Era notte.
Era estate.
Era buio pesto e
noi eravamo fuori con le pecore. Una grassa femmina stava partorendo nella
notte e papà aveva abbandonato il suo bastone nell’erba, vicino alla roccia su
cui stava riposando. I grilli cantavano i loro inni, soli, in mezzo a quel mare
di oscurità.
La pecora stava
faticando, faceva evidentemente uno sforzo immane, e a poco a poco il suo
simile le uscì dalla pancia, venne alla luce nell’oscurità della notte. Ricordo
il sangue e il liquido appiccicoso che invase l’erba e mi insozzò le mani, ma
non ero schifato, anzi: quel calore era il segno tangibile di una nuova vita!
Mio padre prese
il giovanotto, ancora incapace di muoversi, e, sedutosi, se lo mise sul grembo:
la madre ansimava stremata, il cucciolo si agitava leggermente sulle cosce di
mio padre, lui sorrideva, non lo vedevo, ma so che sorrideva.
All’improvviso
sentii qualcosa, una nota bassa, profonda, lunga, che attraversò la notte come
uno squillo di tuba. Mi guardai attorno: mentre pensavamo alla partoriente si
era avvicinata l’alba e ormai una striscia luminosa attraversava l’orizzonte.
Di nuovo quel suono e poi sentimmo delle voci, sublimi, perfette e armoniose:
non cantavano, erano il canto, la musica stessa!
Le loro parole
erano pura estasi e, non so perché, ma tutti ci dirigemmo verso un boschetto,
alla base del colle, dove qualcuno aveva pensato di costruire, mettendo due
colonne e qualche pezzo di legno, una sorta di stalla improvvisata, cadente. Lì
trovammo le donne che dal villaggio, avendo udito quegli stessi suoni, erano
accorse con ansia, ma senza un motivo chiaro, a quel luogo.
Meraviglia delle
meraviglie. Ecco come potrei descrivere ciò che vidi. Una donna giovane – una
ragazzina – teneva tra le braccia, appoggiandosi a una mangiatoia, un bambino
neonato, avvolto in una fascia bianchissima. Nell’oscurità una grande luce si
sprigionava da quel volto di infante e inondava tutti e tutto, accecando,
addirittura, una mia cugina, che era molto vicino ai due. Mio zio era vicino e
guardava esterrefatto sua nipote, al suo fianco, e le diceva: - Come è
possibile in questa vita tutto ciò?
Un vecchio
tentava di tranquillizzare un mulo che continuava a ragliare, come infastidito,
eccitato da quella strana luce.
Il canto proseguiva
e la notte era ancora attraversata da soavi note sovrannaturali.
Tutti noi non
abbandonammo quella fanciulla e il suo bambino fino a che non ebbe fatto
giorno.
Correggio, Adorazione
dei pastori (la notte)
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