«Hai pensato a cosa
potremmo fare domani? Io pensavo che … non so: possiamo uscire, andare in
discoteca con gli altri e poi ti porto a casa io, tanto mia sorella non ha
bisogno della macchina …»
Lui non mi rispondeva e
continuava a guardare fuori dalla finestra. Eravamo sdraiati sul letto e mi
stringeva con un braccio, con l'altro si toccava i capelli, tenendo il gomito
alto; era assente e incantato.
«Ehi …! Mi senti?»
«Sì … scusa … cosa?»
«Dicevo che se vuoi
domani sera possiamo andare in discoteca, possiamo andare a ballare con gli
altri: oggi Emma mi ha scritto per chiedermi se mi andava e ho risposto che
avrei prima chiesto a te … domani sera ho la macchina e potrei portarti a casa
io, senza dover rompere a tua madre»
«A te va?» ancora
osservava fuori dalla finestra, sempre con quel tono di voce monotono e basso.
Era strano: lo guardavo e respirava profondamente, come se stesse pensando
qualcosa, qualcosa di davvero importante.
«Non so … se ci vieni
tu allora ok, sennò non so … cioè mi diverto comunque ma … tu che vuoi fare?»
«Stavo pensando che se
per te è lo stesso preferirei non andare a ballare»
«D'accordo: che
facciamo?»
«Tu a che ora puoi
uscire domani?»
Non capivo cosa stesse
dicendo: che cosa cavolo stava pensando?!
«Ho la macchina dalle
quattro, quattro e mezza»
«Ti va di passare la
sera a guardare qualche film? Ci facciamo una maratona di Hunger Games magari
…» Mi guardò - finalmente - e mi sorrise: i suoi occhi erano un po' lucidi.
«Che cos'hai? Me lo
vuoi dire!?!?»
Distolse lo sguardo e
mi liberò dal suo abbraccio, si tirò su e si sedette a gambe incrociate, tutto
curvo. Mi alzai anche io, preoccupato.
«Ehi …?» Lo abbracciai
da dietro, inginocchiandomi alle sue spalle.
«Scusami …» sussurrò
lui, dispiaciuto.
«Ma di che?»
«Non sono molto di
compagnia ultimamente: sono stanco e ho un sacco di cose per la testa; sono
preoccupato per la scuola e poi mio padre sta addosso»
«Non ti preoccupare …
se sei stanco sdraiati e riposiamoci; per la scuola te l'ho già detto: per
quello che posso aiutarti ti aiuto io, per il resto stai tranquillo e studiamo
insieme; riguardo a tuo padre … non mi esprimo perché sai come la penso!»
Taceva, mogio mogio.
Io gli carezzavo la spalla mentre gli premevo il mento nel collo.
C'era qualcosa nel suo
respiro che mi preoccupava.
«Sai cosa … domani
vieni appena puoi: mamma se ne va subito dopo pranzo, papà è a Praga, mio
fratello è in gita. Ci mettiamo qui, compro i popcorn e non solo guardiamo
Hunger Games: accendiamo la musica e la
mettiamo al massimo (è da un po' che non ti sento cantare, mi dici solo che le
lezioni 'vanno bene'); poi prepariamo la cena insieme (non so cosa, ma ci
pensiamo poi e mi organizzo) … - la sua voce era agitata e lui fremeva, sentivo
sotto le mie dita la sua pelle sussultare e vibrare eccitata - poi ceniamo io e
te sul divano e al diavolo quella donna isterica. Ma prima se vuoi mi aiuti a
studiare fisica. Quando abbiamo mangiato tanto da poter rotolare ci sdraiamo
nel letto e guardiamo un altro film!» Si liberò dal mio abbraccio e mi guardò
fisso, gli occhi vivi e eccitati si muovevano sul mio viso sena tregua. Io ero
allibito e rimanevo a guardare quell'agitazione impotente, sconcertato.
Ma poi quello sguardo
si spense: continuava a guardarmi ma la mia espressione lo faceva calmare e
quell'euforia scivolò da lui, lasciandolo di nuovo puro, con quegli occhi belli
e quel viso fresco.
«Domani vengo appena
posso e passiamo una giornata insieme: spegniamo i telefoni e al diavolo la
discoteca. Facciamo tutto quello che vuoi e poi …»
«E poi ti fermi!»
Mi aveva interrotto e
con quelle quattro parole interruppe anche la mia attività celebrale.
«C .. Cccosa?»
balbettai.
«E poi ti fermi qui, a
dormire: per una notte tua madre non potrà rompere più di tanto» gli era
tornata in volto un'espressione serena e allegra, speranzosa. Intanto nel mio
cuore davvero tutto si era fermato e tutto rimaneva in sospeso: lui stava lì,
davanti a me e mi guardava con quei suoi occhi dolci, quegli occhi che tanto
amavo e che mi sognavo tutte le notti.
«E poi mi fermo»
acconsentii.
Felice mi abbracciò e
poi si alzò per accendere la musica: trascorremmo il resto del pomeriggio
insieme, lui riordinava la sua stanza disordinata ballando e canticchiando, io
facevo finta di studiare e intanto lo spiavo. Si muoveva felice e spostava da
qui una pila di libri di scuola, ritirava nel cassetto qualche maglietta che la
madre gli aveva lasciato stirata sulla scrivania. Era così bello. Lo amavo.
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