Il sole si era sciolto oltre l'orizzonte, sgonfiato sulle cime delle
montagne s'era rotto come un tuorlo d'uovo colpito dai rebbi di una forchetta.
Dall'altra parte del cielo iniziavano ad emergere le ombre della notte, saliva
l'onda dell'oscurità e il cielo, roseo, stingeva a poco a poco a quel blu
intenso e profondo, infinito.
Le case iniziavano a cercare una nuova luce, una luce artificiale per
prolungare di un poco la giornata; i fari delle automobili si rincorrevano
sempre più frenetici e le strade erano un intrico di lampi arancioni e gialli
che sbattevano contro i muri delle case e le vetrine dei negozi.
Dall'alto del suo condominio Cristina osservava la sera inseguire il
giorno, appoggiata al balcone; osservava le strade sotto di lei e si fermava ad
esaminare quelle due figurine scure che correvano sotto gli alberi davanti al
campo di atletica; ascoltava i rumori della città, quello scroscio di movimenti
continui che le ricordava tanto il suono del mare.
Cristina era sola in casa e, dopo aver chiuso bene la porta, si era
tolta le scarpe e le calze, s'era levata i jeans e aveva indossato i suoi
comodi pantaloncini di tuta. Uscita sul balcone aveva sentito l'aria fresca del
pomeriggio carezzarle le gambe lisce, aveva sentito il tiepido delle piastrelle
sotto i piedi e s'era appoggiata alla balaustra sciogliendosi i lunghi capelli
sulle spalle.
La primavera era ormai arrivata e qua e là si percepiva già la
violenza dell'estate: capitava che un pomeriggio fosse particolarmente torrido,
che qualche prato fosse già bruciato dai raggi del sole, che qualcuno
camminasse già per strada in pantaloncini e maglietta. La gente prendeva giorno
dopo giorno più colore: la pelle abbandonava il pallore malato dell'inverno per
accogliere quel rossore diffuso del caldo, i vestiti viravano sempre di più al
colore sgargiante, alle belle tonalità pastello, e pochi coraggiosi
s'azzardavano ad indossare nero, marrone, beige.
Anche Cristina adesso sentiva la primavera, sentiva un nuovo calore
scorrerle nel corpo, un nuovo calore che, paradossalmente, le rinfrescava le
membra ridonandole nuova energia, nuovo vigore. Mentre tornava a casa era come
inebriata dal verde sempre più luminoso e brillante degli alberi lungo i viali,
quando era seduta in classe e sentiva cinguettare fuori quei fastidiosissimi
uccellini, troppo contenti e troppo gioiosi, nonostante tutto le si allargava
il cuore e si sentiva … libera.
E adesso era lì, a godersi uno dei suoi 'riti' privati, una di quelle
passioni segrete e intime, come quelle di Amelie. Amava quel film. A Cristina
però non era mai possibile immergere le sue mani in un sacco di legumi, e
allora s'era trovata qualcos'altro, aveva scoperto l'emozione in cose come
quella.
Ora il sole era davvero scomparso. Lungo l'orizzonte si allungava un
grande fascio arancione e incandescente e a poco a poco questa luce
s'assottigliava sempre di più, schiacciato dal peso della notte.
A poco a poco Cristina si lasciava avvolgere dalle mille immagini che
la circondava, pian piano ogni cosa scompariva attorno a lei e si condensava in
un tutto indistinto, fatto di foglie profumate e stormenti, fatto di persone
che in lontananza, sul marciapiede, si precipitano a casa propria, fatto di
luci che si confondono l'una con l'altra, che si perdono in luccichii
indistinti.
In quei momenti si sentiva bene, sapeva di essere strana, sapeva di
essere diversa, ma che poteva farci lei? A volte s'immaginava come protagonista
di un qualche romanzo che qualcuno, chissà dove, aveva pensato e architettato,
leggendo qua e là si ritrovava in questo o quel personaggio, riconosceva questo
o quel carattere.
Si lasciava andare a quelle fantasie, s'immaginava come potesse essere
la faccia di questo autore lontano, cosa potesse averlo ispirato a creare un
personaggio come lei, così particolare, così curiosa …
E s'immaginava un vecchio barbuto, magro e angoloso, chino su un
foglio che andava via via macchiando con segni leggeri e veloci; vedeva su quel
naso un paio di occhiali leggeri, ma che parevano pesare come macigni su quel
naso ossuto; aveva pochi capelli in testa, sottili e grigiastri, appiattiti sulla fronte; le
orecchie le immaginava appuntite e piuttosto grandi, ma ormai mezze sorde …
chissà qual era il suo nome, chissà come firmava la sua storia, che bel segno avrebbe lasciato sulla carta la sua mano
secca secca, e che titolo avrebbe scelto?
Mentre si perdeva in questa fantasia, mentre tutto si scioglieva in
un'impersonalità assoluta e completa, mentre il mondo scompariva tutt'attorno,
un suono armonioso iniziava a circondarla, il ricordo di una canzone udita
chissà quanto tempo prima, chissà quando, chissà dove.
Dalla sua memoria affiorava quest'armonia soave, lontana e divina,
l'abbracciava dolcemente e la cullava, le vibrava nel petto come un diapason,
perfetta e impeccabile.
Il suono a poco a poco cresceva e dal petto le note si muovevano verso
la gola, le stuzzicavano le labbra e la lingua, le imploravano di poter essere
liberate, di poter volare nell'aria della sera, di potersi unire al cinguettio
lontano, di potersi confondere con il rumore monotono delle automobili, di
potersi perdere nel cielo immenso.
Alla fine, chissà come, chissà perché, Cristina cantava, libera e sola
in casa, nessuno dalla strada la udiva, ma a poco a poco le stelle accorrevano
per ascoltarla, per assistere a quel particolare concerto sul terrazzo di un
alto condominio.
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