giovedì 23 ottobre 2014

DE RERUM NATURA I

Lucrezio scrisse a proposito della Natura, delle leggi che, secondo la sua filosofia epicurea, regolavano la natura e l’universo.
Non sono Lucrezio – grazie a Dio! – e non ho intenzione di fare un manifesto della filosofia di Epicuro – poiché non ne sono grande estimatore, lo ammetto – ma prendo a prestito questo titolo per introdurre e nominare l’opera che segue.
Non è un poema ‘scientifico’ e nemmeno un lungo trattato di fisica naturale, anzi, proprio non ha assolutamente nulla a che fare con la scienza e le regole della matematica, il mio ‘De rerum natura’ è una riflessione sentimentale – se così posso dire – o un ragionamento – aggiungerei, denigrando la mia opera, ‘delirante’ –  riguardo al mistero del mondo che ci circonda, riguardo alle domande che proprio la natura delle cose, le loro leggi e le loro caratteristiche ci pongono ogni giorno.
Allora – e in questo iniziamo come il poema lucreziano – con un canto ad Afrodite, con il trionfo della primavera della natura, con la gioia del creato al ritornare del sole.

Qualcuno ha mai disdegnato una di quelle giornate straordinarie che ci colgono a metà maggio? Io credo di no, credo sia impossibile odiare quella luce calda che invade ogni casa, quel verde che improvvisamente si fa violentemente strada tra gli alti edifici grigi, quelle gemme così affascinanti che ciondolano, pronte a liberare i loro aromi più potenti! Chi potrebbe odiare questa natura? Chi potrebbe?! Un matto, una creatura il cui cuore conosce solo odio e freddezza, ma – credo e spero – tale persona non esiste, non è esistita e non esisterà: c’è sempre un po’ di tenerezza nel cuore, sempre sempre sempre!
Ebbene è in uno di questi giorni che il sole sembra una sorta di giornalista, un giornatilsta che, ogni qualvolta sentiamo i suoi raggi caldi sul volto, sulle guance e sulla fronte, ci stuzzica – caso curioso –  suscitando in noi un senso di gratitudine: quel senso di gratitudine, a sua volta, funge da innesco e subito ci chiediamo a chi stiamo dicendo grazie. E allora: a chi diciamo grazie?
La natura, ci insegna la scienza, è solo aggregato di particelle minuscole, gli atomi, che si incontrano e si ordinano secondo leggi sempre immutate. Eppure la natura ci pare, in un qualche modo, tendere sempre al domani, tendere sempre a qualcos’altro che sta un po’ più in là.
Una foglia nasce dal ramo di un albero e giorno dopo giorno si invecchia, perde qualcosa di sé, fino a quando, in autunno, cade seccata, ormai raggrinzita perché l’albero ha ‘deciso’ di non nutrirla più.
Un neonato nasce come embrione, poi cresce e diviene bambino, poi ometto, poi ragazzino, poi ragazzo, poi giovane, poi uomo, poi adulto, poi anziano, poi morto!
Lo scorrere del tempo ci sembra in qualche modo parte integrante delle cose, come se le cose stesse avessero, in sé, questa profezia di sviluppo e decadenza.
Ma procediamo con ordine.
La scienza ha iniziato, ormai da poco più di tre secoli, ad essere sempre più precisa e puntuale, scandagliando sempre meglio l’intera categoria dei creati (uomini, animali, terra, stelle ecc…) riuscendo a carpire molti risposte ai tanti problemi e quesiti che ognuna di queste cose rappresentavano.
Tuttavia sembra – questo è evidentemente la distinzione tra ciò che fa la scienza e ciò che è prerogativa, ambito e oggetto delle religioni e delle filosofie – essersi dimenticata di andare alla ricerca di cosa sta dietro a tutti questi fenomeni: la scienza si accontenta di definire tutti i parametri, di scoprire tutti i dati e incasellarli secondo precisi algoritmi o equazioni; ma questo è tutto ciò che la natura delle cose ci dicono?
La natura ci dice solamente che ad ogni azione di un corpo su un altro corrisponde un’azione di eguale intensità e direzione, ma di verso differente? La natura ci dice solamente che le basi della definizione dei caratteri della nostra persona non sono altro se non catene di basi azotate, zuccheri e gruppi fosfato?
La natura ci dice solamente che per far andare un oggetto più rapidamente su un piano inclinato una delle opzioni è quella di trovare un modo per ridurre l’attrito con la superficie, riducendo così l’azione frenante della stessa? La natura ci dice solo regole e leggi, ci trasmette solo dati e numeri, ci informa solo su stati e trasformazioni?
Be’ se la natura è solo questo permettetemi di non preoccuparmi più della natura, mi si permetta di accelerare la distruzione di questo pianeta continuando a sfruttarlo incessantemente, permettete che tutti se ne freghino della propria ‘impronta ecologica’ e che tutti siano assolutamente egoisti!
No, la natura non può essere solo questo, la natura non può e non voglio che sia solo questo!
Vado a spiegarmi.
Se la natura fosse davvero solo un universo di numeri e regole matematiche che agiscono indipendentemente da ogni fattore, questo significherebbe che tali regole e leggi valgono anche per noi … bene allora non sarebbe assolutamente importante ciò che facciamo nel mondo, o meglio, non avremmo assolutamente alcuna responsabilità di ciò che combiniamo, poiché, volendo seguire un’idea tipicamente meccanicistica, allora saremmo ‘necessitati’ nelle nostre azioni, ovvero sarebbe la natura stessa a chiederci questo.
Vi pare possibile?
Personalmente – forse sarà merito (e dico MERITO) della mia religione – ritengo che l’uomo sia dotato di una volontà, oltre che dalla responsabilità, che è libera di agire in questo mondo. Però –  ed ora forse il ragionamento si fa contorto anche per me che ne sono il creatore – come è possibile che l’uomo, parte della natura, sia essere-non-solo-materia e invece Ella sia essere-solo-materia? Perché noi saremmo stati dotati di questa particolare prerogativa di essere altro che ‘pura materia’?

Dunque la natura è o non è solo materia? Dunque la natura è o non è solo atomo?

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