martedì 2 giugno 2015

ATTRAVERSARE (1)

Nelle giornate che precedono l'inizio della primavera il sole, quando c'è, è ben caldo ed è davvero un piacere accogliere i vivificanti raggi di luce sulle guance pallide; al contrario non si riesce a sopravvivere all'ombra senza un buon maglioncino pesante sulle spalle. Diventa, allora, estremamente noioso dover uscire di casa sapendo che presto bisognerà un tira e molla con i vestiti, metti su, togli qui, infila il maglione, sfila la sciarpa, eccetera, ma non si può fare altrimenti: ogni tanto vedi per strada quelli coraggiosi che camminano in maniche corte, incuranti del gelo che domina all'ombra, o i folli, che si ostinano a spostarsi avvolti in pesantissimi giacconi invernali, con il pelo lungo il cappuccio e la fodera di pile. Ma, grazie a Dio, la stragrande maggioranza della gente è piuttosto sana di mente, almeno per quanto riguarda questo: si va in giro con una pesante felpa e un giubottino leggero e si fa un continuo gioco di mettere e togliere incessantemente.
Anna era una di queste persone 'normali', che si accorgono della follia del tempo e che scelgono di assecondarlo, visto che, d'altra parte, non si può pretendere che sia lui a cambiare in base al nostro abbigliamento!
Mentre camminava lungo il parco si godeva il tepore del tardo pomeriggio: il selciato iniziava a rilasciare il calore che s'era accumulato dalla mattina e i colori del cielo cominciavano a virare verso i toni aranciati del tramonto; talvolta un alito di vento gelido si scostava dalle mura del castello e si spostava per il viale tra gli alberi pronti a fiorire. Allora un brivido piacevolissimo le carezzava la nuca e la scoteva tutta, lasciandole una goduriosa sensazione lungo le braccia e la schiena.
Qualche bambino si rincorreva giù dal bastione nel parchetto e le sue grida si levavano alte tra le fronde dei pini e i rami ingemmati; talvolta s'udiva anche il richiamo severo di una madre, o di una nonna, che reclamava il ritorno all'ordine perché ormai era ora di tornare a casa. Da oltre il castello arrivava, di lontano, il rumore delle macchine che curvavano attorno alla grande piazza invasa d'automobili parcheggiate; un rumore davvero remoto, quasi il rumore del mare quando ci si sveglia la mattina in vacanza e le veneziane sono chiuse nascondendo la vista della vasta distesa azzurra.
Ad Anna piaceva camminare così, senza preoccupazioni di alcun tipo, immersa nella semplice contemplazione di ciò che la circondava. Era meraviglioso osservare i rami che iniziavano a prepararsi ad accogliere il trionfo di colore che cova nelle gemme, meraviglioso allungare un po' il passo, quasi fare un piccolo saltello per evitare di calpestare la prima 'autostrada' di formichine che hanno il coraggio di ricominciare la loro ricerca, meraviglioso dover passare da una parte all'altra del viale per evitare di scontrarsi contro le altre persone che magari stanno portando a spasso il cane, che tornano a casa o da una commissione in centro-città. Era in quei piccoli quadretti di vita normale, monotona che Anna trovava la bellezza, l'emozione: non erano le stranezze, le curiosità, le particolarità a farle battere il cuore, ma quella routine anonima e cui la maggior parte della gente è indifferente. Non l'unicità di un fatto straorinario e irripetibile, ma lo schema con cui i sampietrini si dispongono ordinatamente, creando come tante scaglie, lungo il largo viale del parco. Anna non chiedeva che questo, e camminando non pensava, osservava soltanto e godeva, si rasserenava, si tranquillizzava, trovava un po' di pace.
«Pronto? - rispose al telefono - Sì, sono io, dica pure … ah ecco, sì sono io che ho chiamato: grazie! Se passassi adesso? Sono al castello e in cinque minuti al massimo dovrei essere lì! … Perfetto, allora arrivo: a tra poco!»
Riponendo il cellulare in tasca, s'avviò verso una delle uscite dal parco, una di quelle 'rampe' che scendono dai bastioni. Il suo passo era ora meno rilassato di prima, ma non era, sicuramente teso: era felice. Allegramente, con un sorriso stampato in viso - forse un po' folle! - camminava giù dalle mura  e s'infilava tra alti palazzi costruiti una ventina d'anni prima. Alla pace del 'paesaggio' del parco era seguita ora l'euforia per un momento piacevole che s'avvicinava, un altro di quei piccoli piaceri che coltivava in segreto - e in effetti era ben consapevole del fatto che qualcuno avrebbe trovato modo di prenderla in giro per quelle sue passioni innocenti, quelle sue passioni tanto semplici da apparire assurde ad un mondo che insegna solo a perseguire la stranezza più manifesta, costringendo poi ad emarginare persone che non hanno affatto nulla di eccentrico nei loro modi!
In quelle vie di macchine ne passavano ben poche e anche le persone sembravano non passare troppo spesso sopra quei marciapiedi. Una vecchietta era immobile dietro una finestra e osservava la via con uno sguardo vuoto e fisso. I capelli erano un groviglio di fil di ferro, bianchi e sottili come paglia; le rughe le cascavano come pelle morta, svuotata, molla come gelatina, quasi del gorgonzola lasciato fuori troppo a lungo che inizia a disfarsi verso il piatto; gli occhi facevano capolino sotto occhiali spessi e pesati che le gravavano sul naso affilato.
"Povera donna …" pensò Anna accorgendosi di quella vecchietta, rinunciando al suo sorriso eccitato. Ogni volta che vedeva qualcuno diverso, qualcuno isolato, un abbandonato, un inetto, un solo il suo cuore le si stringeva nel petto e provava un sincero senso di delusione: non era un'ipocrita, ma nel vedere quella desolazione la opprimeva davvero una sensazione di inadeguatezza, quasi d'inutilità. S'accorgeva che davanti a quelle cose non faceva nulla, rimaneva immobile e inattiva, si limitava ad osservare e dispiacersi, ma non reagiva.
Il suo passo allora rallentò e presto si fermò in mezzo al marciapiede deserto, all'ombra di un alto condominio. Lo sguardo lo aveva fissato, sconvolto, su un sassolino minuscolo incastrato nell'asfalto del marciapiede e la mente s'era paralizzata contemporaneamente al corpo. Non v'era pensiero in quel momento che l'attraversasse. Era persa. Shoccata. Silente.
Il cellulare riprese a squillare nella tasca e Anna ci mise molto tempo per accorgersi di quella fastidiosa musichetta elettronica. Quando finalmente le note artificiali la distolsero dalla sua immobilità rispose al telefono: «Pron - disse con voce strozzata - pro-nto? - scandì dopo essersi schiarita la voce - Sì, ciao! Scusa, sto andando in libreria a ritirare il libro che avevo ordinato … sì … sì … poi passo, sta' tranquilla: tra una mezzoretta passo da te. A dopo! Ciao»

Riprese a camminare, non ricordandosi più perché aveva smesso di farlo.

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