martedì 8 marzo 2016

SKIN-TIGHT JEANS - quarta parte

MARTEDÌ pomeriggio - 1
Odiava le persone come Alberto, davvero non riusciva a sopportare le persone che si comportavano così! Cosa cavolo avevano nella testa quei dementi? Ma poi cosa costava a loro lasciarle in pace, lasciarle un po' in pace, solo per quieto vivere: loro non avevano intenzione di disturbare in alcun modo, a loro bastava avere l'una l'altra e nient'altro, non pretendevano nemmeno cose esagerate come il matrimonio - per carità di Dio nemmeno provare a proporlo! -, volevano solo poter stare assieme, due persone che, insieme, erano felici e che non chiedevano che questo, di essere felici. Non chiedono tutti di essere felici in fondo? Tutti vogliono solo essere felici, nessuno è talmente bacato nella testa da ricercare il dolore - anche i sadomasochisti cercano solo il piacere in un modo diverso!
E invece lei doveva sopportare che ci fosse gente come quella, gente in grado - ma perché poi? - di farla sentire anche a disagio, come se fosse davvero lei quella sbagliata.
Mentre tornava a casa, a piedi, perché, ovviamente, sua madre non s'era fatta viva e lei non era uscita prima, non riusciva a non essere arrabbiata, non riusciva ad impedire che la rabbia le montasse dentro sempre più violenta. Appena aveva lasciato salire Adriana sul suo pullman e s'era avviata lungo la strada sotto il suo dannatissimo ombrellino, s'era subito lasciata alle spalle le belle sensazioni che le faceva provare Adriana e le erano tornate in testa tutte le parole, gli sguardi, le risatine, quegli strumenti di tortura che da troppo tempo le gravavano sul cuore.
Quella mattina, poi, era successo qualcosa di troppo strano: non si era mai sentita così indifesa, così incapace di qualsiasi azione. Era rimasta asciutta, secca e arida, impossibilitata a qualsiasi decisione, condannata a quello stato di immobilità e impotenza.
Ora era solo arrabbiata: non poteva più continuare a sopportare tutte quelle persone che le venivano contro: si vedeva come una fogliolina attaccata molto molto instabilmente ad un ramo ormai secco, mentre tutt'attorno saliva il vento di una tempesta imminente, un vento che continuava a farsi via via più potente e aggressivo; sentiva ch tutt'attorno imperversava la solitudine e tutte quelle solitudini le vedeva incontrarsi solo contro di lei: mondi lontani, vite separate erano tutti riuniti sotto un unico scopo. Era un sensazione davvero tremenda, terrificante.
Le gocce cadevano e ci fu un momento in cui Beatrice pensò che ogni goccia di pioggia fosse come una piccola martellata e lei un grande chiodo con una capocchia a forma di ombrello; ogni volta che sentiva i flebili rumorini della pioggia si sentiva spingere verso il basso, schiacciata da un peso sempre più insopportabile. Ma la cosa peggiore era che scivolava giù, spinta dalla pioggia, lentamente … non era un colpo secco, una dannatissima martellata violenta, no!: tante martellatine delicate e, in un certo modo, affettuose …
Doveva reagire. Sentiva dentro di lei il bisogno di reagire e rispondere a tutti quei colpi, non quelli della pioggia, ma quelli che la gente le scagliava contro giorno dopo giorno, sguardo dopo sguardo.
Arrivò a casa mezza fradicia e per nulla affamata: si spogliò e lasciò cadere i vestiti zuppi poco oltre l'ingresso. In cucina, giusto dire di aver mangiato qualcosa, sgranocchiò un pezzo di pane. Nella sua testa gridavano tutte le possibili reazioni che doveva avere, pretendevano di essere ascoltate e messe in pratica.
Era estremamente confusa, e la confusione si mescolava alla rabbia, una rabbia sempre crescente e ormai incontenibile.
Lanciò un grido nella casa deserta.
"Devo dire qualcosa a quel cretino, quell'Alberto!" si disse dopo l'urlo: finalmente sembrava tornata un po' di chiarezza nel suo cervello, sentiva una determinazione certa e sicura invaderle ogni pensiero, e la sentiva soffocare tutte quelle possibilità che prima le erano venute in mente, asfissiandola.
Ma cosa dirgli? Cosa poteva dirgli? Cosa doveva dirgli? Era un idiota, questo era indubbio! Ma cos'altro doveva dirgli? C'era qualcos'altro da dirgli?
Prese in mano il telefono e aprì Facebook andando rapidamente sul profilo di Alberto: eccolo là con i suoi occhiali da sole e il suo sorriso da figone … dalla foto non sembrava affatto anche uno stronzo completamente idiota!
"Scrivi messaggio: e …" pensava con le dita un po' tremanti "E …?"
Risentiva ancora quelle parole, rivedeva ancora quello sguardo vuoto, disarmante, orribile di un ragazzo che le guardava in un modo tutto strano, diverso, ancora più odioso rispetto a tutte le altre occhiate, più doloroso delle risatine e degli sghignazzamenti.
Iniziò a scrivere e parole e parole e parole si precipitavano l'una dopo l'altra sullo schermo luminoso, affollandosi in frasi arrabbiate e disperate, seccate, esasperate. A volte le veniva voglia di fermarsi e premere invio, ma poi doveva ripensarci perché troppo rapidamente le venivano nuove cose da scrivere,e tutte pretendevano di essere immediatamente scritte!!
Digitò chissà quante centinaia di parole; non fece nemmeno una faccina.
Il messaggio era come vomito: tutto quello che c'era dentro di lei stava uscendo ed era ora ben visibile, ma, tuttavia, sempre un po' confuso, confuso da quelle emozioni così forti e così improvvise che le scuotevano il corpo.
Finalmente pensò di aver finito. Le dita avevano rallentato la loro corsa ed ora indugiavano nel completare l'ultima frase. Punto.
Cosa aveva scritto?
Rilesse tutto, molto attentamente, una volta, due volte, tre volte, quattro, cinque e sei: ormai aveva imparato ogni sua parola a memoria, quasi come fosse un monologo. Aveva detto proprio tutto? Sì, aveva detto tutto; forse c'era ancora qualcosa, ma aveva detto tutto quello che bastava, tutto quello che DOVEVA scrivere lo aveva scritto!
Premette il tastino con la freccina. Inviato.
Allontanò il telefono e si sdraiò, stremata. Guardava il soffitto della sala mentre una gamba le ciondolava già dal sofà. Un ragnetto si muoveva silenziosamente sulla sua testa, senza dar fastidio a nessuno: sua madre avrebbe subito preso la scopa e avrebbe ammazzato quell'animaletto; a lei non interessava in quel momento: non le sarebbe interessato in nessun momento - a meno il ragnetto non si fosse azzardato ad avvicinarsi alla sua testa! - ma in particolare in quel momento non le interessava minimamente. C'era altro che la tormentava, altro che la preoccupava.
Non sapeva nemmeno lei a cosa pensava adesso: non era più arrabbiata come mentre tornava a casa e nella sua testa non si inseguivano più infinite parole e millemila pensieri; ora c'era silenzio nella sua testolina, ma qualcosa pesava, gravava insostenibile sul petto … si sentiva strana, quasi che avesse appena compiuto un passo fondamentale della sua vita: c'era qualcosa di euforico in lei, ma, allo stesso tempo, si sentiva sconfitta, quasi che quel messaggio pieno di lei fosse come una resa, o peggio.
Passò del tempo in quella posizione, ormai dimentica del ragnetto, concentrata sul nulla. Non era più padrona di sé, non s'accorgeva di nulla che le fosse attorno: forse s'appisolò pure per qualche minuto, ma non lo sapeva. Era da qualche altra parte.
Infine ritornò in sé, sentì un po' di pensieri riaffiorarle in mente e uno di questi le suggeriva di controllare il telefono.
Sbloccò lo schermo e riaprì Facebook.
Un messaggio.
Ecco, le aveva risposto. Cosa le aveva risposto?
> …
Tre puntini? Nient'altro? Sì, solo tre puntini. No! Adesso era uscito l'altra nuvoletta con dentro altri tre puntini, ma questi si muovevano: stava scrivendo dell'altro!
Attese, rimase ad aspettare che quei tre maledetti puntini si fermassero e le consegnassero un qualche messaggio. Ancora non arrivava nulla. I minuti passavano, passavano e passavano eppure non cambiava nulla, sempre quei tre dannati puntini fermi seguiti da altri tre danzanti.
Quanto tempo ci metteva?
Beh, in realtà anche lei ci aveva impiegato non poco tempo, ma lei aveva scritto cose serie, cose vere: lui cosa avrebbe risposto? Qualsiasi cosa avesse detto sarebbe stata una scemenza, demenza pura! Insomma non c'era un modo sensato di rispondere a tutto ciò che aveva scritto lei: lei aveva scritto la verità, cose giuste e certe; lui poteva rispondere solo con le solite cattiverie, con gli stereotipi e quelle convinzioni bigotte che troppo spesso incontrava anche nei suoi coetanei! Quanto tempo ci voleva per scrivere simili idiozie? O era completamente impedito con il cellulare oppure, evidentemente, non sapeva cosa scrivere: "Continua a scrivere qualcosa e a cancellarla subito dopo. Non ha il coraggio di rispondermi, non sa come fare! Presto smetterà anche di provarci"
Sentiva un po' di gioia in vedere quei puntini muoversi, li vedeva come sintomo della sua vittoria contro quel cretino: lo aveva lasciato senza nulla da ribattere!
Mise via il telefono, pronta a godersi il suo trionfo, meditando già il momento in cui l'avrebbe detto ad Adriana, dimostrandole che anche lei non era incapace di difendersi da quella folla di dementi che le circondava!
D'improvviso s'illuminò lo schermo.
L'iconcina dei messaggi era comparsa.
Il mondo le crollò tutt'attorno e sopra, il pavimento scomparve e lei iniziò a cadere, con la gola secca, la lingua impastata. Aveva risposto?!

Era un messaggio lungo, quasi quanto il suo, senza faccine.

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