martedì 9 dicembre 2014

LE SPIAGGE DI BARGEN

Il momento più bello in assoluto è quando il cielo è nuvoloso e il giorno inizia a virare verso la notte scura: qualche raggio ha il coraggio e la forza di penetrare la coltre pesante di nubi scure e pesanti, la luce scintilla sulla superficie calma, quasi immobile, dell’acqua, e anche la spiaggia, segnata qua e là da una pozza di liquido salato, luccica un pochino, di un luccichio delicato e affascinante, incantevole. Tutto: cielo, sabbia, acqua è attraversato da pennellate bianche di luce pura.
Alejah se poteva si incamminava piano dalla rocca e procedeva sulla rena umida, dopo aver abbandonato i suoi stivali alla torre alla base della Rupe. Inspirava l’aria iodata, pura e fresca. La sabbia sottile si insinuava tra le dita e la sensazione di freddo sotto il piede gli dava un senso di sicurezza e stabilità.
La veste grigia di lana si scuoteva mossa dalla brezza che saliva dal mare, il gran medaglione di bronzo veniva, di tanto in tanto, sballottato sul petto, tintinnava con i mille anelli che lo tenevano appeso al collo stanco. Il cappuccio, tirato su per coprire il capo dalle goccioline che talvolta arrivavano trasportate dal vento, lasciava scoperto il volto anziano e barbuto di Alejah: procedeva chiudendo gli occhi ogni tre o quattro passi, cercando di liberare la sua mente da ogni preoccupazione, da ogni pensiero.
Procedeva senza fretta alcuna, prendendosi molto tempo per ogni movimento, anche il più semplice, godendosi ogni attimo di quella pace.
Un giorno Alejah camminava come suo solito, i piedi nudi affondati nella sabbia; lontano, sul mare, le nubi cominciavano a caricarsi di pioggia e presto quelle gocce avrebbero raggiunto le spiagge e la Rupe. In molti avevano tentato di dissuadere Alejah dal compiere quella passeggiata quel giorno, ma l’anziano era ostinato e cocciuto ed era riuscito  a ottenere che lo lasciassero andare, ma con una condizione: sarebbe stato accompagnato da uno dei soldati della guardia.
Il soldato camminava tre passi dietro a Alejah e si muoveva solo in relazione ai movimenti dell’anziano: nel loro incedere c’era qualcosa di affascinante; l’uno rigido, addestrato e controllato, figlio di addestramenti severi; l’altro piegato un po’ in avanti, rigido anch’egli ma per la vecchiaia, assorto in infinite disquisizioni intime e personali.
«Qual è il tuo nome, soldato?» disse improvvisamente fermandosi, ritto dinnanzi al mare, senza voltarsi a guardare la sua scorta.
«Romir, signore, figlio di Damian e Alessa» rispose il soldato, dopo qualche attimo di incertezza.
«Un nome importante ti hanno impartito i tuoi genitori» e riprese a camminare sulla sabbia umida.
«Certo, signore»
«Dimmi: da quando sei soldato qui a Bargen?»
«Faccio parte della guardia da pochi mesi, signore, dopo un addestramento durato sette anni alla fortezza di Schiele»
«Capisco, capisco … qualcuno ti ha raccontato della storia della fortezza?»
«La storia di Bargen la conosco fin da piccolo, signore»
«Bene, bene, mi fa piacere che ti abbiano istruito con la storia di questi luoghi … come hai deciso di diventare soldato? Una vita così dura, così faticosa e pericolosa, cosa ti ha spinto a scegliere una via tanto ardua?»
«Fin da piccolo sognavo …»
«Come tutti i bambini! È davvero un’aspirazione comune a moltissimi fanciulli quella della battaglia e della gloria che si può ottenere da essa, ma tu … come hai preso una simile decisione da adulto, con il giudizio che una persona adulta dovrebbe avere? Perché scegliere la guerra?»
«Io … io … non so … non lo so davvero: non ci ho mai pensato, signore, perdonatemi … »
«Io?! Perdonarti!? Per quale ragione dovrei perdonarti? Insomma: quale torto mi avresti fatto?!»
«Io … non so che dirvi, signore …»
«Conosci la storia di Bargen hai detto?»
«S … sì, mio signore»
«Raccontamela, te ne prego»
«Mmmmm, sì … Circa seicento anni fa queste terre erano controllate dal popolo Merg, i signori del mare, capaci come nessun altro di grandiose imprese sul mare, fondatori di città in ogni regione del Mare del Sole, tra i pochi a conoscere le rotte commerciali degli elfi di Grande Mir. Avevano fondato una grande città poco lontano da queste spiagge, una città che in pochissimo tempo era divenuta una dei più grandi centri commerciali dell’intero continente per la sua posizione particolarmente favorevole: in una costa di alte scogliere, precedute solamente da piatte spiagge insidiose,  solo in un punto la roccia ruvida scendeva in una piccola valle, che si incontrava, infine, con il mare, qui scorreva un rivo d’acqua dolce e qui il mare la costa era un poco riparata da delle rocce che, lontano, immerse nel blu scuro dell’acqua, trattenevano la forza furiosa delle onde. La città era mira di molti popoli che avevano abitato, prima dell’arrivo dei Merg, questa regione e ben presto dei cacciatori nomadi si radunarono in una sorta di esercito – decisamente male assortito – composto da uomini e donne, giovani e vecchi, tutti decisi a espugnare una città giù bell’e’fatta.
A quel tempo il popolo Merg che aveva fondato la città aveva anche deciso di darsi un governo di tipo monarchico, scegliendo un re da una delle famiglie fondatrici: dopo la morte del re si sarebbero svolte nuove elezioni e un nuovo re, sempre scelto tra le famiglie fondatrici, avrebbe preso le redini della ricca città. Poco prima che la guerra infuriasse nella regione tra cittadini e nomadi delle foreste, l’anziano re morì strozzato da un ossicino di pollo rimastogli incastrato in gola durante uno dei suoi innumerevoli pasti giornalieri. Mentre il cadavere veniva fatto rotolare via dalla sala del trono – perdonate se vi pare stupido, ma così mi hanno raccontato la storia – le famiglie fondatrici venivano già radunate per l’elezione del nuovo sovrano. Già la voce di un possibile attacco girava per la città ed era giunta fino alle orecchie del monarca, ma il defunto non se ne era preoccupato, forse pensando (e non a torto) che oramai la sua fine era vicina e che sarebbe stato qualcun altro a occuparsi della faccenda. Un nuovo sovrano venne eletto e si scelse un giovane gagliardo, ben addestrato all’uso delle armi e poco incline alla conoscenza e al sapere. A guerra scoppiò e fu una carneficina di nomadi e di cittadini: gli uni, i primi, erano meno preparati e svantaggiati dalla loro posizione di attaccanti, ma anche erano molto più numerosi, tanto da parere che ogni volta che uno veniva ucciso altri due prendessero il suo posto; gli altri, invece, erano avvantaggiati dal trovarsi dietro un muro solido e approvvigionati da un porto ricco e fiorente, ma anche si trovavano ad essere pochi e miseri, la maggior parte abituata dalla ricchezza al buon cibo e al riposo, al sollazzo e alla gola. Si continuava a morire e si continuava a combattere, si continuava a combattere e si continuava a morire. Il giovane re, che alle famiglie doveva essere apparso l’unica speranza di vincere una guerra, giorno dopo giorno diveniva sempre più miserevole agli occhi dei molti, evidentemente incapace di portare la parola fine al conflitto. Si racconta che il suo stesso padre fu l’ideatore della congiura che avrebbe portato la fine del suo regno: le famiglie erano pronte, si erano preparate un piano per eliminare lo sciocco bellicoso, buono a nulla, e per nominare un nuovo sovrano, più sagace e che, forse, si sarebbe rivelato un miglior stratego. Ma il giovane re ‘bellicoso e stupido’ non era cieco: scoprì di essere in pericolo e la congiura fu sventata. Però la congiura, sebbene non compiuta e sebbene non secondo le aspettative dei congiurati, ebbe i suoi frutti: la guerra sarebbe di lì a poco finita. Il giovane re, infatti, rifletté in seguito al suo tentato omicidio e si scoprì a considerare un altro modo per finire la guerra che non fosse il soffocare nel sangue i nemici. In un giorno nuvoloso, poco prima del tramonto – in un giorno come questo in effetti – incontrò una sorta di ‘delegazione’ nemica e discusse con loro un trattato. La parole fu l’arma più efficace: parlarono a lungo e non si sa cosa si dissero, tuttavia si sa cosa si ottenne: la città venne abbandonata e ricostruita qualche miglio più a sud, i popoli nomadi non entrarono nella città e continuarono a vivere spostandosi un po’ più a nord; insieme, Merg e nomadi, costruirono la Rocca di Bargen, in cima alla Rupe, cui unico scopo sarebbe stato quello di preservare il sapere, luogo di incontro pacifico per ogni individuo dal mondo.»
L’anziano Alejah aveva ascoltato, sempre voltato di spalle, il racconto e poi, finito che fu il racconto, si voltò con un sorriso amorevole e paterno:

«Se sai così bene la storia di questo luogo, perché sei diventato soldato?»

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