martedì 16 febbraio 2016

SKINTIGHT JEANS - prima parte

VENERDÌ notte
"Uff … adesso sì che si deve entrare in scena: la vedo dura; ho anche male ai piedi! Bah, tanto per fare il pirla ho sempre abbastanza forze, e ormai ho anche una certa dignità di buffone, non posso perderla per una serata un po' stanca!"
Parcheggiò la macchina nella piazza davanti al castello, perché ormai non c'era più da pagare. Spense la macchina mentre un paio di ragazzi passavano sotto il porticato del teatro - uno dei grandi ignorati della città. Prima di allontanarsi dall'auto ritornò indietro due volte e per tre volte riaprì e richiuse con i due tastini di plastica delle chiavi: nel sentire e risentire quegli scatti si sentiva un po' più sicuro del fatto che la macchina fosse inviolabile. Infine fu pronto per allontanarsi da quel parcheggio che, inaspettatamente, gli era riuscito veramente molto bene.
In centro c'era un gran vociare, per i portici cittadini rimbombavano le risate e le urla di tutta quella gente che s'affollava al bar, che vagava senza pudore verso un altro locale, verso la discoteca poco più in là - dove stava andando anche Alberto -, qualcun altro vagava, evidentemente ubriaco, o fatto, con la bocca impastata e gli occhi strani.
Alberto, dal canto suo, camminava rapidamente, passi lunghi e ben distesi, nei sui jeans stetti, con la camicia celeste che scintillava sotto al giubbino leggero (troppo leggero). Il cielo sapeva di pioggia; probabilmente all'alba sarebbe rientrato cercando di evitare mille pozzanghere.
In tanti s'avvicinavano alla discoteca, moltissimi in compagnia, qualcuno con fare rissoso, certe fanciulle decorose ed eleganti non vedevano l'ora di cadere ubriache tra le braccia di qualche ragazzino infoiato.
Alberto avrebbe preferito starsene a casa, probabilmente, o comunque andare al bar, piuttosto che in discoteca; stranamente non aveva nemmeno voglia di bere quella sera.
Svoltò verso la Barriera e attraversò la strada noncurante: le macchine si sarebbero fermate loro, lo si sapeva, era come un tacito patto ch'era stato stretto tempo e tempo addietro, chissà da chi e chissà con chi.
La sera era fresca; sentiva l'aria infilarsi tra i vestiti, sfiorargli il petto come un soffio leggero.
Quando giunse davanti all'ingresso del locale sentì una gocciolina cadergli sulla fronte. Che gliene importava: stava entrando!
Entrò e passò la serata con i suoi amici, impegnato a confermare la sua reputazione, deciso a non sembrare diverso dagli altri.
**
LUNEDÌ notte
> Dormo … almeno ci provo … ti amo! Buonanotte
< Mi racomando, cerca di rilassarti: io farò finta di studiare qualcosa (ahahahahah - non ci credo neanche io!) Buonanotte amore, sogni d'oro
Lesse il messaggio con il sorriso, felice di vedere il solito errore nello scrivere 'mi raccomando'. Ma il sorriso era anche perché ancora una volta poteva addormentarsi pensando a questa persona meravigliosa: le dispiaceva non poterla avere lì con lei, stringerla, sentire il profumo dei suoi capelli, ma quando l'ultimo messaggio della giornata era il suo allora riusciva a stendersi nel letto immaginandosi quel profumo e quella pelle delicata, la semplicità con cui l'avrebbe sfiorata, il respiro che sarebbe uscito da quel naso che tanto amava …
Spense il 3G e si mise a posto nel letto, rigirandosi un po'. Controllò che la sveglia fosse impostata e poi chiuse gli occhi. La giornata le sfilò davanti in un istante. Fuori, ancora, pioveva.
"Ma da quanto piove?! Sono giorni: che palle! Ho voglia di andare al mare, ho voglia di sole! Potrei andare a farmi una lampada domani, o dopodomani. Solo che se poi mi faccio la lampada la rompipalle sta addosso! Uffa, non la sopporto più. Anna domani deve portarmi gli appunti di inglese altrimenti col cavolo che faccio l'interrogazione settimana prossima. Domani non ho proprio voglia di andare a scuola: è una giornata inutile, potrei stare a casa a studiare. Ma chi ci crede?! Passerei la mattinata a vedere qualche film e la giornata sarebbe ancora più pessima perché non vedrei Adriana!"
La stanza s'illuminò.
Beatrice non si era accorta di avere ancora gli occhi aperti.
Un messaggio normale?! Chi manda messaggi normali?!
Un numero sconosciuto.
< Ciao! Senti non so chi sei ma mi sono stufato: cerca di non fare così perché non è normale e mi sto davvero stufando …
Aveva sbagliato numero, evidentemente. Avrebbe voluto scrivere a chiunque fosse che aveva sbagliato numero, ma non lo fece subito: si sentiva un po' in imbarazzo. Alla fine scrisse:
> Guarda, scusa, ma mi sa che hai sbagliato numero: non so chi tu sia!
Una volta inviato le venne da ridere e cercò di soffocare i suoi gridolini per non svegliare i suoi genitori che dormivano di là. Riappoggiò sul comodino il cellulare, decisamente di buon umore, pronta a dormire senza bisogno di sognare.
Si riaccese lo schermo nella notte.
< Ma davvero? Cioè, scusa … scusa per l'ora: buonanotte, chiunque tu sia!
La sua risposta era ancora più esilarante e stavolta far tacere la risata fu estremamente difficile: premette la bocca sul cuscino e se la rise per qualche minuto.
Si ricompose … tornò a voltarsi sulla schiena affondando sul cuscino ch'era un po' inumidito dalle lacrime. Ancora le veniva da sorridere: chi mai potrebbe riuscire a fare una figura simile? Nemmeno lei, con la sua sfiga leggendaria ci sarebbe riuscita!
"Questa è da raccontare! Assolutamente!" pensava nel buio, mentre a poco a poco il sorriso si spegneva, esaurendo l'assurdità della cosa. La bocca aveva ancora sul palato un po' di quell'ilarità, di quelle risa fragorose ch'aveva dovuto soffocare nel cuscino; sentiva appoggiate alla lingua le risate liberatorie, graditissime, ma, come un sorso d'acqua, iniziavano a scivolare verso lo stomaco, pronte ad essere digerite e dimenticate. Pian piano riemergeva il gusto della lontananza da Adriana, tornava la malinconia di un letto troppo vuoto, di un abbraccio immaginato.
"… mi sono stufato: cerca di non fare così perché non è normale …"
Le ronzavano in testa queste parole, ma ora non c'era più nulla di divertente. Era come se ci fosse qualcosa di terrificante, un qualcosa di cupo e tetro. Chissà a chi erano dirette quelle parole: che cosa poteva avere fatto questa persona per meritarsi un messaggio simile dallo sconosciuto che si era 'stufato'?
Si ripetevano monotone, sempre uguali e senza una pausa: una cantilena che iniziava a diventare molto fastidiosa. E continuava, continuava a ripetere che s'era stufato, continuava a ripetere che non doveva fare ciò che faceva perché 'non è normale'.
Le risate erano dimenticate, inghiottite e digerite, scomposte e irripetibili. Ora c'era dell'amaro in bocca, un gusto metallico, ferroso, nauseante, quasi che quelle parole … sì, ora sembrava proprio che quelle parole non fossero state inviate per errore a lei, le sembrava che fosse proprio lei la giusta destinataria di quel messaggio … era Beatrice che aveva stufato lo sconosciuto, era lei che doveva cambiare modo di fare, modo di essere, era lei che non era normale!
"Ma che cazzo dico?!" Si disse nella propria mente, arrabbiandosi "Non può essere che fossero dirette a me queste parole: ha sbagliato numero, semplicemente!" Ma mentre nella sua testa parlava a questo modo, cercando di pensare abbastanza forte da coprire con i pensieri quella continua eco del SMS, dentro cresceva il sospetto che non ci fosse stato un errore, che tutto questo non fosse accaduto per un caso, perché uno sconosciuto aveva sbagliato a digitare il numero sul proprio cellulare. S'accresceva in lei quella voce che le ripeteva con sempre più foga che non era normale, non era assolutamente normale.
Ora sentiva caldo: le gambe le sudavano, il petto sussultava ansioso, ansimante. I polmoni non riuscivano a respirare, non s'allargavano a sufficienza, come se un enorme masso fosse stato posto sul seno. I capelli, per il sudore, le si appiccicavano alla fronte. Sapeva di avere gli occhi spalancati, aperti nella notte alla ricerca di un po' di tregua: nel buio si susseguivano ombre luminose, le solite, che però ora sembravano più agitate, sembravano scintillare agitarsi con una strana fretta, quasi fossero corpi in preda a convulsioni.
Con uno sforzo immenso si tirò su a sedere, lanciando via le coperte. Respirava a fatica, inspirando ed espirando violentemente, in una brama ossessionata di aria, di freschezza, di sollievo. S'illudeva che tirandosi su potesse far rotolare via anche la pietra che le si era posata sul petto, aveva sperato che lanciando via le coperte avrebbe allontanato anche quell'oppressione soffocante, e invece era lì, seduta, sudata, folle per delle voci che continuavano a tormentarla, a ripeterle che non era normale!
Non s'accorse che le voci erano svanite, non si rese conto che l'aria fresca della notte le aveva carezzato la pelle asciugando il sudore, non aveva notato che la pioggia era tornata a risuonare nelle sue orecchie al posto delle parole di quel messaggio. Respirava.
S'alzò dal letto e camminò nel buio a piedi scalzi verso il bagno.
Accese la luce e ci volle del tempo perché riuscisse a sostenere le palpebre. Sedette sul water e strinse tra le mani l'estremità della maglietta che usava per pigiama. Fece pipì e si lavò, stanca.
La sua mente era sgombra, le diceva soltanto che voleva riuscire a dormire un po', almeno qualche ora, prima di dover affrontare un'altra giornata in mezzo alla gente.
Si fermò qualche momento al lavandino e si fece scorrere tra le mani l'acqua fresca. Bevve un sorso d'acqua. Le avrebbe rinfrescato anche tutto il resto del corpo; ma l'acqua la deluse stavolta e si scaldò non appena le toccò le labbra. Non importava: bevve comunque.
Tornò nel proprio letto, al buio.
Il lenzuolo era stato rinfrescato e fu un piacere ritirarsi addosso la coperta.
Il ricordo della buonanotte di Adriana era ormai inconsistente, perso in quegli attimi di agitazione, smarrito chissà dove nella memoria. Ora ricercava una nuova pace nell'oscurità, sperava nell'arrivo del sonno, anche agitato magari, ma finalmente sonno: non era più importante riposare, adesso desiderava solo non dover più ricordare.
Aspettò così, sdraiata,con la faccia rivolta verso il soffitto buio, verso la notte che ormai era calata su tutta la casa eccetto che su di lei. ancora una volta era la diversa della situazione perché tutti dormivano mentre lei doveva rimanere sveglia tormentata da chissà quali pensieri, perché poi? perché uno sconosciuto aveva soltanto sbagliato a scrivere un numero, perché un qualche pirla non aveva digitato i numeri corretti sulla sua dannata tastierina di vetro … Sarebbe bastato cambiare ancora una cifra e probabilmente lei in questo momento sarebbe stata addormentata, coccolata dalla buonanotte di Adriana.
Nell'oscurità si convinse a chiudere gli occhi: "Dormi! Devi assolutamente dormire Beatrice: tutto ciò che   è successo oggi dimenticatelo e dormi, lascia perdere tutte le preoccupazioni e dormi per una buona volta. Non sognare nemmeno, non importa, chissene frega se non dormi, l'importante è dormire: dormi, dormi, dormi!"
Guardò il telefono.
Dalla buonanotte era passato davvero molto tempo: presto sarebbe sopraggiunto il domani e lei ancora non aveva chiuso con l'oggi, continuava a rimanere in sospeso su quella giornata che, proprio al termine, le aveva riservato questa bella sorpresa.

Non seppe se la giornata del domani era già iniziata quando finalmente riuscì ad addormentarsi, le bastò, appena sveglia, accorgersi che alla fine c'era riuscita, che alla fine il sonno era arrivato e lei non aveva avuto più nulla da ricordare.

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