Durante la notte si era rigirato in continuazione
senza riuscire a prender sonno, oppresso da mille perplessità, da infinite
ansie. I piedi si erano mossi tutta notte tormentandosi a vicenda, sfregando
l'uno contro l'altro, raschiando con le unghie i polpacci e le lenzuola.
Talvolta accavallava le gambe, ma dopo poco doveva cambiare posizione, per non
grondare infinitamente sudore.
Il sonno giunse solo quando l'ora del giorno era
molto vicina: fu un sonno improvviso e brevissimo, quasi un battito di ciglia;
non fece nemmeno tempo ad accorgersi che era addormentato che il suono della
sveglia lo obbligò ad alzarsi.
Rassegnato, stanco solo di essere stanco, sollevò
pesantemente la testa dal cuscino caldo e accese la luce. Ritrovò il consueto disordine
della sua camera, lo stesso disordine di quando la luce la aveva spenta, la
sera prima. Sul tavolo crescevano quattro pile di libri (tutti i suoi libri di
scuola): un piccolo libriccino sopportava il peso di altri libri di storia e
letteratura, e il tutto pareva estremamente instabile, traballante, pronto a
collassare da un momento all'altro; una delle pile, invece, pareva più
un'antica zigurrat. Si trascinò al tavolo e ricordò di quali libri avrebbe
avuto bisogno quel giorno: filosofia, filosofia, greco, italiano, scienze,
greco … che giornataccia!
Dopo aver svuotato la cartella, la riempì: aggiunse
qualche foglio bianco (magari avrebbe trovato la voglia - poiché di tempo ce
n'era abbastanza - di disegnare).
In cucina qualcuno stava già facendo colazione;
scese anche lui e lasciò dietro di lui la luce accesa e la porta chiusa.
Dopo la solita colazione silenziosa (un bicchiere
di latte accompagnato da un paio di inconsistenti 'buongiorno' o 'ciao'), andò
in bagno: eccola là, quella solita faccia sbattuta, quell'espressione monotona
e annoiata, noiosa e banale, attraversata da profonde occhiaie stanche. La
pelle, biancastra, smunta, rimaneva attaccata quasi per miracolo a quella
faccia stufa. Sì, era proprio la solita faccia da zombi che quello specchio gli
offriva ogni mattino, ed era ora di compiere quell'incantesimo che tutte le
mattine produceva il miracolo: aprì l'acqua e la lasciò scendere un po'; mentre
aspettava che si scaldasse, si lavò i denti, sfregando ben bene per cancellare
l'alito della notte insonne. All'ultimo risciacquo, subito dopo lo sputo, il
dito che aveva lasciato sotto il getto avvertì il caldo di cui aveva bisogno.
Con le mani giunte raccolse dell'acqua e poi, finalmente, v'immerse la sua
faccia: una delle sensazioni più piacevoli che il Buon Dio abbia concesso agli
uomini; il calore passa dall'acqua alla pelle e dalla pelle quel calore scorre,
con il sangue, nelle vene. Un brivido, allora, sconvolge ogni nervo e la
goduria è infinita!
Probabilmente avrebbe passato l'intera giornata
così, ma presto la coscienza si ripresentò e sussurrò sottovoce al suo cuore di
smettere di sprecare tutta quell'acqua.
Risollevo il capo e … miracolo: le occhiaie c'erano
ancora, ma ora non attraversavano il viso con la crudeltà di poco prima; la
pelle s'era rinvigorita e adesso il colore non ricordava più il vomito pallido
dei neonati, quei rigurgitini di latte donati, così affettuosamente, ai
maglioncini delle madri. Un po' di stanchezza sembrava essersi sciolta
nell'acqua calda, sembrava essere scivolata via nello scarico, giù con il
dentifricio e lo sputo. Ah … un miracolo davvero.
Tornò in camera sua, dove, ad accoglierlo, trovò
quell'odore caldo e vivo, l'odore di una notte e di sospiri affannati,
quell'odore di calore, ansie e dubbi.
Non ci volle molto tempo perché fosse pronto …
quando uscì di casa il sole a malapena iniziava a sbirciare da oltre
l'orizzonte. La nebbia gravava umida per le strade e le persone si muovevano
bardate contro il gelo dell'inverno. I fari delle automobili tagliavano a fatica
quella coltre bagnata. Bastavano pochi passi e un sottile strato di goccioline
si depositava sui vestiti, sui capelli, sulle guance.
Mirco camminava al solito, con la musica nelle
orecchie. Le sue labbra si muovevano lentamente ricordando le parole che ormai
conosceva come il proprio nome. Quelle erano le canzoni di tutte le mattine,
quelle tracce che qua e là aveva ascete per i più disparati motivi e che aveva
messo l'una dopo l'altra, per potersi dimenticare, quando le sentiva, di ciò
che c'era attorno.
All'angolo, là, si sarebbe fermato e avrebbe
atteso, come sempre, Dario. Lui sarebbe sceso dopo qualche minuto, preceduto dal solito messaggio
"Sto arrivando"; avrebbe aperto la porta di vetro con il solito
sorriso eccessivo e il suo saluto si sarebbe sentito lungo tutta la via.
Intanto nelle orecchie cantava una voce di donna,
una calda voce di madre che si struggeva per un amore eterno, ma impossibile;
quella canzone gli era da sempre cara, ma era entrata solo recentemente nella
playlist mattutina, solo quando la cantante era morta, per il dolore di milioni
di fan.
Proprio mentre la canzone raggiungeva le sue note
più strazianti e addolorate, il corridoio s'illuminò e dalle scale saltò giù
Dario. La cartella parve a Mirco troppo leggera, ma, probabilmente, Dario non
aveva intenzione di seguire granché le lezioni.
«Buondì» esplose sorridendo Dario, mentre,
placidamente, Mirco si stappava le orecchie.
«Ciao ..» sorrise, ma era già stufo: non aveva
proprio voglia di andare a scuola.
«Oggi che hai?» chiese l'altro mentre si
incamminavano fianco a fianco verso il centrocittà.
«Una giornata inutile .. spiegano - lo disse come
se non fosse affar suo il fatto che spiegassero - io cazzeggerò tutto il giorno
mi sa: guarda il cellulare!»
«Io ho una verifica alla seconda, ma per il resto
…: cazzeggio totale; ho anche due ore buche!»
«Fanculo!»
«Ti voglio bene anche io» rise rumorosamente.
Ormai s'erano avvicinati al parco immerso nel
silenzio umido della mattina invernale. Degli alberi si vedeva qualche tronco
nero, le chiome spoglie salivano, invece, invisibili, inghiottite da tutto quel
bianco. A intervalli regolari le luci dei lampioni si sprigionavano
faticosamente in sfere umide e l'effetto creato da quelle goccioline invisibili
era strano .. un po' assurdo.
«Alla fine ieri a che ora sei andato a dormire?»
chiese Dario, allegro.
«Ho guardato il film fino alla fine del primo
tempo, poi sono andato nel letto e ho giocato con il telefono .. non so fino a
che ora …»
«Io, invece, dopo averti scritto ho spento subito: ho
dormito un sacco!!»
C'era eccitazione, tanta eccitazione nella voce di
Dario, un'eccitazione assolutamente inopportuna: il suo amico camminava mogio,
il parco sospirava in quei vapori gelidi e bagnati e lui, riposato e solare
come sempre, parlava pieno di vita, incapace di cedere alla mestizia di ciò che
lo circondava.
«Hai sentito Vittoria poi?» tornò all'attacco
Dario.
«Mentre guardavo il film messaggiavamo un po' … le
solite scemate; poi lei è andata a dormire e io dopo poco mi sono messo a
giocare nel letto: sta un po' addosso ...»
«Ma va?!? è
una cozza rompicazzo, è ovvio che ti stia 'un po' addosso'!!!» e a queste
parole la reazione non poté essere altro che una grossa risata di Mirco.
«Non dire così - disse, cercando di rimediare alla
sua stessa risata - a volte è un sacco dolce e tenera ..»
«… mmm - fece l'altro, pensieroso - sì: a volte è
tenera … solo che sono più le volte in cui rompe i coglioni!»
Il parco era ormai finito e la strada tagliava il
viale con il flusso di automobili di fretta. Oltre la strada il centrocittà si
snodava fradicio.
Pian piano e luci oltre la coltre di nebbia
cresceva e tutto s'illuminava di un biancore lunare; a poco a poco la luce dei
lampioni diventava meno necessaria e, quando i due amici furono arrivati al
lato opposto del centro, davanti alla scuola, i globi appesi tra un albero e
l'altro nel viale si spensero, inutili.
Già qualcuno s'affollava qui e là in piccoli gruppetti,
chi intento a ripassare prima di una verifica, chi a parlare della sera prima,
chi a parlare di un nuovo pezzo di quella gnocca …: nessuno rimaneva solo,
anche chi era isolato in un angolo in realtà stava messaggiando con qualcuno.
«C'è Sara! - disse Dario indicando un gruppetto di
zoccolette per nulla infreddolite, orgogliose delle loro coscione avvolte in
leggins improponibili - ma come cazzo s'è vestita?!»
«Non indicare! Già di figure di merda ne facciamo
abbastanza …» lo riprese Mirco con un sorriso mentre andavano incontro a un
gruppetto tutto intento a discutere dell'ultima eliminazione di Masterchef.
Quelle persone erano la classe di Mirco, dove ogni
mattina Dario mollava il suo amico, almeno fino all'intervallo, quando si
ritrovavano davanti alla macchinetta del caffè.
«A dopo!»
«In culo alla balena, per la verifica!»
«… speriamo che non caghi!!»
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