martedì 20 maggio 2014

1^ LETTERA A G.

9 marzo ----
Caro G.
dopo molti giorni di silenzio ti scrivo, ma non ti narrerò nulla della mia vita odierna, di ciò che sto passando in questi giorni. No. Voglio concentrarmi su un ricordo che mi sta a cuore. Mi è tornato alla mente in questi giorni perché si è festeggiato la Festa di Ognissanti e dei Morti, e il mio pensiero non ha potuto resistere a tornare a quei giorni. In particolare un giorno
Quel giorno era estate, una fresca e assolata giornata di estate montana. Il cielo era azzurro e limpido, qualche nuvoletta si profilava dietro le maestose forme del Cervino e del Tantanè, ma sulla Becca il cielo era sgombro. Una lieve brezza soffiava ad alleviare il calore del sole vicino, e con la sua delicatezza accarezzava le distese di fiori profumati, gialli, viola e rossi, blu, celesti e rosa. Il profumo di erba e campo riempiva l'aria. In lontananza risuonava un campanaccio, mentre i rumori della strada, i rumori dell'uomo erano lontani.
Ero un bambino felice. Quel giorno fu anch'esso felice. Quasi ogni giorno, eravamo soliti passeggiare lungo una breve strada che dalla casa, nella piccola frazione, scendeva giù per i prati della fattoria; arrivati alla fine di questa strada si godeva di uno spettacolo meraviglioso: ai propri piedi si poteva osservare il paese in fondo alla valle, con le sue piccole case dai tetti di pietra, con i diritti piccoli campanili delle cappellette; dinnanzi si apriva lo spettacolo del Tantanè e dello Zerbion, alte e maestose cime sempre immerse nella propria pace; verso sud si apriva la bella vallata che tuttora conduce alla città che segna il limite della valle del Cervino; e poi c'era lui, proprio il Cervino, maestoso e quasi solitario, avvolto nella sua aura di serenità, come fosse davvero un animale che osserva attentamente noi, poveri, vivere sulle sue enormi carni di pietra.
Quella passeggiata, in quel giorno così sereno, la percorsi con la nonna, madre di mio padre. Una signora forte, aveva cresciuto due figli e aveva perso il suo amato marito quando il secondogenito - mio padre - era ancora un bambino. Nella vecchiaia ci aveva viziati, sì, ma non aveva mai esagerato: era stata in grado di sgridarci quando occorreva, ma non aveva mai mancato di premiarci se ne fosse stata l'occasione. Amavo la mia nonna, una vecchina che sembrava sempre in bilico, ma che era poderosa.
Quel giorno camminammo lungo la strada sterrata e giungemmo dinnanzi allo spettacolo della natura con delle goccioline di sudore che ci scendevano dalle tempie. Mangiammo la merenda: aveva portato con sé una piccola brioche, perché potessi riposarmi e saziarmi. Lei stette a guardarmi e prese solo un piccolo pezzo della soffice tortina, sotto mia proposta - fosse mai che non offrissi qualcosa, altrimenti la mamma, anche se lì non c'era, che l'avrebbe potuta sentire?! -.
Allora presi un piccolo granello di zucchero e lo osservai tra le mie dita, piccole e delicate e curiose.
- Nonna, vuoi sapere da dove viene lo zucchero?
Mia nonna mi osservò pochi istanti, ma ora so che ragionò, cercò di capire cosa volessi dire, e cosa volessi sentir dire.
- Certo!
Mi aveva dato il via: iniziai.
- Vedi nonna, lo zucchero viene da questi sassi - e presi in mano uno di quei sassi bianchi e luminosi, a tratti quasi pezzi di vetro colorato, che così spesso e facilmente si trovano in montagna - e solo dopo un lungo lavoro è possibile mangiare lo zucchero! - presi ad indicare, man mano che spiegavo i procedimenti per la produzione, le varie vette che mi si paravano d'innanzi - Innanzitutto si raccolgono le pietre che vengono, con grandi camion, trasportati fino a quella montagna; lì tutto viene fatto in pezzi grossi così - e le parole furono accompagnate da gesti di spiegazione - e poi, sempre con camion, arrivano lì, qui vengono lavati tante volte e bisogna pulire bene i sassolini, se no … :non diventa bianco! Poi bisogna sminuzzare ancora i sassi e diventano più piccoli; allora è necessario rilavare i sassi che ora sono bianchissimi. Si deve trasportare tutto là, dove i sassi si mettono sotto la neve e ci devono rimanere per tanti giorni. Dopo questo periodo bisogna che, dopo essere stati trasportati tra quelle due montagne, i sassi siano ancora più ridotti e lavati, poi, finalmente, dopo ancora qualche giorno sotto la neve, lo zucchero è fatto!
Mia nonna, amorevolmente, era rimasta attenta, concentrata, tentava di capire la mia spiegazione e la comprese, mi fu in qualche modo grata della spiegazione che gli avevo fornito, perché in qualche modo l'avevo istruita.
Sono ancora grato alla mia nonna per quel giorno, per quegli attimi che passammo insieme dinnanzi a quelle mute sentinelle, così nascoste da apparire evidenti. Ho pochi ricordi con la mia nonna, perché ella morì che ero ancora piccolo, ma questo è senz'altro il migliore e il più completo. Ricordo il sorriso e le sue rughe, ricordo la sua mano nella mia e la sua debolezza-delicatezza. Quando penso a lei non posso che farmi qualche domanda, e spesso non trovo alcuna risposta, perché non solo le domande che mi pongo sono non facili a rispondersi, ma anche il mio pensiero corre sempre, inesorabilmente, rapido a quella donna.
Null'altro.
Spero in tue notizie al più presto.
Un caro abbraccio e un affettuoso saluto.
Il tuo amico, J.

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