MARTEDÌ
pomeriggio - 1
Odiava le
persone come Alberto, davvero non riusciva a sopportare le persone che si
comportavano così! Cosa cavolo avevano nella testa quei dementi? Ma poi cosa
costava a loro lasciarle in pace, lasciarle un po' in pace, solo per quieto
vivere: loro non avevano intenzione di disturbare in alcun modo, a loro bastava
avere l'una l'altra e nient'altro, non pretendevano nemmeno cose esagerate come
il matrimonio - per carità di Dio nemmeno provare a proporlo! -, volevano solo
poter stare assieme, due persone che, insieme, erano felici e che non
chiedevano che questo, di essere felici. Non chiedono tutti di essere felici in
fondo? Tutti vogliono solo essere felici, nessuno è talmente bacato nella testa
da ricercare il dolore - anche i sadomasochisti cercano solo il piacere in un
modo diverso!
E invece
lei doveva sopportare che ci fosse gente come quella, gente in grado - ma
perché poi? - di farla sentire anche a disagio, come se fosse davvero lei
quella sbagliata.
Mentre
tornava a casa, a piedi, perché, ovviamente, sua madre non s'era fatta viva e
lei non era uscita prima, non riusciva a non essere arrabbiata, non riusciva ad
impedire che la rabbia le montasse dentro sempre più violenta. Appena aveva
lasciato salire Adriana sul suo pullman e s'era avviata lungo la strada sotto
il suo dannatissimo ombrellino, s'era subito lasciata alle spalle le belle
sensazioni che le faceva provare Adriana e le erano tornate in testa tutte le
parole, gli sguardi, le risatine, quegli strumenti di tortura che da troppo
tempo le gravavano sul cuore.
Quella
mattina, poi, era successo qualcosa di troppo strano: non si era mai sentita
così indifesa, così incapace di qualsiasi azione. Era rimasta asciutta, secca e
arida, impossibilitata a qualsiasi decisione, condannata a quello stato di
immobilità e impotenza.
Ora era
solo arrabbiata: non poteva più continuare a sopportare tutte quelle persone
che le venivano contro: si vedeva come una fogliolina attaccata molto molto
instabilmente ad un ramo ormai secco, mentre tutt'attorno saliva il vento di
una tempesta imminente, un vento che continuava a farsi via via più potente e
aggressivo; sentiva ch tutt'attorno imperversava la solitudine e tutte quelle
solitudini le vedeva incontrarsi solo contro di lei: mondi lontani, vite
separate erano tutti riuniti sotto un unico scopo. Era un sensazione davvero
tremenda, terrificante.
Le gocce
cadevano e ci fu un momento in cui Beatrice pensò che ogni goccia di pioggia
fosse come una piccola martellata e lei un grande chiodo con una capocchia a
forma di ombrello; ogni volta che sentiva i flebili rumorini della pioggia si
sentiva spingere verso il basso, schiacciata da un peso sempre più
insopportabile. Ma la cosa peggiore era che scivolava giù, spinta dalla
pioggia, lentamente … non era un colpo secco, una dannatissima martellata
violenta, no!: tante martellatine delicate e, in un certo modo, affettuose …
Doveva
reagire. Sentiva dentro di lei il bisogno di reagire e rispondere a tutti quei
colpi, non quelli della pioggia, ma quelli che la gente le scagliava contro
giorno dopo giorno, sguardo dopo sguardo.
Arrivò a
casa mezza fradicia e per nulla affamata: si spogliò e lasciò cadere i vestiti
zuppi poco oltre l'ingresso. In cucina, giusto dire di aver mangiato qualcosa,
sgranocchiò un pezzo di pane. Nella sua testa gridavano tutte le possibili
reazioni che doveva avere, pretendevano di essere ascoltate e messe in pratica.
Era
estremamente confusa, e la confusione si mescolava alla rabbia, una rabbia
sempre crescente e ormai incontenibile.
Lanciò un
grido nella casa deserta.
"Devo
dire qualcosa a quel cretino, quell'Alberto!" si disse dopo l'urlo:
finalmente sembrava tornata un po' di chiarezza nel suo cervello, sentiva una
determinazione certa e sicura invaderle ogni pensiero, e la sentiva soffocare
tutte quelle possibilità che prima le erano venute in mente, asfissiandola.
Ma cosa
dirgli? Cosa poteva dirgli? Cosa doveva dirgli? Era un idiota, questo era
indubbio! Ma cos'altro doveva dirgli? C'era qualcos'altro da dirgli?
Prese in
mano il telefono e aprì Facebook andando rapidamente sul profilo di Alberto:
eccolo là con i suoi occhiali da sole e il suo sorriso da figone … dalla foto
non sembrava affatto anche uno stronzo completamente idiota!
"Scrivi
messaggio: e …" pensava con le dita un po' tremanti "E …?"
Risentiva
ancora quelle parole, rivedeva ancora quello sguardo vuoto, disarmante, orribile
di un ragazzo che le guardava in un modo tutto strano, diverso, ancora più
odioso rispetto a tutte le altre occhiate, più doloroso delle risatine e degli
sghignazzamenti.
Iniziò a
scrivere e parole e parole e parole si precipitavano l'una dopo l'altra sullo
schermo luminoso, affollandosi in frasi arrabbiate e disperate, seccate,
esasperate. A volte le veniva voglia di fermarsi e premere invio, ma poi doveva
ripensarci perché troppo rapidamente le venivano nuove cose da scrivere,e tutte
pretendevano di essere immediatamente scritte!!
Digitò
chissà quante centinaia di parole; non fece nemmeno una faccina.
Il
messaggio era come vomito: tutto quello che c'era dentro di lei stava uscendo
ed era ora ben visibile, ma, tuttavia, sempre un po' confuso, confuso da quelle
emozioni così forti e così improvvise che le scuotevano il corpo.
Finalmente
pensò di aver finito. Le dita avevano rallentato la loro corsa ed ora
indugiavano nel completare l'ultima frase. Punto.
Cosa aveva
scritto?
Rilesse
tutto, molto attentamente, una volta, due volte, tre volte, quattro, cinque e
sei: ormai aveva imparato ogni sua parola a memoria, quasi come fosse un
monologo. Aveva detto proprio tutto? Sì, aveva detto tutto; forse c'era ancora
qualcosa, ma aveva detto tutto quello che bastava, tutto quello che DOVEVA
scrivere lo aveva scritto!
Premette
il tastino con la freccina. Inviato.
Allontanò
il telefono e si sdraiò, stremata. Guardava il soffitto della sala mentre una
gamba le ciondolava già dal sofà. Un ragnetto si muoveva silenziosamente sulla
sua testa, senza dar fastidio a nessuno: sua madre avrebbe subito preso la
scopa e avrebbe ammazzato quell'animaletto; a lei non interessava in quel
momento: non le sarebbe interessato in nessun momento - a meno il ragnetto non
si fosse azzardato ad avvicinarsi alla sua testa! - ma in particolare in quel
momento non le interessava minimamente. C'era altro che la tormentava, altro
che la preoccupava.
Non sapeva
nemmeno lei a cosa pensava adesso: non era più arrabbiata come mentre tornava a
casa e nella sua testa non si inseguivano più infinite parole e millemila
pensieri; ora c'era silenzio nella sua testolina, ma qualcosa pesava, gravava
insostenibile sul petto … si sentiva strana, quasi che avesse appena compiuto
un passo fondamentale della sua vita: c'era qualcosa di euforico in lei, ma,
allo stesso tempo, si sentiva sconfitta, quasi che quel messaggio pieno di lei
fosse come una resa, o peggio.
Passò del
tempo in quella posizione, ormai dimentica del ragnetto, concentrata sul nulla.
Non era più padrona di sé, non s'accorgeva di nulla che le fosse attorno: forse
s'appisolò pure per qualche minuto, ma non lo sapeva. Era da qualche altra
parte.
Infine
ritornò in sé, sentì un po' di pensieri riaffiorarle in mente e uno di questi
le suggeriva di controllare il telefono.
Sbloccò lo
schermo e riaprì Facebook.
Un
messaggio.
Ecco, le
aveva risposto. Cosa le aveva risposto?
> …
Tre
puntini? Nient'altro? Sì, solo tre puntini. No! Adesso era uscito l'altra
nuvoletta con dentro altri tre puntini, ma questi si muovevano: stava scrivendo
dell'altro!
Attese,
rimase ad aspettare che quei tre maledetti puntini si fermassero e le
consegnassero un qualche messaggio. Ancora non arrivava nulla. I minuti
passavano, passavano e passavano eppure non cambiava nulla, sempre quei tre
dannati puntini fermi seguiti da altri tre danzanti.
Quanto
tempo ci metteva?
Beh, in
realtà anche lei ci aveva impiegato non poco tempo, ma lei aveva scritto cose
serie, cose vere: lui cosa avrebbe risposto? Qualsiasi cosa avesse detto
sarebbe stata una scemenza, demenza pura! Insomma non c'era un modo sensato di
rispondere a tutto ciò che aveva scritto lei: lei aveva scritto la verità, cose
giuste e certe; lui poteva rispondere solo con le solite cattiverie, con gli
stereotipi e quelle convinzioni bigotte che troppo spesso incontrava anche nei
suoi coetanei! Quanto tempo ci voleva per scrivere simili idiozie? O era
completamente impedito con il cellulare oppure, evidentemente, non sapeva cosa
scrivere: "Continua a scrivere qualcosa e a cancellarla subito dopo. Non
ha il coraggio di rispondermi, non sa come fare! Presto smetterà anche di provarci"
Sentiva un
po' di gioia in vedere quei puntini muoversi, li vedeva come sintomo della sua
vittoria contro quel cretino: lo aveva lasciato senza nulla da ribattere!
Mise via
il telefono, pronta a godersi il suo trionfo, meditando già il momento in cui
l'avrebbe detto ad Adriana, dimostrandole che anche lei non era incapace di
difendersi da quella folla di dementi che le circondava!
D'improvviso
s'illuminò lo schermo.
L'iconcina
dei messaggi era comparsa.
Il mondo
le crollò tutt'attorno e sopra, il pavimento scomparve e lei iniziò a cadere,
con la gola secca, la lingua impastata. Aveva risposto?!
Era un
messaggio lungo, quasi quanto il suo, senza faccine.
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