martedì 24 febbraio 2015

LE BACCANTI parte terza

Fu questione di poco, poi si incamminarono.
L’aperitivo fu un susseguirsi di cocktail e stuzzichini, supersalati ovviamente, così che si continuassero a ordinare birra e simili. I tre avevano ritrovato gli altri in piedi ad aspettare che un tavolo, qualche sedia si liberassero per loro: si prenotava ma era assolutamente inutile, invero, perché l’unica vera legge era ‘chi prima arriva meglio alloggia’.
Scoprirono che già da un po’ avevano chiesto di essere i prossimi a sedersi, ma si accorsero pure che almeno sette persone erano passate loro davanti senza alcunissimissimo problema.
«Che palle!» sbottò dopo pochi minuti Ivan, stordendo malamente Gaia (un’altra della compagnia).
«Che cazzo ti urli?!» rispose, ovviamente con un tono di voce soave, la malcapitata (tra l’altro stordendo a sua volta chi le era vicino).
Intanto Benedetto se ne stava nel suo angolino, appoggiato a fianco di una vetrina del negozio di borse in pelle, scorrendo placidamente il dito sullo schermo del telefono, ignorando la musica e i discorsi assolutamente noiosi: Carlotta si era allontanata per salutare una sua compagna delle medie che l’aveva salutata da lontano.
In quei momenti di rumore – perché altra definizione non v’è a questo mondo, sfido a trovarla! – Benedetto si trovava allo stesso tempo a suo agio e a disagio: era in mezzo alla gente, in mezzo alla vita in movimento, brulicante, eppure c’era in lui un senso di inadeguatezza, come se lui in qualche modo non fosse ‘giusto’ per quella particolare situazione. In verità in molti – proprio in quel momento – erano nella sua stessa situazione, ma, qualcuno con l’aiuto dell’alcol, qualcuno con il passare del tempo, qualcuno per una nuova, straordinaria, forza di volontà, alla fin fine si erano abituati, si erano adattati e ora parevano nel proprio mondo, nel proprio elemento. Qualcuno – se proprio vogliamo analizzare ben bene questo quadretto – davvero era a suo agio, davvero si sentiva innatamente adatto e ‘giusto’ e questi sono quelle persone che in molti ‘invidiano’ proprio per questa loro spigliatezza.
Benedetto non rientrava in nessuna di queste categorie, poiché nemmeno l’alcol lo rendeva spigliato, anzi, contribuiva semplicemente a sottolineare la sua particolarità: lo faceva diventare scemo, ma davvero davvero stupido, pronto a dire una qualsiasi idiozia come se fosse la più assoluta e certa verità!
Con gli anni, però –  per fortuna – aveva imparato questa sua caratteristica e quindi si era trasformato in un astemio ineccepibile, che schifava e rifuggiva anche la birra analcolica, per un ingenuo timore che, solo per il nome ‘birra’, potesse subire gli effetti dell’ubriachezza.
Qui – chiedo perdono per questo – è bene introdurre una breve descrizione di qualcosa che – abbiate fiducia – sarà utile – a mio parere – ai fini di questa strana storia.
Ormai il sole era calato dietro il Monviso e l’azzurro pulito, carico del tramonto virava, a poco a poco, ad un colore più scuro, alla pesante coltre nera della notte. Il venticello ora soffiava, piano ma inarrestabile, tra i colonnati e per le piazze, portando con sé l’odore delle tenebre, il profumo dell’oscurità.
In una città, quando il sole è calato, il cielo non appare, però, propriamente nero, infatti la volta celeste è come sottoposta a un filtro, come quello dei fotografi, e noi la vediamo attraverso la luce gialla dell’illuminazione cittadina: le stelle non sono contemplabili e quello che ci rimane è un’immensità in qualche modo nascosta dietro fasci di luce arancione.
È questo uno strano effetto che più volte Benedetto si era fermato ad ammirare: c’era qualcosa di affascinante in questo contrasto tra la luminosità dell’aria sopra la sua testa e l’assoluta oscurità che stava ancora al di sopra.
Ma finalmente – ho finito questa breve digressione – il tavolo fu pronto per loro e, appena sedettero, arrivò una vagonata di piccole focaccine e pizzette, ancora calde dal forno, colanti mozzarella e gorgonzola, con i pomodorini tagliati a fettine un po’  bruciacchiati e come intirizziti per la cottura. Dopo il primo (piccolo) morso la sete si presentò con violenza alla gola di tutti: un grattare insistente e una preghiera assillante di acqua – fine sperato dai padroni del bar – dominarono ben presto tutti!
Arrivarono a prendere le ordinazioni per il bere e Benedetto prese la sua beneamata Coca-Cola.

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