martedì 17 giugno 2014

DI NUOVO, DOPO TRENT'ANNI O POCO PIU'

una storia per la Quaresima

'Adesso mi pento, ripenso a tutte le idiozie che in questi anni potevo evitare, ripenso a tutto quello che ho fatto, tutto quello che è avvenuto da quando, ormai ventisette anni fa, forse ventotto, lasciai la mia città per la capitale ... sulle mie labbra scorrono tutti i baci rubati alle mie amanti, tra le dita mi sembra di stringere tutte le monete trattenute troppo poco quando ne ebbi l'occasione ... Non mi spingere, so camminare! Ah ... non devo più camminare ... è ora che mi leghino: quante volte ho deriso quelli che erano nella stessa situazione in cui sono io ora ... chi è quell'uomo? Ha degli occhi familiari, uno sguardo già visto, ma dove? Anche lui deve subire l mio stesso destino, il mio supplizio ... eppure ... quegli occhi ... sono verdi, ma è un verde scuro, quasi macchiato di marrone ... è triste eppure quegli occhi ... sono in pace e ... quella pace io me la ricordo ... io l'ho già vista ... ma DOVE?? Non riesco a smettere di fissare quegli occhi, sono straordinari: la fine per lui si avvicina, eppure quegli occhi sono sicuri, sono convinti! Io quegli occhi li ho già visti, lo so, sono sicurissimo, eppure... forse quando ancora non ero in capitale?! No ... Si!, invece ... ecco! Gli occhi ora sono immobili davanti a me, tutto sembra svanire, tutto si confonde attorno a quelle iridi così affascinanti.
Era primavera e la notte limpida; ero un bambino, ero ancora a casa e la mia mamma era ancora viva. Quella sera sulla porta, la tensa scostata, osservavo le stelle, erano luminosissime quella notte. Papà era fuori con il gregge - era sempre fuori con le pecore nella bella stagione - e a me mancava, ma io e lui avevamo fatto un patto "Se ti mancherò e non riuscirai a prendere sonno, guarda su, osserva tutte quelle stelle che ti ho insegnato a riconoscere e ricordati la mia voce, ti calmerai e dormirai con me a vegliarti ...". Guardavo su, tutte quelle stelle mi parevano decine e decine di monete, come quelle che si accumulavano nei cassetti del mercato ... tutte mi ricordavano la voce di papà, ogni luce era una parola che risuonava nella mia testa, nel mio piccolo testolino di bambino ... osservavo quella distesa eterna di piccole fiammelle e la voce di papà mi tranquillizzava, a poco a poco i miei occhi si appesantivano, la mente si alleggeriva e si liberava di tutto il resto. Ricordo che quella notte la luna non c'era, non era venuta a salutare la sua corte infinita, non aveva allietato noi di quaggiù con i suoi raggi luminosi, no, quella notte tutto il cielo era delle stelle, ogni piccolo angolino di cielo aveva la sua ospite raggiante, la sua inquilina scintillante. Ricordo che, come mi aveva insegnato papà, resi grazie al Creatore per quello spettacolo, nei miei occhi assonnati ora c'ero lo stupore che un bambino non può non avere dinnanzi al Creato ... chiusi gli occhi.
- Svegliati, **, svegliati! - mi scuoteva papà, era ancora notte, ancora le stelle erano l'unica luce in quel silenzio così vasto, ero ancora appoggiato allo stipite della porta, con la tenda scostata - Svegliati! Dobbiamo andare, oggi è un giorno grande! -
e non potei oppormi: papà mi prese per mano e mi trascinò verso una delle grotte che si aprivano poco lontano dalle case e che qualcuno utilizzava come stalla o magazzino. Dentro una di queste grotte stava una bambina, o meglio, una ragazzina, aveva degli meravigliosi, occhi semplici e gioiosi, occhi umidi di lacrime, occhi arrossati dal pianto, ma felici, davvero felici. Un uomo stava seduto poco lontano, vicino a un fuocherello, e scaldava dell'acqua per la sua sposa. La ragazza era coperta da una massa informe di abiti e stracci e coperte. Il mio papà mi fece avvicinare raccomandandomi con un semplice gesto di tacere. 
Gli occhi della ragazza erano i più belli che avessi mai visto e in quella notte non salutata dalla luna erano come fari, luminosi e rassicuranti.In braccio, sommerso anch'egli dalla montagna di indumenti, coccolava un bambino, piccolo, appena nato. Vedevo il faccino di quell'essere così bello, così debole, così indifeso; le guanciotte erano belle tonde, soffici, con un dito ne toccai rapidamente una, prima che papà mi desse un sonoro schiaffo sulla mano. La ragazza sorrise. La fronte era liscia e morbida, il nasino umido e delicato, le labbra socchiuse. E poi gli occhi: quegli stessi occhi che mi avevano incantato nella madre, mi stregarono nel figlioletto! Se sulla ragazza apparivano il coronamento di qualcosa di perfetto, sul neonato erano gioielli provenienti da un altro, lontanissimo mondo!
Eccoli là quegli occhi così belli,eccoli pronti a subire una tortura terribile, un orribile crudeltà! Ora mi scendono lacrime amare lungo queste mie guance indegne, tutti penseranno che pianga per la mia sorte, ma non è così: perché quegli occhi devono subire tutto questo? cosa può aver commesso quell'uomo per essere qui insieme a ladri e assassini come me?
- Hai visto quel nazareno? Ben-gli-sta: ha voluto dirsi figlio di Dio?! Si salvi! - dice qualcuno non lontano da me. Dunque è lui? Quello di cui tutti parlano è ora qui a morire come me che sono ladro e assassino? Ma ecco, mi issano sul palo: mi manca il fiato! Che dolore al petto! Cosa dice quello là? - Hai salvato altri salva te stesso e noi! - ma che dici! tu non meriti di essere salvato, no! - Taci - gli dico io - tu non meriti di essere salvato da questa tua fine, e nemmeno io! Io ti conobbi - mi rivolgo a quegli occhi così belli - tempo fa, in una grotta ... come io ti ricordo da allora ... ricordati di me domani, quando sarai nel Regno di tuo Padre, salvo ... - e abbasso lo sguardo: non merito di osservare quegli occhi, non merito di essere salvato, non merito nemmeno di morire come lui!!
- Sarai con me nel Regno - mi dice.'

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