sabato 7 giugno 2014

LA MORTE DI FIDIA

Oggi nasceva nel 1848 un uomo particolare e estremamente curioso, Paul Gauguin. Questo è un vecchio racconto che ho ritrovato nelle mie carte e forse apparirà grezzo o altro, ma voglio che si presenti così, per ora almeno, e voglio leggerlo per ricordare un artista straordinario. A Paul Gauguin.
J.D.

Era ormai un corpo rinsecchito e debole e i suoi muscoli ormai erano solo fibre secche tese su ossa fragili. Sdraiato in una piccola stanzetta buia, con una sola piccolissima finestrella posta in alto, vicino al soffitto, solo stava Fidia. Le sue braccia, un tempo tenaci e poderose, erano distese lungo i fianchi, le gambe mollemente abbandonate a terra e la testa stanca poggiava con la fronte a terra. La sua carne, bruciata dal sole dell'estate che a poco a poco si dileguava, era solcata da rughe profonde. 
Dalla piccola finestra presto sarebbero entrati i primi raggi di sole del nuovo giorno e allora Fidia avrebbe saputo che era giunto il momento di andarsene, ma ancora non era sveglio, ancora dormiva un sonno agitato che era arrivato solo dopo tre nottate passate sveglio. Fidia dormiva e mentre dormiva sognò.
Era pressoché nudo nel suo sogno, indossava solo una stoffa leggera sul pube, ma i suoi piedi erano nudi e saldi nella sabbia, la sua pelle era tornata giovane e i suoi muscoli erano nuovamente vigorosi e guizzanti. Dinnanzi a lui c'era solo il mare e lui, dalla spiaggia dove si trovava, lo osservava silenzioso. 
La vista era strepitosa e il suo cuore traboccava di gioia; le onde spumeggiavano e l'aria di mare era inebriante: a ogni respiro il petto si riempiva di acqua salata, si riempiva di quello strano odore, che odore non è, ma che su ogni spiaggia si sente. Fidia osservava estasiato.
Ma sappiamo come vanno queste cose, quando qualcuno è così immerso in una simile gioia, è inevitabile, per uno strano scherzo, che giunga la disgrazia. 
Il cielo, fino ad allora sereno, si fece scuro, soffocato da nuvoloni neri e pesanti, di quelli che i contadini sperano dopo una primavera che è stata troppo secca. Il mare si fece mosso, le onde divennero cavalloni, meravigliosi e terrificanti muri di acqua scura. 
Un'onda iniziava la sua corsa, prima sollevandosi, quasi innocente, poi arricciandosi, arrabbiandosi e ricadendo su se stessa, e fu allora che Fidia lo vide, vide un architetto con le armi del mestiere imprigionato nella parete di acqua. L'uomo portava in mano le sue squadre e i suoi fili a piombo, si dimenava nell'acqua e sulla sua fronte era scritto:'il mio nome si scorderà, viva lo Stato e il Popolo!'. 
L'onda si richiuse su se stessa e l'architetto svanì.
Di nuovo un cavallone si avvicinò alla spiaggia e di nuovo Fidia intravide qualcosa nella parete liquida: una donna, una vecchia dalla pelle tirata e secca, dal volto lungo e triste. La sua pelle era scura, grigiastra, e le rughe si affollavano su quella carne vecchia, si rincorrevano l'una con l'altra e allora si creavano come dei fasci di queste rughe, e sulla fronte sembrava che disegnassero tante finestrelle, disposte ordinatamente. Sul petto nudo, sopra il seno flaccido e sgonfio, erano incise queste parole: 'io mi vesto di statue e guglie: sono nuda, come la pietra'.
L'onda si richiuse su se stessa e la donna, la vecchia rugosa svanì.
Ancora, per la seconda volta, l'onda finita in se stessa, fu seguita da un più alto cavallone. Per la terza volta una figura, di uomo, si fece avanti nell'acqua. 
Indossava degli abiti simili a quelli del suo tempo, ma il volto era di uomo superbo, quello di presuntuoso e altezzoso uomo. Portava una barba dalla forma curiosa e tutta riccioluta. Su uno dei panni che gli cadevano dal braccio portava una scritta: 'Io ho nostalgia di ciò che venne molto prima di me, disprezzo da dove vengo e vaneggio un mondo lontano'. 
L'onda si richiuse su se stessa e la terza figura scomparve nelle acque.
Una quarta volta le acque si incresparono e per la quarta volta Fidia vide qualcosa, qualcuno. Era una donna, una bella, prosperosa donna, con lunghissimi capelli neri tutti acconciati in pose esagerate attorno a quel visino incarne, con un grandioso vestito dai mille colori, decorato in maniera esagerata, talmente vario da dare la nausea per la confusione. 'La mia epoca è quella in cui tutto è irrequieto: tutto esagera se stesso' portava scritto in fili di perle abilmente intrecciate nei capelli. 
L'onda si richiuse su se stessa e la quarta figura scomparve.
Inutile dire che vi fu una quinta volta in cui l'acqua si innalzò verso il cielo scuro, ma proprio mentre qualcuno emergeva dalle acque - era una donna - Fidia non si trovò più su quella spiaggia, ma di nuovo nel suo buco e dalla finestra entravano i raggi caldi del sole. Sua figlia lo osservava silenziosa. Si mise a sedere e fissò i suoi occhi sulla carne della sua carne, sulla più meravigliosa opera d'arte che avesse mai plasmato.
- Padre - gli disse lei - cosa hai? Facevi dei versi senza senso!
E il padre rispose, con i suoi occhi rassegnati:- Io ho sognato cosa verrà dopo di me e dopo di noi 
- Cosa hai sognato?
- Ho sognato il mio amore crescere e perdere il nome, l'ho visto invecchiare e farsi un mero gioco di luce, l'ho visto rimpiangere me e il mio tempo, l'ho visto, poi, perdersi di nuovo. Muoio, figlia mia, e so che ciò che ho visto avverrà, ma sappi una cosa: tu sei mia figlia e ti ho amato anche più del mio primo amore, l'arte. Quando sarò nell'Ade continuerò a osservare te e il mio amore, ma sono certo che nessuno mi darà più preoccupazione quanto me ne dia il mio amore, l'arte. L'arte subirà i potenti, si dovrà chinare a sempre nuovi signori e non sarà libera per molto tempo, addirittura un giorno si crederà libera, ne sono certo, ma poi di fatto sarà ancora più schiava di quanto non lo fosse prima! Muoio, figlia mia, e mi mancherai
- Padre! Stai forse delirando? Cosa significano le cose che vai farneticando? 
- Figlia mia, non dovrò bere la cicuta della mia condanna e di' a tutti che mi dispiace aver rubato quell'oro, ma il cuore umano è avido ... ti prego, fa' che tutti mi ricordino non per come sono morto, non per l'infamia ultima della mia vita, ma per essere stato fedele servitore, amante e sacerdote dell'arte. Dillo a tutti
- Padre - ora la figlia era in lacrime, guardava Fidia piangendo lacrime sincere e commosse - io so che muori tu e muore l'arte
- Non essere sciocca - fece Fidia con un sorriso paterno - io muoio, ma l'arte è immortale, nonostante rinneghi se stessa, si muti e si trasformi, si penta e si rimpianga l'arte vivrà sempre!

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