martedì 15 marzo 2016

SKIN-TIGHT JEANS - quinta parte

MARTEDÌ pomeriggio - 2
Il cielo andava a poco a poco  liberandosi dalle nuvole che si erano svuotate sulla città. Il vento soffiava in alto e smuoveva delicatamente le chiome spoglie degli alberi. L'odore della pioggia era penetrante, un odore di vita, di fradiciume e marcio: ogni respiro è come ingoiare un pezzo di corteccia zuppo e muffito. Dai rami gocciolava l'acqua che il legno non riusciva più ad assorbire e ogni goccia cadeva precisa sopra a una sua sorella, accrescendo via via una pozzanghera ai piedi di un castagno. Alla luce di un sole che, lontano, spuntava tra il profilo delle montagne e il compatto ammasso di nuvole, sbirciando come una pupilla tra le palpebre, i ciottoli luccicavano umidicci e qua e là una vecchietta si muoveva cautamente per evitare qualche scivolone imbarazzante ed estremamente doloroso.
Non aveva preso l'ombrello - non avrebbe di certo ricominciato a piovere - e ad ogni passo Alberto si perdeva in quell'aria profumata, mentre tutt'attorno ci si affrettava a casa. Giunto al parco, dov'era 'l'appuntamento', fu seccato del fatto che non si sarebbe potuto sedere sulle panchine bagnate, e iniziò a camminare avanti e indietro, piano, compiendo tre passi verso il viale che portava al Memoriale, e poi voltandosi, ripercorrendo quei tre passi verso il centro.
Una signora passava con il cane, una bella bestia dal pelo lungo e folto, felice di quell'aria fresca e bagnata, entusiasta di poter puciare le proprie zampe nella terra morbida. Ogni odore era stato ripulito dalla pioggia, e finalmente la penetrante e fastidiosa puzza della città era stata soffocata dalle gocce incessanti. Anche gli uomini percepivano l'aria rinnovata, riscoprivano il profumo della natura.
Ma Alberto non pensava al profumo che lo circondava, non riusciva a godere di quel sole che sbirciava da laggiù, a malapena visibile tra le cime brune e le nubi ancor più scure … il suo era un camminare inquieto e agitato, un'ansia crescente … "Ma che cazzo è? Come se fossi ansioso perché devo parlare con quella là! Ma poi: perché le ho detto sì? Potevo benissimo evitare e farmi i cazzacci miei, tanto non è che cambio idea, e lei rimane così comunque … uff, non ho portato nemmeno l'ombrello … beh ma non pioverà ancora … beh ma io non portato l'ombrello comunque, anche se non pioverà! Ma poi cos'è che mi deve dire che non mi potesse dire via messaggio: non è che se vedo la sua faccia cambio idea … che poi non è una mia idea e basta! Cioè … ! Non è che io voglio male a loro, però non è giusto, cioè sono malati, se si curassero … e no, dicono che non è una malattia, che sono proprio così, ma mi sta anche bene, ma non possono pretendere più di tanto: io penso sia sbagliato! Va contro tutto quello che penso sia vero …"
Si auto-convinceva il povero Alberto con quelle parole, cercava sempre di più di ripetersi che lui non era un omofobo, che lui non era razzista, che semplicemente non comprendeva questa cosa, non l'ammetteva. E, in effetti, per quale motivo avrebbe dovuto essere criticato o insultato per questa sua idea? In fondo era giusto, lui diceva quello che pensava. Ma quel qualcosa che lo obbligava a continuare a tormentarsi per cercare d'illudersi d'aver ragione era in realtà la crepa nel suo stesso ragionamento, quasi come se il suo cuore non si fosse ancora rassegnato a quello che la sua mente, il suo cervello gli avevano già dato per scontato: dentro di lui, in fondo, un logorio era iniziato, ed era iniziato quando per la prima volta aveva dovuto discuterne con Beatrice, poche ore prima; un logorio lento ma costante che continuava a muoversi laggiù, disturbando le emozioni, reclamando spazio nella sua intimità. Un dubbio. Il dubbio che tutto ciò in cui diceva di credere fosse in realtà un'immensa baggianata che gli veniva dall'abitudine, dalla consuetudine. Un dubbio, un misero, minuscolo, impercettibile dubbio.
Ma di questo dubbio Alberto non aveva coscienza e perseverava nel suo ripetersi di essere manifestamente nella ragione, di essere assolutamente nel giusto.
Ormai l'ora dell'appuntamento era arrivata: qualcuno scappava dal centro e correva a prendere gli autobus, qualcuno aspettava sul limitare del parco la macchina di qualche amico che s'era offerto di dare un passaggio 'visto ch'era in macchina!'
Eccola là. Svoltava proprio adesso l'angolo. Era avvolta in una strana giacca, né leggera né pesante. Era una bella ragazza, vista da lontano: non si truccava molto, forse avrebbe potuto curarsi un po' di più, ma non era per niente una brutta ragazza. Peccato che fosse sbagliata.
Aveva insistito tanto per vederlo di persona, perché non poteva capacitarsi del fatto che davvero quel ragazzo, così tanto sveglio in così tante cose, fosse così ottuso: lo odiava. Non poteva lasciar perdere tutto e permettere che tra loro ci fossero solo miriadi di insulti sulle bacheche di Facebook, doveva vederlo in faccia, voleva avere davanti quell'idiota e capire come potesse essere serio …
Era uscita di casa con un po' di eccitazione, anche: c'era un che di emozionante in quello che stava per succedere; dentro di lei sentiva che quel cretino aveva smosso in lei qualcosa, che - purtroppo - quel ragazzo ebete sarebbe stato una figura importante, avrebbe significato qualcosa di non indifferente.
Aveva smesso di piovere e si poteva permettere di azzardarsi fuori senza ombrello. Un presentimento le diceva che non avrebbe ripreso a piovere: si vedeva addirittura il sole che sfilava oltre le nuvole verso le cime delle montagne. Non avrebbe ripreso a piovere!
Per strada s'era interrogata a lungo su cosa, delle mille che aveva da dirgli in faccia, avrebbe deciso di dire per prima ad Alberto. Non sapeva davvero come fare. Già era rimasta stupita del fatto che Alberto avesse accettato di vederla - forse nella sua 'indole caritatevole' sperava di 'guarirla' dalla sua miserrima malattia! - ma ancora più stupita era rimasta per il fatto di avergli chiesto di vedersi: come se non vedesse l'ora di trovarsi faccia a faccia con un imbecille che la trattava in una maniera spregevole e atroce! Ma, ad un certo punto aveva sentito la necessità fisiologica di incontrarlo; da dentro qualcosa aveva gridato che non potevano continuare a scambiarsi confusi insulti e ovvi pareri via chat, ma che dovevano assolutamente vomitarsi tutto uno in faccia all'altro, di persona. Dovevano vedersi negli occhi, lei doveva vedere quel ragazzo che tutti ritenevano intelligente, che tutti stimavano, cui tutti si rivolgevano con semplicità e che tutti pensavano essere uno dei migliori! Quel ragazzo che l'aveva fatta sentire come mai nessuno c'era riuscito … lui era andato oltre: aveva ricevuto tanti insulti e spesso aveva ignorato le risatine e le occhiate maliziose - odiosissime a chiunque, per qualsiasi motivo siano fatte! -, ma ciò che pensava Alberto era pensato con troppa semplicità, con una tale genuinità che lei ne rimaneva sconvolta. Alberto era perfettamente sereno, sembrava assolutamente in pace con sé stesso: non uno dei soliti arrabbiati che si accaniscono a gratis, ma uno che, sì, insulta anche con parole non troppo gentili, ma anche è in grado di lanciare le proprie convinzioni con una compiutezza disarmante, quasi con la semplicità di un bambino.
Man mano che s'avvicinava al parco cittadino s'accorgeva di aver paura, di desiderare di aver vicino Adriana in quel momento: lei avrebbe saputo cosa dire, lei avrebbe avuto le parole giuste e avrebbe risposto a dovere … se fosse stato necessario avrebbe anche avuto una mano abbastanza veloce per tirare una sberla a quel cretino! Ma, mentre raggiungeva l'ultima piazza prima del parco, prima di svoltare l'angolo che dava sul viale alberato, Beatrice aveva compreso che doveva farlo da sola, che non poteva correre a nascondersi al fianco della sua 'principa azzurra' - come spesso la chiamava scherzosamente -, che doveva riuscirci lei da sola ad affrontare quell'ennesimo ostacolo, che non poteva permettersi di darla vinta a lui, che non poteva retrocedere ora, ora che lo vedeva davanti a quella panchina mezza marcia.
Mentre Beatrice s'avvicinava al suo nemico, armata meglio possibile di risolutezza e di un nuovo coraggio che non aveva immaginato di avere, Alberto la guardava … s'avvicinavano due mondi, s'avvicinavano due giovani vite che, o per un motivo o per un altro, condividevano quel momento e tutto ciò che ne sarebbe derivato avrebbe davvero avuto una qualche importanza. Entrambi lo sapevano, tutti e due sentivano, dentro, che in quell'incontro faccia a faccia sarebbe successo qualcosa … tutti e due erano agitati, tutti e due erano insieme frementi e impauriti per quello che incombeva: Alberto non voleva parlarle, non voleva averla vicino, non voleva nemmeno dover parlare per l'ennesima volta di quell'assurdità, tuttavia non poteva scappare, un po' per non sembrare un codardo e dargliela vinta, un po' perché in fondo era proprio curioso di sentire che cosa gli avrebbe detto quella là; Beatrice avrebbe voluto scappare, dimenticare quell'ennesimo demente - quanti ne aveva già incontrati, purtroppo! - e passare da Adriana, passare qualche tempo con lei, sedute in salotto a coccolarsi, però dentro di lei qualcosa la costringeva a muoversi verso quel pirla che ciondolava vicino ad una panchina marcia di pioggia.
"Eccola qui …" sospirò, rassegnato, Alberto prima di iniziare a combattere: «Allora? Che vuoi» attaccò con un fare aggressivo e odioso: ostentava la sua rabbia e il suo schifo, quasi che le avesse concesso l'onore della sua presenza e come se adesso non avesse troppo tempo da perdere con quella malata del cazzo!
«Cerca di non fare lo stronzo già a prescindere, perché ti potrei tranquillamente mandare a cagare e andarmene - anche lei è decisamente agguerrita, ha una sicurezza nella sua voce che non c'è mai stata! - se sono qui è solo perché ci sono delle cose che devi capire, così magari cresci un po', e queste cose non mi andava di dirtele via chat, perché, a quanto pare, non capisci!»
«Vedi di stare calmina anche te! Già è tanto che sono venuto»
«Oh! Ringraziamo vostra grazia per averci concesso la vostra presenza! Quale grandissimo onore! Ma vaffartifottere!»
«Ma fanculo te! Ciao!» Si stava girando e se ne sarebbe andato.
«No! … - la rabbia sembra aver ceduto il posto alla consapevolezza … - aspetta: cercherò di non insultarti mentre di dico alcune cose … ascoltami!»

«Parla»

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