martedì 23 febbraio 2016

SKIN-TIGHT JEANS - seconda parte

MARTEDÌ mattina - 1
"Che palle 'sta pioggia!" pensava appoggiando la sua fronte al vetro freddo. Era l'ennesimo giorno che iniziava con quel grigiore muffito: il noce del giardino davanti era appesantito dalle goccioline che continuavano a battere sulle foglie verdi. Qualche uccello attraversava il cielo e si posava al riparo di qualche grondaia dove iniziava a scuotersi le penne.
«Ti porto in macchina! - tuonò la voce soave di sua madre dall'altra stanza – Piove!»
Si staccò dalla finestra rattristata ancora di più: già aveva dormito poco, in più la giornata iniziava nella  muffa piovosa; almeno quel giorno non ci sarebbero state verifiche. Ma non aveva proprio voglia di vedere i suoi compagni, non voleva passare anche quel giorno davanti a tutti quegli sguardi odiosi, avrebbe preferito stare con Adriana, perdere tempo con lei a fare stupidaggini, a ridere, o guardare qualche film. Ma non poteva quel giorno: Adriana aveva due verifiche e non poteva balzare la giornata.
Andò in bagno, dove, appena accesa la luce sullo specchio, ritrovò quel volto stufo, abbattuto, decisamente non felice. I suoi occhi erano arrossati dall'ennesima notte passata a dormire male, tormentata da mille pensieri, trascorsa a sentire la mancanza di Adriana; la pelle era molla, cadeva stanca, assonnata … con che coraggio uscire di casa? Perché non tornare ancora nel letto, tra le coperte a immaginare che Adriana fosse lì a coccolarla con le sue parole coraggiose, con la sua forza, la sua vitalità.
Questo era il momento del miracolo giornaliero, quel miracolo fondamentale che le garantiva di poter affrontare le ore successive con meno svilimento: aprì l'acqua e la lasciò scendere tra le sue mani mentre da fredda diventava tiepida, calda, bollente. Il calore partiva, allora, dalle dita, dai palmi e in un brivido scivolava per tutto il corpo scuotendola tutta, rinvigorendo ogni membra della sua magrezza. Fece una ciotola con le proprie mani e raccolse l'acqua che iniziava ad intorbidirsi, a farsi opaca. Affogò il suo volto e sbatté le sue dita contro il viso, sentendo sotto le falangi ogni osso del viso, ogni curva …
Si drizzò di nuovo davanti allo specchio e ora c'erano degli occhi un po' alleggeriti rispetto a prima, c'era un colorito rosato su quella pelle che pareva più soda, più viva, riempita quasi. Ecco che ancora una volta s'era compiuto il miracolo e quel viso cadaverico era scomparso, trascinato giù nello scarico dall'acqua bollente del rubinetto; nel lavandino riconosceva ancora, nell'acqua che tentava di scendere giù abbondante, lottando per scivolare via tutta, un tratto di quella stanchezza, intravedeva ancora quelle palpebre pesanti, ma in pochi attimi tutto fu inghiottito dalle fogne e almeno l'aspetto di Beatrice era, ora, quello di una ragazza normale, non felice di andare a scuola, ma nemmeno tremendamente scossa dalle ansie del suo cuoricino.
Si vestì in fretta, indossando una delle magliette che più piacevano ad Adriana - era una t-shirt semplicissima ma su un seno c'era cucita una minuscola coccinella che, con il suo rosso, risaltava sul tessuto celeste chiaro.
In macchina sedette dietro, come tutte le mattine, cercando di ignorare le urla feroci di sua madre perché una vecchietta s'era buttata in mezzo alla strada e ora impiegava ore per raggiungere l'altro marciapiede, o perché un deficiente aveva pensato bene di sfrecciare con la sua bicicletta tra il traffico intasatissimo di quella giornata piovosa.
Di sottofondo scorrevano le canzoni che qualcuno sceglieva per le loro mattine, tutte commentate da una voce estremamente fastidiosa di una qualche checca che emergeva verso la fine dei brani, quando le voci dei cantanti sfumavano verso il silenzio.
Alle fermate degli autobus davanti alla stazione s'accalcava una mandria infinita di studenti che attendevano tutti il loro pullman, estremamente eccitati nell'attesa di un'altra entusiasmante giornata di scuola: là c'erano i fattoni che si lasciavano elegantemente andare a sputacchi diffusi attorno a loro, per eliminare in qualche modo la straordinaria quantità di saliva che riuscivano a produrre; le ragazzine diligenti si riparavano in otto sotto un misero ombrellino con una stecca rotta: ridacchiavano o s'insultavano, inspiegabilmente accaldate in quel clima piovoso; i 'normali', poi, erano semplicemente i meno strani: qualcuno fumava la sua sigaretta, qualcuno messaggiava con chissà chi, qualcuno si preoccupava di riuscire a salire sul pullman giusto in mezzo a quel disastro.
Finalmente qualche autobus arrivava e allora erano scene meravigliose: in una scatoletta malandata s'ammassava un'infinita quantità di carne umana. Quando era il momento di chiudere le porte, poi, o una mano troppo inanellata di un fattone, o uno zaino con un quaderno di troppo, o un sedere di fanciulla non proprio in forma faceva sì che il braccio o il piede di qualcuno rischiasse l'amputazione. A quel punto le porte si rifiutavano di compiere tale intervento ed era straordinario vedere tutta quella gente tentare di riposizionarsi per occupare ognuno ancora meno spazio. In qualche modo si trovava una quadra e finalmente si partiva, si partiva con fatica verso un luogo che avrebbero tutti evitato molto volentieri.
«Non so se riesco a passare a prenderti: ti mando un messaggio»
«Va bene … tanto forse esco prima: se manca Alighetti (come è possibile visto che mancava anche ieri) all'una esco e torno a casa a piedi»
«D'accordo, basta che me lo dici»
La scuola iniziava ad intravedersi lontano, nel suo magnifico color topo morto. Lungo la strada qualche altro folle avrebbe tentato di suicidarsi solo per raggiungere un branco di suoi amici dall'altra parte, ma ormai tutti erano abituati a quello e faceva parte dell'imparare a guidare in città; un po' come quelle prove di Scuola di Polizia in cui devono entrare in un percorso e sparare solo ai cattivi ed evitare gli 'indifesi': qui bisognava tenere gli occhi non aperti, non spalancati, ma direttamente fuori dal parabrezza per avere una vista a trecentosessanta gradi sulla strada.
«Ciao!»
«Ciao …» si salutarono le due donne: la madre aveva tentato un po' di colore nel tono di voce, la figlia l'aveva stroncata con la solita secchezza, con il solito tono annoiato, stufo.
Ecco l'altro miracolo che si ripeteva ogni giorno: Beatrice si ritirò nel suo angolino, al riparo del suo ombrellino verde acqua - un ombrellino terribile, ma ch'era l'unico sopravvissuto di una lunga schiera! - ad aspettare.
> Dove sei?
» Arrivo: il pullman sta girndo ora
L'immancabile errore nel digitare era la conferma che a scrivere era una che odiava i telefoni, gli smartphone e tutto ciò che sia tecnologico: Adriana era così, e a lei piaceva che fosse così.  Mentre leggeva il messaggio comparve il primo sorriso della giornata, un sorriso che le scaldava il cuore ancor meglio che l'acqua bollente del rubinetto. In quei momenti, assurdamente, si accorgeva di quanto fosse contenta di avere Adriana: in altri momenti le mancava se era lontana, quando era con lei e parlavano stava bene ed era in pace, ma c'erano delle cose che le davano una gioia tutta particolare, una contentezza unica e straordinaria. Erano i momenti in cui, magari, Adriana stava parlando con i suoi compagni, mentre rideva bellamente per una battuta particolarmente spassosa: Beatrice la osservava, anzi no, la spiava e nel suo cuoricino sentiva un piacere immenso, quasi che in quello sguardo segreto ci fosse qualcosa di portentosamente potente, in grado di cancellare tutto il resto.
Il pullman ora lo vedeva avvicinarsi lungo il viale, affiancato da tante macchinine tutte colorate, battute tutte da gocce incessanti. Oltre il parabrezza si vedeva un ammasso informe di esseri umani (?) incastrati l'uno sull'altro, impilati come tanti mattoncini di forma diversa, un Tetris in carne ed ossa! I giubbottini colorati nella penombra dell'autobus stingevano in un marrone-nero vomitevole, una massa di colore indistinta. Finalmente si fermò davanti alla fermata e le porte s'aprirono, sbattendo contro i gomiti di qualche malcapitato. Tutti si rovesciarono fuori, quasi che quelle fossero bocche in preda al vomito. Man mano che la gente saltava giù qualcuno apriva agilmente il proprio ombrello, qualcun altro correva a ripararsi da un'altra parte.
Eccola, là. In un istante rapidissimo s'era fermata sulla soglia dell'autobus e aveva dato uno sguardo tutt'attorno: s'erano viste e lei aveva ripreso il suo movimento interrotto, precipitandosi anche lei giù dal pullman.
Le corse incontro senza aprire l'ombrello. Appena arrivò sotto quello di Beatrice le disse «Ciao!» con una voce allegra e particolarmente acuta e poi le diede un bacio, non permettendole di rispondere a parole.
Le piaceva ogni cosa di Beatrice, ma una delle cose che più adorava era il suo gusto: all'inizio sentivi il dentifricio, o la cicca, che le insaporivano la bocca di menta, ma poi era come se sentisse il sapore di lei stessa, un sapore solo per lei, che nessun altro avrebbe potuto sentire, gustare.
«Ciao - disse Beatrice quando le labbra si staccarono le une dalle altre; nella sua voce, quando parlava con Adriana, c'era un colore nuovo, un colore insolito, emozionato e, stranamente, felice - sei pronta per storia e fisica?»
«Sì - rispose lei, guardandola negli occhi con molta semplicità, infilando le sue mani nelle tasche della sua ragazza - cioè, andranno uno schifo entrambi, ma chissene: speriamo di riuscire a copiare qualcosa!»
«Ciao ragazze!» le salutò un compagno di classe di Beatrice.
«Ciao!» «Ciao!» risposero quasi all'unisono.
«Dai iniziamo ad andare sotto» propose Adriana, prendendo sotto braccio Beatrice, stringendosela tra le braccia.
Camminavano parlando di niente, con quella leggerezza che è la serenità dell'amore dei giovani, quando si passa il tempo a ridere ed essere semplicemente felici, quando non si hanno sensazioni assurde, ma semplicemente si sta bene con qualcuno, si desidera godersi questo qualcuno ogni minuto di ogni giorno finché non si ha la nausea - non tutti i giovani sono così, purtroppo, ma Beatrice  e Adriana lo erano, forse mosche rare in un mondo che dimenticava a poco a poco quest'amore giovane.
Camminavano con il cuore leggero, felici, semplicemente felici, ignorando la pioggia che picchiettava sull'ombrello, ignorando le pozzanghere che si presentavano man mano. Non c'era niente che le potesse disturbare.

Il viso stanco e stufo, abbattuto di Beatrice era scomparso nello scarico con l'acqua bollente, inghiottito dalle fogne.

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