MARTEDÌ
pomeriggio - 2
Il cielo andava a poco a poco liberandosi dalle nuvole che si erano
svuotate sulla città. Il vento soffiava in alto e smuoveva delicatamente le
chiome spoglie degli alberi. L'odore della pioggia era penetrante, un odore di
vita, di fradiciume e marcio: ogni respiro è come ingoiare un pezzo di
corteccia zuppo e muffito. Dai rami gocciolava l'acqua che il legno non
riusciva più ad assorbire e ogni goccia cadeva precisa sopra a una sua sorella,
accrescendo via via una pozzanghera ai piedi di un castagno. Alla luce di un
sole che, lontano, spuntava tra il profilo delle montagne e il compatto ammasso
di nuvole, sbirciando come una pupilla tra le palpebre, i ciottoli luccicavano
umidicci e qua e là una vecchietta si muoveva cautamente per evitare qualche
scivolone imbarazzante ed estremamente doloroso.
Non aveva preso l'ombrello - non avrebbe di certo
ricominciato a piovere - e ad ogni passo Alberto si perdeva in quell'aria
profumata, mentre tutt'attorno ci si affrettava a casa. Giunto al parco,
dov'era 'l'appuntamento', fu seccato del fatto che non si sarebbe potuto sedere
sulle panchine bagnate, e iniziò a camminare avanti e indietro, piano,
compiendo tre passi verso il viale che portava al Memoriale, e poi voltandosi,
ripercorrendo quei tre passi verso il centro.
Una signora passava con il cane, una bella bestia
dal pelo lungo e folto, felice di quell'aria fresca e bagnata, entusiasta di
poter puciare le proprie zampe nella terra morbida. Ogni odore era stato
ripulito dalla pioggia, e finalmente la penetrante e fastidiosa puzza della
città era stata soffocata dalle gocce incessanti. Anche gli uomini percepivano
l'aria rinnovata, riscoprivano il profumo della natura.
Ma Alberto non pensava al profumo che lo
circondava, non riusciva a godere di quel sole che sbirciava da laggiù, a
malapena visibile tra le cime brune e le nubi ancor più scure … il suo era un
camminare inquieto e agitato, un'ansia crescente … "Ma che cazzo è? Come
se fossi ansioso perché devo parlare con quella là! Ma poi: perché le ho detto
sì? Potevo benissimo evitare e farmi i cazzacci miei, tanto non è che cambio idea,
e lei rimane così comunque … uff, non ho portato nemmeno l'ombrello … beh ma
non pioverà ancora … beh ma io non portato l'ombrello comunque, anche se non
pioverà! Ma poi cos'è che mi deve dire che non mi potesse dire via messaggio:
non è che se vedo la sua faccia cambio idea … che poi non è una mia idea e
basta! Cioè … ! Non è che io voglio male a loro, però non è giusto, cioè sono
malati, se si curassero … e no, dicono che non è una malattia, che sono proprio
così, ma mi sta anche bene, ma non possono pretendere più di tanto: io penso
sia sbagliato! Va contro tutto quello che penso sia vero …"
Si auto-convinceva il povero Alberto con quelle
parole, cercava sempre di più di ripetersi che lui non era un omofobo, che lui
non era razzista, che semplicemente non comprendeva questa cosa, non
l'ammetteva. E, in effetti, per quale motivo avrebbe dovuto essere criticato o
insultato per questa sua idea? In fondo era giusto, lui diceva quello che
pensava. Ma quel qualcosa che lo obbligava a continuare a tormentarsi per cercare
d'illudersi d'aver ragione era in realtà la crepa nel suo stesso ragionamento,
quasi come se il suo cuore non si fosse ancora rassegnato a quello che la sua
mente, il suo cervello gli avevano già dato per scontato: dentro di lui, in
fondo, un logorio era iniziato, ed era iniziato quando per la prima volta aveva
dovuto discuterne con Beatrice, poche ore prima; un logorio lento ma costante
che continuava a muoversi laggiù, disturbando le emozioni, reclamando spazio
nella sua intimità. Un dubbio. Il dubbio che tutto ciò in cui diceva di credere
fosse in realtà un'immensa baggianata che gli veniva dall'abitudine, dalla
consuetudine. Un dubbio, un misero, minuscolo, impercettibile dubbio.
Ma di questo dubbio Alberto non aveva coscienza e
perseverava nel suo ripetersi di essere manifestamente nella ragione, di essere
assolutamente nel giusto.
Ormai l'ora dell'appuntamento era arrivata:
qualcuno scappava dal centro e correva a prendere gli autobus, qualcuno
aspettava sul limitare del parco la macchina di qualche amico che s'era offerto
di dare un passaggio 'visto ch'era in macchina!'
Eccola là. Svoltava proprio adesso l'angolo. Era
avvolta in una strana giacca, né leggera né pesante. Era una bella ragazza,
vista da lontano: non si truccava molto, forse avrebbe potuto curarsi un po' di
più, ma non era per niente una brutta ragazza. Peccato che fosse sbagliata.
Aveva insistito tanto per vederlo di persona,
perché non poteva capacitarsi del fatto che davvero quel ragazzo, così tanto
sveglio in così tante cose, fosse così ottuso: lo odiava. Non poteva lasciar
perdere tutto e permettere che tra loro ci fossero solo miriadi di insulti
sulle bacheche di Facebook, doveva vederlo in faccia, voleva avere davanti
quell'idiota e capire come potesse essere serio …
Era uscita di casa con un po' di eccitazione,
anche: c'era un che di emozionante in quello che stava per succedere; dentro di
lei sentiva che quel cretino aveva smosso in lei qualcosa, che - purtroppo -
quel ragazzo ebete sarebbe stato una figura importante, avrebbe significato
qualcosa di non indifferente.
Aveva smesso di piovere e si poteva permettere di
azzardarsi fuori senza ombrello. Un presentimento le diceva che non avrebbe
ripreso a piovere: si vedeva addirittura il sole che sfilava oltre le nuvole
verso le cime delle montagne. Non avrebbe ripreso a piovere!
Per strada s'era interrogata a lungo su cosa, delle
mille che aveva da dirgli in faccia, avrebbe deciso di dire per prima ad
Alberto. Non sapeva davvero come fare. Già era rimasta stupita del fatto che
Alberto avesse accettato di vederla - forse nella sua 'indole caritatevole'
sperava di 'guarirla' dalla sua miserrima malattia! - ma ancora più stupita era
rimasta per il fatto di avergli chiesto di vedersi: come se non vedesse l'ora
di trovarsi faccia a faccia con un imbecille che la trattava in una maniera
spregevole e atroce! Ma, ad un certo punto aveva sentito la necessità
fisiologica di incontrarlo; da dentro qualcosa aveva gridato che non potevano
continuare a scambiarsi confusi insulti e ovvi pareri via chat, ma che dovevano
assolutamente vomitarsi tutto uno in faccia all'altro, di persona. Dovevano
vedersi negli occhi, lei doveva vedere quel ragazzo che tutti ritenevano
intelligente, che tutti stimavano, cui tutti si rivolgevano con semplicità e
che tutti pensavano essere uno dei migliori! Quel ragazzo che l'aveva fatta
sentire come mai nessuno c'era riuscito … lui era andato oltre: aveva ricevuto
tanti insulti e spesso aveva ignorato le risatine e le occhiate maliziose -
odiosissime a chiunque, per qualsiasi motivo siano fatte! -, ma ciò che pensava
Alberto era pensato con troppa semplicità, con una tale genuinità che lei ne
rimaneva sconvolta. Alberto era perfettamente sereno, sembrava assolutamente in
pace con sé stesso: non uno dei soliti arrabbiati che si accaniscono a gratis,
ma uno che, sì, insulta anche con parole non troppo gentili, ma anche è in
grado di lanciare le proprie convinzioni con una compiutezza disarmante, quasi
con la semplicità di un bambino.
Man mano che s'avvicinava al parco cittadino
s'accorgeva di aver paura, di desiderare di aver vicino Adriana in quel
momento: lei avrebbe saputo cosa dire, lei avrebbe avuto le parole giuste e
avrebbe risposto a dovere … se fosse stato necessario avrebbe anche avuto una
mano abbastanza veloce per tirare una sberla a quel cretino! Ma, mentre
raggiungeva l'ultima piazza prima del parco, prima di svoltare l'angolo che
dava sul viale alberato, Beatrice aveva compreso che doveva farlo da sola, che
non poteva correre a nascondersi al fianco della sua 'principa azzurra' - come
spesso la chiamava scherzosamente -, che doveva riuscirci lei da sola ad
affrontare quell'ennesimo ostacolo, che non poteva permettersi di darla vinta a
lui, che non poteva retrocedere ora, ora che lo vedeva davanti a quella panchina
mezza marcia.
Mentre Beatrice s'avvicinava al suo nemico, armata
meglio possibile di risolutezza e di un nuovo coraggio che non aveva immaginato
di avere, Alberto la guardava … s'avvicinavano due mondi, s'avvicinavano due
giovani vite che, o per un motivo o per un altro, condividevano quel momento e
tutto ciò che ne sarebbe derivato avrebbe davvero avuto una qualche importanza.
Entrambi lo sapevano, tutti e due sentivano, dentro, che in quell'incontro
faccia a faccia sarebbe successo qualcosa … tutti e due erano agitati, tutti e
due erano insieme frementi e impauriti per quello che incombeva: Alberto non
voleva parlarle, non voleva averla vicino, non voleva nemmeno dover parlare per
l'ennesima volta di quell'assurdità, tuttavia non poteva scappare, un po' per
non sembrare un codardo e dargliela vinta, un po' perché in fondo era proprio
curioso di sentire che cosa gli avrebbe detto quella là; Beatrice avrebbe
voluto scappare, dimenticare quell'ennesimo demente - quanti ne aveva già
incontrati, purtroppo! - e passare da Adriana, passare qualche tempo con lei,
sedute in salotto a coccolarsi, però dentro di lei qualcosa la costringeva a
muoversi verso quel pirla che ciondolava vicino ad una panchina marcia di
pioggia.
"Eccola qui …" sospirò, rassegnato,
Alberto prima di iniziare a combattere: «Allora? Che vuoi» attaccò con un fare
aggressivo e odioso: ostentava la sua rabbia e il suo schifo, quasi che le
avesse concesso l'onore della sua presenza e come se adesso non avesse troppo
tempo da perdere con quella malata del cazzo!
«Cerca di non fare lo stronzo già a prescindere,
perché ti potrei tranquillamente mandare a cagare e andarmene - anche lei è
decisamente agguerrita, ha una sicurezza nella sua voce che non c'è mai stata!
- se sono qui è solo perché ci sono delle cose che devi capire, così magari
cresci un po', e queste cose non mi andava di dirtele via chat, perché, a
quanto pare, non capisci!»
«Vedi di stare calmina anche te! Già è tanto che
sono venuto»
«Oh! Ringraziamo vostra grazia per averci concesso
la vostra presenza! Quale grandissimo onore! Ma vaffartifottere!»
«Ma fanculo te! Ciao!» Si stava girando e se ne
sarebbe andato.
«No! … - la rabbia sembra aver ceduto il posto alla
consapevolezza … - aspetta: cercherò di non insultarti mentre di dico alcune cose
… ascoltami!»
«Parla»
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