martedì 5 maggio 2015

LUI (11)

«Hai pensato a cosa potremmo fare domani? Io pensavo che … non so: possiamo uscire, andare in discoteca con gli altri e poi ti porto a casa io, tanto mia sorella non ha bisogno della macchina …»
Lui non mi rispondeva e continuava a guardare fuori dalla finestra. Eravamo sdraiati sul letto e mi stringeva con un braccio, con l'altro si toccava i capelli, tenendo il gomito alto; era assente e incantato.
«Ehi …! Mi senti?»
«Sì … scusa … cosa?»
«Dicevo che se vuoi domani sera possiamo andare in discoteca, possiamo andare a ballare con gli altri: oggi Emma mi ha scritto per chiedermi se mi andava e ho risposto che avrei prima chiesto a te … domani sera ho la macchina e potrei portarti a casa io, senza dover rompere a tua madre»
«A te va?» ancora osservava fuori dalla finestra, sempre con quel tono di voce monotono e basso. Era strano: lo guardavo e respirava profondamente, come se stesse pensando qualcosa, qualcosa di davvero importante.
«Non so … se ci vieni tu allora ok, sennò non so … cioè mi diverto comunque ma … tu che vuoi fare?»
«Stavo pensando che se per te è lo stesso preferirei non andare a ballare»
«D'accordo: che facciamo?»
«Tu a che ora puoi uscire domani?»
Non capivo cosa stesse dicendo: che cosa cavolo stava pensando?!
«Ho la macchina dalle quattro, quattro e mezza»
«Ti va di passare la sera a guardare qualche film? Ci facciamo una maratona di Hunger Games magari …» Mi guardò - finalmente - e mi sorrise: i suoi occhi erano un po' lucidi.
«Che cos'hai? Me lo vuoi dire!?!?»
Distolse lo sguardo e mi liberò dal suo abbraccio, si tirò su e si sedette a gambe incrociate, tutto curvo. Mi alzai anche io, preoccupato.
«Ehi …?» Lo abbracciai da dietro, inginocchiandomi alle sue spalle.
«Scusami …» sussurrò lui, dispiaciuto.
«Ma di che?»
«Non sono molto di compagnia ultimamente: sono stanco e ho un sacco di cose per la testa; sono preoccupato per la scuola e poi mio padre sta addosso»
«Non ti preoccupare … se sei stanco sdraiati e riposiamoci; per la scuola te l'ho già detto: per quello che posso aiutarti ti aiuto io, per il resto stai tranquillo e studiamo insieme; riguardo a tuo padre … non mi esprimo perché sai come la penso!»
Taceva, mogio mogio. Io gli carezzavo la spalla mentre gli premevo il mento nel collo.
C'era qualcosa nel suo respiro che mi preoccupava.
«Sai cosa … domani vieni appena puoi: mamma se ne va subito dopo pranzo, papà è a Praga, mio fratello è in gita. Ci mettiamo qui, compro i popcorn e non solo guardiamo Hunger Games: accendiamo  la musica e la mettiamo al massimo (è da un po' che non ti sento cantare, mi dici solo che le lezioni 'vanno bene'); poi prepariamo la cena insieme (non so cosa, ma ci pensiamo poi e mi organizzo) … - la sua voce era agitata e lui fremeva, sentivo sotto le mie dita la sua pelle sussultare e vibrare eccitata - poi ceniamo io e te sul divano e al diavolo quella donna isterica. Ma prima se vuoi mi aiuti a studiare fisica. Quando abbiamo mangiato tanto da poter rotolare ci sdraiamo nel letto e guardiamo un altro film!» Si liberò dal mio abbraccio e mi guardò fisso, gli occhi vivi e eccitati si muovevano sul mio viso sena tregua. Io ero allibito e rimanevo a guardare quell'agitazione impotente, sconcertato.
Ma poi quello sguardo si spense: continuava a guardarmi ma la mia espressione lo faceva calmare e quell'euforia scivolò da lui, lasciandolo di nuovo puro, con quegli occhi belli e quel viso fresco.
«Domani vengo appena posso e passiamo una giornata insieme: spegniamo i telefoni e al diavolo la discoteca. Facciamo tutto quello che vuoi e poi …»
«E poi ti fermi!»
Mi aveva interrotto e con quelle quattro parole interruppe anche la mia attività celebrale.
«C .. Cccosa?» balbettai.
«E poi ti fermi qui, a dormire: per una notte tua madre non potrà rompere più di tanto» gli era tornata in volto un'espressione serena e allegra, speranzosa. Intanto nel mio cuore davvero tutto si era fermato e tutto rimaneva in sospeso: lui stava lì, davanti a me e mi guardava con quei suoi occhi dolci, quegli occhi che tanto amavo e che mi sognavo tutte le notti.
«E poi mi fermo» acconsentii.

Felice mi abbracciò e poi si alzò per accendere la musica: trascorremmo il resto del pomeriggio insieme, lui riordinava la sua stanza disordinata ballando e canticchiando, io facevo finta di studiare e intanto lo spiavo. Si muoveva felice e spostava da qui una pila di libri di scuola, ritirava nel cassetto qualche maglietta che la madre gli aveva lasciato stirata sulla scrivania. Era così bello. Lo amavo.

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