giovedì 9 ottobre 2014

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Trovo che sia assolutamente più facile scrivere delle pagine fini a se stesse. Difficile è, di questo son certo, scrivere un racconto, una storia complessa e costruita.
Per i fogli rubati è facile: ti fermi un attimo, ti osservi dentro ed eccolo lì: un sentimento, una sensazione, un'emozione, un qualcosa che si trasformano da sole in parole.
Nemmeno questo è da tutti, assolutamente vero!, però per me questo è più facile che scrivere un racconto.
Amo scrivere racconti, la trovo una delle cose più appaganti e portatrice di gioia che mai mi si siano presentate, eppure la trovo una delle cose più faticose e difficili che esista: la mente deve ascoltare il cuore ma non può pensare di spalmare sul foglio quello che ha ascoltato tale e quale, deve impegnarsi e costruire un qualcosa, un edificio con porte e scale, finestre e balconi, terrazzini e corridoi, deve immaginare un senso evidente, oltre che conoscere il senso profondo. Mi spiego?
Forse no, però è così che - credo - lavori la mia mente: si studia da sé un'idea e fino all'ultimo me la tiene nascosta, rivelandomi solo alla fine il risultato, stupendomi con qualcosa di assolutamente inatteso - e, devo ammetterlo, insperato.
Ringrazio il mio intelletto, come se non fosse parte di me, se il risultato mi piace; do a me la colpa, d'altra parte, e privo il mio ingegno di ogni responsabilità, se il risultato non mi soddisfa.
Ritorno a dire che scrivere un foglio è semplice, è più semplice, per così dire è 'intuitivo', è 'implicito', mentre il racconto ha un non so che.
Insomma: un racconto, mi si conceda questo, deve essere compiuto - anche nella sua incompiutezza per taluni racconti - in se stesso. Un foglio rubato non ha ragione di esistere né in sé né in altro, esiste e basta.
Questo almeno è chiaro?
No, forse anche questo è solo confusione.
Perché avevo iniziato a scrivere stavolta?!
Ah, sì: scrivere racconti e fogli.
Dicevo che scrivere racconti è più appagante, anche, in un certo modo che mi riesce assolutamente inspiegabile, fisicamente: quando un racconto si conclude c'è uno strano brivido di piacere che corre un po' dovunque, quando poi si tira il cosiddetto 'sospiro di sollievo' c'è anche un qualcosa che si muove in fondo alla pancia, che si scuote nei visceri e un poco si torce, è quasi doloroso, ma di quei dolori assolutamente goduriosi che a me tanto piacciono: sai che la storia è finita, sai che l'inizio ha ora una fine e questa è la fine dettata dall'inizio stesso, sai che la storia è conclusa, che la storia è completa e che è soddisfatta, è appagata e non chiederà - per ora - altro: tu le hai dato la parola fine e lei la apprezza, la riceve e la accetta.
Quando invece scrivo un foglio non sovviene, al termine, una sensazione di qualche piacere: so solo che ho finito, ce ho scritto un ragionamento, un sentimento, ma null'altro, sai che quello che è scritto è vero, è SOLO vero, ma proprio in questa sua assoluta verità manca qualcosa, qualcosa è assente.
In conclusione potrei forse dire che quello che mi appaga e poter servirmi dell'immaginazione? 
Credo di sì, credo di poter affermare che quello che mi dà piacere è la fantasia, l'immaginazione, il 'sogno', ciò che nasce dal cervello in unione con i sentimenti del cuore.

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