‘Adesso posso sedermi e ricordare, richiamare alla mente tutto quello
che ho visto laggiù, in queste straordinarie settimane che mi è stato concesso
trascorrere in un paese così particolare.
Oltre alla cultura dell’accoglienza e alle evidenti disparità di stili
di vita c’è qualcosa d’altro che mi porto dietro: una ricordo intimo e personale, assolutamente profondo,
assolutamente spirituale.
Appena arrivammo, dopo aver cambiato la nostra moneta in quella
locale, ci mettemmo in viaggio in pullman. Così ci sfilò davanti la
straordinaria varietà di questa città (paradigma di tutto il resto del paese)
mostrandoci le baracche di soli mattoni e cemento, le cisterne –
caratteristiche – di plastica blu, gli altissimi grattacieli che sfidano i
cieli e le leggi di gravità, le grandi strade lungo il mare costeggiate di alte
palme che si scuotono al vento oceanico, e tutto il resto …
Non posso dire l’emozione di essere in mezzo a quel mondo così lontano
dal nostro. Ma non è questo il ricordo intimo e spirituale …
Arrivammo in uno dei quartieri più ‘in’ , con alti condomini con
portiere, con finestre oscurate e vetri
antiproiettile, con stucchi attorno agli infissi e fiori colorati sui davanzali.
Mentre ci trovavamo in coda lungo una di queste vie straordinariamente
piene di ricchezza, oltre che di vita,
il mio occhio cadde su un gruppo informe appoggiato ad una vetrina
luminosa: coperte e sacchi, scatoloni e cartone strappato, tutto ammassato
apparentemente alla rinfusa.
Sembrava immondizia.
Ebbene immondizia non era, ovviamente.
A poco a poco il cumulo amorfo iniziò a muoversi, qui e là scivolavano
pezzi di giornale e pubblicità di una telefonia.
D’improvviso una mano, un piede, una testa spuntarono da sotto quelle ‘macerie’,
poi un’altra mano, un altro piede, un’altra mano, un altro piede, un’altra
testa e infine due bambini furono finalmente liberi da quella sporcizia, con i
capelli scompigliati per la dormita – pessima – che si erano concessi, o
meglio, cui erano stati obbligati dalla fame. Un bambino aveva uno strano segno
su una guancia, forse una cicatrice, forse una crosta di pizza che gli si era
appiccicata.
Ricordo il colore dei piedi: neri, di un nero indescrivibile, di un
nero che non ho mai visto, uno stato che mi è sconosciuto (che lo era prima d’allora)
e che mi pareva chiaramente sporco!, ma in un modo a me del tutto nuovo.
Ricordo che l’altro bambino tentò di alzarsi, tremante, ma, tremante,
ricadde a fianco del suo compagno, appoggiando pesantemente la testa sulla sua
spalla ossuta e nuda.
Poco dopo questa vista ripartimmo col nostro pullman per fermarci
nuovamente pochi attimi dopo.
Un altro assurdo ammasso di immondizia, accumulata a mo’ di comodo
giaciglio, che di comodo aveva poco e nulla, anzi, nulla assolutamente!
Non due bambini sepolti nella sporcizia, ma una donna seduta
rassegnatamente fissando il vuoto, allungando i piedi per il largo marciapiede,
ignorando se qualcuno per sbaglio le inciampava dentro.
In grembo teneva una scatola di quelle in cui si mettono sei bottiglie
di vino in piedi, ma ormai tale scatola era consumata e i bordi alti erano
piegati e consumati.
Solo dopo molto mi resi conto di cosa contenesse quella scatola: un
bimbo.
Un piccolo.
Una creatura fragile e innocente.
Un bimbo.
Mi faceva strano quella pelle così delicata confrontata alla ruvida
mano sporca della madre.
Mi sembrò un’immagine commovente, anche l’altra mi parse una scena da
lacrime, eppure non piansi, non versai nemmeno la minima lacrima.
Semplicemente in me montò la rabbia.’
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