martedì 6 maggio 2014

IL TRIONFO

Il sole era caldo, stranamente caldo in quella giornata di marzo. Sulla città i raggi di Febo Apollo scendevano lentamente e illuminavano dolcemente le molte case di Roma, svegliando anziani e giovanotti, donne e uomini. Per le strade qualcuno già camminava frenetico, qualcuno si precipitava in quella o in quell’altra locanda. I mercanti già preparavano le lo loro botteghe mentre nelle osterie iniziava a circolare il pane appena sfornato, con quella fragranza delicata, quel ricordo di campi fertili d’Egitto, campi baciati dal Nilo e dai suoi fertili fanghi, fanghi che hanno nutrito i virgulti giovani e biondi di grano.
Quando Roma fu tutta sveglia, il popolo si precipitò in strada, nessuno rimaneva chiuso in casa propria, tutti correvano verso la grande via, la Via Sacra, puntavano tutti al colle del primo re e cercavano di essere i primi ad arrivare. La Via Sacra era gremita di gente, qualcuno calpestava qualcun’altro, più debole, un altro si arrampicava su quel monumento agli Scipioni che vinsero Annibale, un altro ancora osava salire gli scalini che conducevano alla sacra casa di quelle venerabili vergini sacerdotesse, rischiando severe punizioni; qualcuno prendeva il carretto e vi saliva, come fosse un podio, per avere una migliore vista. Dovunque si udivano i venditori che offrivano focacce stantie, qualcuno offriva bei monili di Persia, alcuni vendevano qua e là morbidi tessuti d’Oriente.
Tutto il popolo, senza distinzioni di ceto, si era riversato ai margini della Via Sacra, quella stessa via che Romolo percorse quel primo marzo dopo aver sconfitto il popolo dei Ceninensi. Tutti accorrevano ansiosi. Ed ecco!, dal fondo della via, la via sulla quale numerose case di nobili patrizi si erano accumulate negli anni, ecco risuonare squillante il suono di una tromba dell’esercito, poi una seconda, una terza, una quarta. Suonano insieme la marcia. Ora si accompagnano ai tonfi profondi di un grande tamburo. Ora sono decine e decine, centinaia. Camminano rapidi, i soldati, ma compostamente; un passo poi l’altro, tutti uguali, l’armatura è ben fissata sulle spalle, gli elmi sono sollevati e gli sguardi fieri, gagliardi, nessuno indossa le armi: non si può entrare armati in Roma!
Il popolo esulta, i fiori sono lanciati verso i vittoriosi soldati, uomini che hanno speso mesi e mesi contro nemici lontani. I soldati salutano con gli occhi. Me ecco che qualcuno ei soldati inizia a canticchiare, sono cose oscene, ma è concesso … quasi tutto è concesso ai soldati trionfanti. Ma non sono loro ad avere trionfato, no! il generale è sulla bella biga dorata, trainata da quattro cavalli di Persia, bardati e corazzati. Le insegne militari svettano sugli alti pali, sorretti da muscolosi soldati. Il generale è circondato da uomini possenti, ma anche questi sono disarmati: nessuno può entrare armato in Roma! Il generale saluta sorridente, con la mano destra si regge alla biga, con la sinistra fa cenni al suo popolo, guarda ogni capo allegro che lo osserva. Dietro di lui vengono altri soldati. Molti soldati. Qualcuno ha in mano grandi ceste di vimini ricolme di monete, di ogni genere: oro argento, sesterzi e assi; a grandi manciate distribuiscono il bottino di guerra: ognuno allunga le mani sia per proteggersi sia, e soprattutto, per accalappiare la maggior quantità di denaro. C’è poi la sfilata dei prigionieri; un infinito stuolo di schiavi di guerra, catturati e costretti a terribili condizioni, orfani di patria, hanno viaggiato per miglia e miglia attraverso l’impero, cibandosi di poco e bevendo con i cavalli. Il popolo è esultante. Ognuno è felice.
Là, all’imbocco di quel vicolo, ci sono  tre donne, sono puttane – si vede -, sono vestite senza pudore, una di loro ha un seno all’aria, l’altra ha i capelli scompigliati e la terza è troppo truccata; hanno afferrato un uomo, un giovane figlio di mercante, vestito bene, avvolto in una bella veste bianca, sembra un ironico simbolo della sua, ormai poco duratura, verginità. Una delle donne afferra la mano destra del giovane e la conduce sotto le sue vesti, là dove si congiungono le gambe; l’altra si è avvicinata e gli lecca l’orecchio con la sua lingua svergognata; la terza ha capito: il giovane è delle sue compagne, lei non occorrerà … si allontana alla ricerca della sua preda.
“Viva il generale!” urla quell’uomo vicino al tempio di Giunone, alza le mani in segno di giubilo, ma deve presto rimetterle alla cintola, altrimenti … troppo tardi: un abile ladro gli si è fatto vicino fingendo felicità per la vittoria sui barbari, ma è lesto di mano e, preso il sacchettino di cuoio, è sparito. Coraggio povero sventurato, corri a lavorare per riparare la perdita; non disperare, è inutile: i tuoi sesterzi se l sta bevendo un furbone in una bettola! Smetti di girare e guardarti attorno sconvolto, come se servisse a qualcosa … sei solo stato un grande ingenuo!
“Io ti ucciderò, sporco Germano!” grida un bambino al suo compagno, brandendo nella destra una grande spada di legno – legno che è solo legno, nemmeno la forma è di spada, eppure nulla vede come gli occhi di un bambino -; il suo avversario incalza, il Germano, e continua a sferrare colpi di ‘spada’ con ferocia, ma ecco che il nostro romani si riscatta e riprende terreno, si rincorrono tra i soldati, quelli veri, come se quegli uomini alti e robusti, temprati da molte battaglie, fossero in realtà una fitta foresta in cui si combatte per la vita e la libertà.
“Quinto!” urla una matrona in lacrima, si sta facendo strada tra la folla, a suon di spintoni e calci, e nessuno la ferma o la sgrida: lei corre piangendo,ma non è triste, no!, lei corre verso l’amato, lo vede, è quel soldato che cammina per terzo nella fila, si sta guardando attorno, lui, alla ricerca di quegli occhi amati, con la speranza che, in sua assenza, credendolo perduto, non si sia risposata, la sua dolce moglie. La vede, abbandona la sua posizione e corre verso la donna, vita sua. “Ottavia!” “Quinto!”. Si ritrovano dopo tanto tempo, dopo molti mesi, i due innamorati, e gli dei solo sanno cosa si dovranno raccontare nelle loro prossime notti, quante storie si narreranno in quel letto così troppo a lungo rimasto freddo e vuoto.
Il cielo è sereno. Febo apollo guarda amorevole la città dei Quiriti, osserva affettuoso l’Urbs dai sette colli, distribuisce generoso i suoi raggi caldi e si rallegra nel vedere la gioia del popolo di Roma.
- Non posso che complimentarvi con voi, maestro **!
- Grazie, Vossignoria, spero sia gradito ai Vostri futuri ospiti come, mi pare, lo sia a Voi!
- Non dubito che saranno ben invidiosi! – rise di gusto reclinando la sua testa ingioiellata all’indietro.
- Badate, moglie mia, non dite certe cose! – fece lui, severo.
- Marito caro, io sono solo sincera: il maestro ** ha superato ogni sua altra opera con questo ‘Trionfo in Roma’!

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