ancora uno e bom, hai fatto un mazzolino. Pura bellezza. Ed è solo
ora che si pone il problema: adesso che ne sarà di questo bel mazzetto? Questi
bellissimi fiori non possono finire per terra, perché ormai non sono più
'attaccati all'erba' … che fare? Beh, a questo punto: "Mamma, ho raccolto
questi fiori per te!"
Meno male che c'è la mamma: a lei potrai rifilare tutto e sempre, e ne
sarà comunque grata.
Riordina i giocattoli, il papà. La mamma cucina e quindi è toccato a
papà quel duro compito. Ogni tanto sbuffa un po'. Chissà perché c'è bisogno di
riordinare tutto? In fondo domani dovremo ritirare tutto fuori per giocare di
nuovo, in fondo perché non lasciare tutto com'è, così che tutto sia bene in
vista e non infilato a casaccio in uno
scatolone? Perché? Sì, su andiamo a dirlo a papà, diciamogli che non deve fare
fatica stasera, perché non serve a nulla, visto che serve tutto domani!
"Mammaaaaaaaa!" E perché c'era questo foglio colorato in
mezzo alla camera?! Ci sono inciampato! Fa male …
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