martedì 29 marzo 2016

SKIN-TIGHT JEANS - settima parte

MARTEDÌ notte
La svegliarono i suoi genitori, agitati, scuotendola con la mano tremante: lei non aveva sentito il telefono squillare di là. Dietro di loro la luce dal corridoio era accecante. Non le avevano voluto dire nulla, l'avevano solo svegliata e le avevano detto che doveva vestirsi in fretta. Lei si era vestita senza fretta, mentre la madre stava lì, sulla porta, le mani giunte sul ventre e gli occhi fissi nel vuoto, un po' umidi, preoccupati e addolorati. Papà era andato di là e Adriana lo sentiva trafficare con qualche chiave.
Quando fu pronta sua madre l'accompagnò in salotto, non preoccupandosi di spegnere le luci né di controllare che tutte le finestre fossero chiuse. Insieme uscirono di casa, chiudendo la porta con solo una girata di chiave. Le mani di papà tremavano, i suoi occhi erano agitati e si muovevano qua e là senza tregua.
Più volte chiese cosa stesse succedendo, ma nessuno dei due rispondeva: l'una rimaneva incantata, assolutamente assente, l'altro si agitava parlottando qualcosa di incomprensibile, saltellando agitato come fosse un tarantolato.
In macchina papà guidava spostando il suo sguardo ansioso da uno specchietto all'altro, agitato come se si trovasse in un incrocio trafficato all'ora di punta.
Finalmente, davanti al parco, papà fermò la macchina e si voltò verso la figlia.
«Io non volevo portarti, ma lei ha insistito per vederti, diceva che solo tu potevi aiutarla, che solo tu avresti potuto capirla, che aveva bisogno di abbracciarti e di stringerti …» quasi piangeva mentre parlava. La sua voce pareva quella di un isterico, di uno schizofrenico.
«Beatrice ha bisogno di me? Cosa è successo?»
Ma la domanda stroncò ogni parola nella gola di suo padre. 'Beatrice ha bisogno di me?' Udire simili parole spense ogni forza nel corpo di quell'uomo e lo lasciò lì, ormai liberato dalla sua agitazione, invaso solo da un immenso dolore: «No … - disse facendosi un poco coraggio, fissando un punto inesistente ai piedi della figlia - non è Beatrice che ha chiesto di vederti, non devi aiutare lei …»
Ormai Adriana era completamente confusa: la preoccupazione pulsava dentro di lei e raggiungeva picchi elevatissimi; il cuore si agitava ansioso e sembrava desiderare di essere strappato dal petto; sudava freddo, inzuppando la tuta che si era messa addosso mezza addormentata.
«Che cosa succede!!» gridò Adriana, ormai impossessata dall'ansia.
«Adriana … Beatrice … Beatrice è morta! - disse con un filo di voce quel pover'uomo - I suoi l'hanno trovata in camera sua, allungata sul letto verso la lampadina»
Non un'emozione, non una lacrima, non un gridolino. Nulla.
Gli occhi di Adriana si persero nello sguardo del padre e smarrirono il loro colore, si spensero nel vuoto.
Balbettò: «C-c-com … come è successo?»
Ma il padre non ebbe la forza di rispondere, si voltò e riprese a guidare, riprendendo la strada verso la loro meta; mentre guidava le lacrime gli rigavano il viso, andandosi a perdere nella barba folta.
Quando giunsero a casa di Beatrice l'ambulanza era ormai ripartita da molto e sul luogo rimanevano solo i vicini, i curiosi e i carabinieri.
I genitori di Beatrice piangevano in un angolo del portone, sorretti da qualche vicino caritatevole: quando vide Adriana la madre di Beatrice le corse incontro e la strinse a sé, piangendole nei capelli, urlando il nome di quell'angelo che quella sera si era involato verso un mondo più sereno.
Adriana dal canto suo ancora non piangeva, quasi in catalessi osservava tutto quello che le accadeva attorno e, quando la donna l'aveva abbracciata stretta stretta, lei era rimasta immobile, senza muovere nemmeno un dito, lo sguardo perso.
«Lei t'amava davvero! - urlava la misera - Lei t'amava!! BEATRICE! AMORE MIO!!! Perché? Perché a lei? Perché lo ha fatto? Perché? PERCHÉ?»
Il cuore di Adriana, bloccato per la disperazione, recepì quelle parole di dolore e ad un tratto si accorse di ciò che significavano: Beatrice si era uccisa! Il suo amore, la ragazza che aveva visto così tante volte sorridere per certe idiozie così sceme ora era morta, si era tolta la vita; quella ragazza che diceva di sentirsi davvero felice con lei, di sentirsi finalmente se stessa quando erano insieme, era morta, andata via per sempre dalla sua vita!
Il dolore fu qualcosa di straordinario, qualcosa di quasi meraviglioso: in un cuore che si era fermato alla notizia della morte della persona amata, tutto ad un tratto, tutto si rimise in moto: una fiamma ardente straziante iniziò a bruciare e divorare con il proprio fuoco; le lacrime finalmente scesero copiose e il dolore si manifestò con alte grida e lacrime terribili!
Adriana crollò a terra e il suo corpo scivolò tra le braccia della madre di Beatrice.
Rivoltandosi sull'asfalto la ragazzina gridava e piangeva, stringendosi il viso con le mani, graffiandoselo con le unghie, stringendo i denti in una morsa dolorosa, che tentava di impedire alla disperazione di uscire.
Passò molto tempo.
Quella notte non dormì nessuno e non ci fu spazio per le parole.
Quando la mattina Adriana fu portata di nuovo a casa le lacrime continuavano a sgorgare come da una fonte inesauribile, una fonte nascosta non dietro gli occhi, ma giù, nel cuore, celata nei sentimenti più intimi e privati della sua persona. Questo pianto non era attraversato da singhiozzi e scossoni, ma scendeva come un ruscello, rigandole il viso e scivolando lungo il corpo.
Sua madre le sedette vicino sul letto dove l'avevano adagiata. Almeno nella mamma sembrava tornata un po' di vita: osservava la figlia dispiaciuta ma non più inebetita, non aveva più gli occhi sbarrati, ma dolci occhi materni che si dispiacciono e per la sofferenza di ciò che hanno di più caro.
«Amore mio - disse a bassa voce, sfiorando la fronte della figlia con la mano - c'è qualcosa che mi hanno dato i carabinieri: è solo una copia questa, ma a quanto pare in cucina c'era un foglio su cui ha lasciato scritto qualcosa … c'è scritto qualcosa anche per te … vuoi che te lo legga?»
La figlia cui si rivolgeva non l'aveva mai vista: una creatura sofferente che stava sdraiata senza un cenno, senza un minimo movimento …
«No! Lascialo sul comodino ed esci»
Non c'era rabbia nella sua voce, ma nemmeno dolore, nemmeno tristezza: la sua voce aveva perso ogni colore, ogni forza, ogni slancio.
La madre obbedì e lasciò la stanza, non chiudendo la porta dietro di sé, indugiando qualche secondo sull'uscio a osservare quel corpo immobile.
Adriana chiuse gli occhi e ritrovò il volto di Beatrice, riuscì a richiamarlo a sé con il suo amore: sentì nel naso il profumo dei suoi capelli biondi, percepì tra le sue dita le mani di quella creatura meravigliosa, poté riammirare quegli occhi così grandi e luminosi, timidi ma felici. La guardava con quell'aria innocente e fanciullesca che aveva sempre prima di avvicinarsi e baciarla, con quel sorrisetto un po' birba che le faceva venire le fossette sulle guance.
Quando quest'immagine le fu chiara davanti agli occhi, Adriana gridò. Un grido lungo, alto e sofferente che riempì la casa e fece accorrere i suoi. Entrambi la tennero stretta, mentre Adriana ricominciava a urlare e disperarsi,a piangere l'amore perduto, l'amica ormai morta.
Ci volle del tempo perché si calmasse di nuovo, ma finalmente, stremata da tutto quel dolore, Adriana s'addormentò e dormì un sonno senza sogni.
Quando si svegliò era notte e di là i suoi si tormentavano per la figlia. Accese la luce del comodino e ritrovò il foglio che vi aveva lasciato sua madre.
La fotocopia era scura, ma si leggeva bene la grafia: quella r riccioluta l'aveva incontrata già tante volte in biglietti di auguri e fogliettini carini, in dediche scritte su quel cd o su qualche busta contenente una frase romantica o una lettera d'amore.
Le lacrime avrebbero voluto trionfare ancora ma il sonno aveva concesso ad Adriana di resistere e leggere.

"Fate avere questo foglio anche ad Adriana, per favore: non c'è persona che m'abbia più aiutato, che m'abbia più amato! Grazie Adriana, perché senza di te non avrei mai capito chi sono, perché con te ho scoperto che cosa significa stare bene, perché sei stata la persona che mi ha abbracciato sempre quando ne avevo bisogno. Grazie … non pensare che la colpa di quello che sto per fare sia tua: non hai colpa, amor mio, non ne hai e non te ne devi imputare … sei stata meravigliosa ma il mio cuore non riesce a sopportare. Tu hai dato forza a questo mio cuore, una forza che mi ha fatto superare tante e tante cose, ma oggi nemmeno la forza che viene da te riesce a farmi andare avanti, oggi la forza che avevo trovato è venuta meno e … e nulla. Ti amo, Adriana, e, qualsiasi cosa sarà, io sarò con te, vicino a te, in ogni tuo nuovo amore, in ogni tuo nuovo giorno: vivi per me, abbi la forza che non ho avuto io e aiuta un'atra come hai aiutato me! Sei la persona più meravigliosa che esista e t'amo, ti amo, ti amo, TI AMO! Dicono che siamo solo ragazzine e che non possiamo sapere cosa sia l'amore, ma quello che provo io lo riesco a definire solo così, con queste parole: TI AMO!"

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